Il ricorso alla mobilità nel modenese ha raggiunto i livelli più alti negli ultimi anni sfiorando le 4 mila unità al 31 dicembre 2004 (3.980 lavoratori rispetto ai 3.198 del 2003). Sono stati 2.517 i lavoratori entrati in mobilità nel corso dell’anno e 1.734 quelli che ne sono usciti, ma solo la metà (855) verso un posto a tempo indeterminato. Un dato che, comunque, ha anche aspetti positivi visto che negli anni precedenti la quota di chi è uscito dalla mobilità trovando un nuovo posto di lavoro era intorno al 40 per cento. Le aziende con più di 15 dipendenti che hanno fatto ricorso alla mobilità nel 2004 sono state 71 (1.487 lavoratori) rispetto alle 60 del 2003 (1.100 lavoratori) Dal 2000, quando erano 44 con 724 lavoratori coinvolti, l’aumento è stato costante.
Queste cifre fanno parte del Rapporto 2004 dell’Osservatorio sul mercato del lavoro della Provincia di Modena che, presentato venerdì 13 maggio, tiene conto dei dati raccolti dai Centri per l’impiego nella loro attività quotidiana e dell’indagine trimestrale sulle forze di lavoro effettuata su di un campione di famiglie modenesi con oltre 27 mila interviste nel corso dell’anno.
“L’approfondimento sul ricorso alla mobilità è una novità del Rapporto – afferma l’assessore provinciale al Lavoro Fabrizio Righi – e la sua analisi aggiunge un ulteriore elemento di criticità da non sottovalutare rispetto all’andamento dell’economia modenese, pur in presenza di un mercato del lavoro sostanzialmente sano, con una bassa percentuale di persone in cerca di occupazione e una buona parte della popolazione attiva dal punto di vista lavorativo. Ma aumentano, appunto, le persone in cerca di occupazione e il mercato del lavoro – aggiunge Righi – continua ad assorbire questa nuova offerta (più 1,5 per cento dell’occupazione) ma non a un ritmo sufficiente, con la disoccupazione che, quindi, passa dal 3,1 al 3,3, rimanendo comunque una delle più basse in Italia”.
Le persone in cerca di lavoro sono stimate in poco più di 10 mila, mentre rispetto ai contratti è confermato l’aumento di quelli a tempo determinato con la riduzione dell’indeterminato (ormai solo un’assunzione su quattro) e la stabilizzazione attorno al 15 per cento del ‘lavoro interinale’.
Alle donne è riservate più spesso che agli uomini un contratto a tempo determinato e la disoccupazione femminile è più alta rispetto a quella maschile (4,7 contro 2,3 per cento) pur essendo tra le più basse in regione (la media è del 5 per cento) e a livello nazionale (10,5 per cento).