“Non solo venditori di accendini, cd masterizzati o borse ‘taroccate’ agli angoli delle strade. Non solo operai sfruttati al nero nei cantieri e nelle fabbriche del sommerso”. In Emilia Romagna il volto dell’immigrazione sta cambiando; va rivisto in qualche modo lo stereotipo che vede ‘mmigrato’ molto spesso associato a dequalificazione e disperazione.
Negli ultimi anni sono sempre più numerosi gli extracomunitari che hanno scelto di mettersi in proprio ed avviare un’azienda; molti di loro, peraltro, sono in possesso di un livello medio alto di istruzione e di un bagaglio professionale notevole e in diversi casi già maturato nel proprio paese. Così Lalla Golfarelli, responsabile regionale del dipartimento politiche sociali della CNA – commenta quello che in Emilia Romagna si profila come un vero e proprio boom dell’imprenditoria etnica.
“Pur essendo nella nostra regione un fenomeno relativamente giovane, tanto che 5 imprenditori stranieri su 6 risultano iscritti alle Camere di Commercio dopo il 1990, negli ultimi tre anni abbiamo assistito ad una rapida crescita dell’extra-imprenditorialità. La presenza di stranieri residenti in Emilia Romagna (che nel 1993 era dell’1,1% e nel 2000 era passata al 2,7%) è aumentata notevolmente: nel 2005 l’incidenza dei residenti stranieri sulla popolazione regionale è del 6,2% e le previsioni per il 2006 sono di un ulteriore incremento”.
Anche a seguito dell’aumento della residenza di lunga durata nella nostra regione, dunque, sta cambiando la prospettiva e la tipologia di lavoro degli immigrati; gli spazi di lavoro dipendente diventano sempre più stretti e un numero sempre maggiore di stranieri decide di lasciarsi alle spalle l’esperienza del lavoro subordinato e sceglie di seguire la via autonoma all’occupazione.
“Le motivazioni alla base di questa opzione – prosegue Golfarelli – sono diverse: alcuni stranieri riprendono esperienze già fatte nei paesi d’origine, altri mettono a frutto quanto appreso professionalmente nel corso della loro permanenza in Italia, altri ancora si propongono di dar vita ad attività specificatamente rivolte a propri connazionali, mercato questo sempre più in evoluzione”.
L’imprenditoria etnica sta conoscendo un notevole sviluppo. I cittadini stranieri, comunitari o extracomunitari, iscritti in qualità di titolari di impresa, risultano al 31 dicembre 2004, 16.927 (dati Infocamere), pari all’11,9% del totale nazionale, percentuale che fa dell’Emilia Romagna la seconda regione italiana, insieme al Piemonte e dopo la Lombardia per concentrazione di imprenditori non italiani. Le imprese straniere rappresentano, altresì, il 4% del totale delle 420.401 imprese emiliano romagnole. Si tratta di giovani ma non di giovanissimi, la cui maggior parte si concentra nella fascia di età tra i 30 e i 49 anni.
La percentuale maschile è ancora decisamente rilevante: l’85,7% rispetto a quella femminile pari al 14,3%. Del totale imprese gestite da imprenditori stranieri, 4.215 sono associate alla CNA.
La maggior concentrazione di imprenditori immigrati si riscontra a Bologna (20,3%), Modena (19,9%), Reggio Emilia (18,2%), seguono Forlì-Cesena (10,3%), Ravenna (9,2%) e Rimini (8,56%); chiudono Ferrara (5,60%), Parma (5,34%), Piacenza (1,36%) e Imola (1,03%).
Nella graduatoria dei gruppi etnici maggiormente presenti nelle attività autonome, al primo posto sono gli albanesi (13,1%); al secondo posto i marocchini (10,4%), seguiti dai tunisini (8%) e dai cinesi (7,5%). I settori in cui prevalentemente si concentrano le extra imprese sono le costruzioni (49,1%), i trasporti (8,2%) e il tessile (5%).
Come forma giuridica, tra le extra-imprese prevalgono le società di persone; meno ricorrenti le società di capitale per la costituzione delle quali occorrono mezzi finanziari difficilmente a disposizione degli immigrati.
La maggior parte delle imprese con titolare straniero, ha meno di 3 anni di vita (53,2%); consistente anche la percentuale di imprese che hanno tra i 4 e i 10 anni di vita (32,2%); le imprese in attività da oltre dieci anni sono l’11,2%.
Nonostante l’incremento registrato, restano ancora molti gli ostacoli che gli immigrati incontrano nell’intraprendere un’attività imprenditoriale. In primo luogo le difficoltà burocratiche; le pratiche amministrative già di per sé onerose, agli immigrati risultano ancor più ostiche, non solo perché meno conosciute, ma spesso perché regolate da normative più complesse. C’è poi il problema dell’accesso al credito. Anche se le banche si stanno attrezzando con offerte differenziate, il sistema bancario richiede ancora garanzie che gli immigrati hanno maggiori difficoltà a fornire (il contratto d’affitto, la garanzia del soggiorno, etc.).
Proprio per fornire un aiuto concreto agli stranieri interessati alla creazione di imprese, la CNA ha dato vita ad un sistema di servizi mirati, attivando sul territorio regionale propri “Sportelli per l’immigrazione”.
Strutture che a Bologna, Ferrara, Modena, Parma e Rimini “svolgono – come spiega Beatrice Tragni, responsabile ufficio immigrazione della CNA Emilia Romagna – sia servizi rivolti a quegli immigrati che intendono dar vita ad attività imprenditoriali (riconoscimenti di titoli di studio, convenzioni specifiche su credito e finanziamenti, formazione, interpretariato, consulenza legislativa, consulenza sulla creazione d’impresa), sia servizi e consulenze rivolte ad imprenditori associati che si avvalgono di manodopera straniera (esempio accordi con Acer per l’inserimento in strutture abitative dei dipendenti)”.
Anche a Forlì-Cesena, Ravenna e Reggio Emilia, la CNA si è attrezzata per fornire consulenze specializzate in materia di immigrazione. Servizi, dunque, ma anche politiche. La CNA è presente all’interno della Consulta per l’immigrazione e intende svolgere un ruolo propositivo nelle varie fasi di programmazione.
“Il lavoro autonomo e l’imprenditorialità possono, infatti, rappresentare fattori di integrazione dei cittadini stranieri ed il territorio può trovare nuova spinta propulsiva nell’imprenditoria etnica. A patto però che le politiche rivolte loro, non guardino agli stranieri come soggetti deboli, ma come attori socio economici nel contesto regionale”.