L’ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale si è recato presso la Casa di reclusione di Castelfranco Emilia per effettuare colloqui con gli internati.
Il numero delle presenze è tendenzialmente stabile: sono un centinaio le persone in regime di internamento, mentre quelle detenute in regime di custodia attenuata si contano sulle dita di una mano. Restano stabili anche le caratteristiche degli internati: si tratta per lo più di persone in condizione di forte disagio sociale, con storie di tossicodipendenza o problemi psichiatrici alle spalle (alcuni con doppia diagnosi), senza riferimenti sociali, abitativi, di lavoro, spesso privi anche di legami familiari dopo una vita trascorsa in carcere. Gli stranieri, spesso privi di documenti, sono ancora più sforniti di una rete di relazioni che possa supportarli all’esterno, con ulteriori difficoltà di reinserimento sociale.
Immutata è anche la normativa prevista dal codice penale in tema di misure di sicurezza detentive per imputabili che prevede l’assegnazione alla casa di lavoro o alla colonia agricola, sebbene siano da tempo depositati progetti di riforma favorevoli alla loro abrogazione (fra gli altri, i progetti di riforma del Codice Penale Grosso, Nordio e Pisapia, e il Disegno di legge presentato nel 2010 alle Camere d’iniziativa dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna).
All’interno della casa di lavoro c’è pochissima possibilità di lavorare (alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria), a turnazione, solo per periodi limitati e con retribuzioni decisamente insufficienti per chi è in condizioni di lavorare e vorrebbe impiegare utilmente il tempo. La giornata è trascorsa per la maggior parte nell’ozio. Da tempo viene applicato il regime aperto alle camere detentive, con un orario di apertura particolarmente ampio.
Anche di recente (il 25 febbraio) la Garante regionale, Desi Bruno, è tornata ad interrogare in forma scritta i vertici dell’Amministrazione penitenziaria circa la possibilità di attuare forme di riorganizzazione tese alla territorializzazione delle misure di sicurezza (in questo senso potrebbero essere utilizzati gli appositi spazi degli istituti penitenziari, soluzione consentita dall’ordinamento penitenziario), consentendo il rientro e/o l’avvicinamento, ove possibile, degli internati ai luoghi di residenza o comunque di frequentazione abituale, e agevolando così la presa in carico da parte dei servizi territoriali. In questo modo, si potrebbe incidere sui casi di proroga, anche consentendo alla Magistratura di sorveglianza di valutare opportunità concrete per l’internato di progressiva “fuoriuscita” dalla misura di sicurezza, con la trasformazione della misura di sicurezza detentiva in libertà vigilata sino alla revoca. Sul tema, l’Amministrazione penitenziaria aveva già manifestato un orientamento favorevole.
A normativa immutata, potrebbe risultare anche di una certa utilità il protocollo operativo predisposto dal Prap dell’Emilia-Romagna per la gestione dell’esecuzione della misura di sicurezza detentiva, del 24 settembre 2013, da applicare nei casi in cui la persona in esecuzione di pena – intra ed extra muraria- risulti soggetta a misura di sicurezza e finalizzato a consentire un’effettiva presa in carico della persona.
Nel corso della visita, si è avuto modo di apprendere ulteriori dettagli circa la tragica morte di un internato, avvenuta fuori dall’istituto: di rientro da una licenza, mentre scendeva dal treno per fare rientro in Istituto, l’uomo è rimasto incastrato con il piede nella porta, la cui chiusura era stata attivamente automaticamente, venendo trascinato per centinaia di metri, prima che il treno interrompesse la corsa.