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L’alchimia: pratica esoterica o protoscienza? Le antiche ricette messe alla prova nei laboratori moderni

Le procedure descritte negli antichi testi alchemici sono state messe in pratica in un laboratorio moderno

L’alchimia può essere descritta come una protoscienza? Gli antichi testi che riportano oscure formule e procedure descrivono rituali mistici e visioni allegoriche oppure contengono le indicazioni per realizzare veri e propri esperimenti scientifici? In altre parole, l’alchimia può essere considerata l’antenata della chimica?

Un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna che include filologi, storici della scienza e chimici ha cercato di dare risposta a queste domande, non solo riscoprendo e studiando nel dettaglio gli antichi testi alchemici, ma anche mettendo in pratica in laboratorio le procedure descritte. Un lavoro interdisciplinare – sviluppato all’interno del progetto ERC AlchemEast, vinto dal professor Matteo Martelli (Dipartimento di Filosofia e Comunicazione) – i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista PNAS.

“Con la replica in laboratorio delle antiche procedure alchemiche è possibile toccare con mano il millenario percorso storico dell’alchimia, condensandolo in esperimenti che costringono scienza moderna e scienza antica a dialogare in modalità totalmente nuove”, spiega Marianna Marchini, ricercatrice al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Università di Bologna e prima autrice dello studio. “In questo modo, è stato possibile riportare in laboratorio ricette che non erano più state messe in pratica da secoli“.

L’indagine si è concentrata su uno degli elementi più intriganti nella storia dell’alchimia: il mercurio. Le sue proprietà chimico-fisiche così uniche hanno infatti catturato l’attenzione degli antichi alchimisti, che lo concettualizzarono come un elemento comune a tutti i metalli. In particolare, esistono molte fonti antiche che riportano procedure per l’estrazione del mercurio dal minerale chiamato cinabro.

A partire dalle prime testimonianze che compaiono negli scritti classici di Teofrasto e Vitruvio, gli studiosi hanno quindi ripercorso i testi fondanti dell’alchimia: papiri risalenti all’Egitto greco-romano dei primi secoli dopo Cristo, una serie di ricette attribuite a Democrito e i testi dell’alchimista Zosimo di Panopoli, indagati sia in greco che in siriaco, e in alcuni casi tradotti per la prima volta. Le ricette e le procedure descritte sono state quindi replicate in laboratorio, utilizzando strumenti moderni ma rispettando alla lettera le indicazioni dei testi antichi. Con risultati sorprendenti.

“Il lavoro in laboratorio ha portato alla luce un’inaspettata varietà di procedure di estrazione del mercurio, alcune delle quali non sono state fatte oggetto d’attenzione da parte della chimica moderna”, conferma Lucia Maini, professoressa associata del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”, tra gli autori dello studio. “Abbiamo rintracciato le radici della meccano-chimica a partire da testi del IV secolo a.C., quando il cinabro comincia ad essere triturato in mortai di rame per estrarre il mercurio, mentre in seguito le sperimentazioni sono continuate utilizzando anche altri metalli come lo stagno e il piombo“.

Le sperimentazioni in laboratorio, inoltre, hanno messo in luce il ruolo centrale del ferro nelle procedure di estrazione per sublimazione, il processo attraverso cui una sostanza passa dallo stato solido a quello aeriforme. Non solo: dalle antiche ricette degli alchimisti è emerso anche l’utilizzo di sostanze inaspettate ed evocative come il natron, un minerale il cui presunto valore “purificante” è intrinsecamente legato alla cultura e alla religione dell’Egitto antico. La reazione del cinabro con il natron è stata così “riscoperta” e testata in laboratorio.

“Oggi sembra esserci una pericolosa dicotomia rispetto alla scienza, tra chi ci crede e chi non ci crede: una polarizzazione insidiosa che perde di vista la base della scienza, ovvero il lungo percorso della ricerca sperimentale“, commenta Matteo Martelli, titolare del progetto ERC AlchemEast e coautore dello studio. “La nostra ricerca ha ricostruito uno di questi percorsi, mostrando che la chimica può riappropriarsi di una storia millenaria rimasta nell’oblio e riportare in laboratorio tecniche e procedure rimaste per secoli fuori dagli spazi dove oggi si produce e si testa la conoscenza scientifica”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista PNAS con il titolo “Exploring the ancient chemistry of mercury”. A realizzarlo è stato un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna: Marianna Marchini, Massimo Gandolfi e Lucia Maini del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”, insieme a Lucia Raggetti e Matteo Martelli del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione.

 

















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