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Il Mercante di Venezia dal 6 marzo allo Storchi di Modena

Il mercante di Venezia, celebre testo shakespeariano, si trasforma nella visione registica di Luca De Fusco, in un film misterioso e malinconico ambientato in una Venezia esotica, città di traffici, spie e avventurieri, il regista è riuscito a evocare questi immaginari grazie alle scene di Antonio Fiorentino e ai costumi di Vera Marzot. Eros Pagni, applauditissimo Willy Loman in Morte di un commesso viaggiatore ospite la scorsa stagione al Teatro Storchi, torna nel ruolo di Shylock affiancato da Gaia Aprea, Max Malatesta e Sebastiano Tringali.

Lo spettacolo (in scena al Teatro Storchi dal 6 all’8 marzo alle ore 21 e la domenica 9 marzo alle ore 15:30) si immerge a pieno titolo nel mistero di uno dei testi più enigmatici di Shakespeare.

Opera ambigua fin nella sua definizione di commedia, Il Mercante di Venezia viene ricontestualizzato: non più un’ambientazione seicentesca, ma una Venezia astratta vicina agli anni ’30, un luogo di confine, cinico e mercantile, quasi l’equivalente di alcune città orientali nella cinematografia del secolo scorso. Venezia rappresenta così il versante più realistico, mentre quello più creativo è rappresentato da Belmonte, luogo d’origine di Porzia che rappresenta un territorio fantastico e creativo. La scena è costruita intessendo una serie di specchi a rendere l’atmosfera evanescente, adatta ad un testo in cui tutto ciò che sembra contrapporsi finisce per rispecchiarsi, un testo che invita il lettore e lo spettatore a diffidare delle apparenze. Shylock è un personaggio sfaccettato, solo apparentemente un concentrato di orribili vizi, ma alla fine sembra più un capro espiatorio, una cartina al tornasole di tutti quei vizi della comunità stessa dalla quale è rifiutato. Il Mercante non si conclude con il quarto atto, perché Shakespeare non ha inteso raccontare solo la storia di Antonio e Shylock ma anche quella di Porzia. E vuole riaffermare la superiorità del gioco sui traffici, della fantasia sulla realtà. Ecco perché conclude questa sua parabola sulla inafferrabilità del reale con l’affascinante quinto atto, dal significato più che mai sfuggente. Esso si apre con un’ode alla musica che è un atto di amore verso l’immaginazione e quando Lorenzo critica l’animo di chi non si fa emozionare dalla musica, sembra parlare della cinica comunità di mercanti che abbiamo da poco lasciato. Alla fine della lunga indagine che De Fusco ha svolto su un testo così affascinante, ne viene fuori uno spettacolo che è atto d’amore verso l’arte, l’immaginazione, in definitiva, il teatro.
















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