La mielofibrosi è un tumore che colpisce le cellule staminali del sangue, per la quale a oggi non esiste una cura del tutto efficace. La malattia è caratterizzata dallo sviluppo di tessuto fibroso a livello del midollo osseo, con una compromissione progressiva della produzione delle cellule del sangue e delle condizioni cliniche dei pazienti.
Una nuova possibile terapia per inibire precocemente la trasformazione fibrotica del midollo osseo arriva dai ricercatori e dalle ricercatrici del Centro Interdipartimentale di Cellule Staminali e Medicina Rigenerativa (CIDSTEM) di Unimore, grazie al sostegno di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. I risultati sono stati ottenuti nell’ambito del programma “5 per mille” dal titolo “MYeloid NEoplasms Research Venture AIRC” (MYNERVA), coordinato dal professor Alessandro Vannucchi, oncoematologo dell’Università di Firenze.
I dati raccolti dal gruppo della professoressa Rossella Manfredini e colleghi mostrano che colpendo in maniera mirata la proteina osteopontina è possibile interferire con l’evoluzione della fibrosi del midollo osseo. I risultati sono stati pubblicati sul Blood Cancer Journal, un’importante rivista ematologica a livello internazionale, appartenente al gruppo Nature.
“Anche le terapie più avanzate per i pazienti con mielofibrosi non sono in grado di interferire in modo significativo con lo sviluppo di fibrosi midollare, il che porta a un sostanziale aggravamento delle condizioni cliniche e a una riduzione della sopravvivenza dei pazienti – spiega la professoressa Manfredini, responsabile del programma di Genomica e Trascrittomica del Centro di Medicina Rigenerativa Stefano Ferrari –.“L’identificazione di nuove terapie anti-fibrotiche rimane quindi un bisogno clinico non soddisfatto, nonché una priorità per la cura della malattia. Per questo studio abbiamo studiato in topi di laboratorio con mielofibrosi un farmaco già utilizzato nella pratica clinica in pazienti affetti da melanoma e altri tipi di tumori. Lo scopo era anche accelerare il passaggio dei risultati dal banco di laboratorio al letto dei pazienti”.
“In un precedente studio, – aggiunge la dottoressa Lara Tavernari, collaboratrice della ricerca – avevamo scoperto che l’osteopontina, una molecola che favorisce la fibrosi, è significativamente aumentata nel plasma di pazienti affetti da mielofibrosi. I pazienti che presentano livelli maggiori di questa proteina mostrano anche un più alto grado di fibrosi del midollo osseo associato a una prognosi peggiore. Sulla base di questi dati ci siamo quindi focalizzati sull’identificazione di nuovi approcci terapeutici volti a inibire l’attività dell’osteopontina. Dopo aver valutato in cellule in coltura ottenute da pazienti l’efficacia di numerosi inibitori dell’osteopontina, abbiamo selezionato il farmaco cobimetinib e lo abbiamo somministrato a topi di laboratorio con mielofibrosi. Il farmaco ha prodotto una marcata riduzione dei livelli sia di osteopontina nel plasma, sia della fibrosi midollare”.
“Il risultato più significativo – conclude la professoressa Manfredini – è che l’associazione di cobimetinib con il ruxolitinib, la terapia mirata più utilizzata per la mielofibrosi, mostra un effetto sinergico sia sull’inibizione della fibrosi midollare che sull’ingrossamento della milza. Ciò suggerisce l’impiego di questa combinazione di farmaci nei pazienti come terapia curativa di prima linea, per inibire la progressione della malattia in una forma più grave. Dunque, il cobimetinib, un farmaco già approvato dagli enti regolatori e utilizzato in clinica contro il melanoma ed altri tumori, potrebbe essere riposizionato per la mielofibrosi, in combinazione con ruxolitinib, se la sperimentazione clinica nei pazienti affetti da mielofibrosi confermerà i dati preclinici”.
“Vivissimi complimenti alla Collega Professoressa Manfredini per questo magnifico risultato, che apre, anzi ‘richiede’, l’avvio della sperimentazione di questa nuova proposta terapeutica combinata ai pazienti affetti da mielofibrosi. Questo risultato dimostra tra l’altro le grandi potenzialità della ricerca di base presso il Dipartimento di Scienze Biomediche Metaboliche e Neuroscienze, e la sua potenziale applicabilità diretta alla sperimentazione clinica negli esseri umani, nel contesto della stretta integrazione tra ricerca di laboratorio e clinica, – commenta il Professor Marco Vinceti, Direttore del Dipartimento – integrazione che caratterizza da tempo il nostro Dipartimento e il cui valore viene una volta di più riconosciuto da riviste scientifiche internazionali di grande prestigio.”
Rossella Manfredini
Laureata nel 1988 in Scienze Biologiche all’Università di Modena con la votazione 110/110 e summa cum laude, nel 1994 ha conseguito il Dottorato in Ematologia Sperimentale e nel 1996 la Specializzazione in Biochimica e Chimica Clinica. Assegnataria di Borse di studio AIRC e della Lega Italiana Lotta contro i Tumori, ha svolto attività di Post doc negli Stati Uniti, alla Temple University di Filadelfia in Pennsylvania, ottenendo nel 1998 il Brevetto USA per “Utilizzo di oligonucleotidi AS c-fes e ATRA nelle leucemie di tipo M3”. Dal 2013 è Professore Ordinario di Biologia Applicata al Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia. È autrice di 119 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali ad alto impatto. Si occupa da più di trent’anni della biologia delle cellule staminali, normali e patologiche, con particolare riferimento ai meccanismi molecolari che stanno alla base dei processi di auto rinnovamento, proliferazione e differenziamento. I suoi principali temi di ricerca sono: la caratterizzazione molecolare e funzionale di cellule staminali emopoietiche normali e leucemiche, lo studio dell’eterogeneità clonale del comparto staminale in malattie mieloproliferative croniche, e lo studio dell’esaurimento funzionale dei linfociti T citotossici nelle neoplasie mieloproliferative.


