
Cosa rende gli adolescenti più o meno inclusivi, capaci di accogliere la diversità etnica e culturale e di sostenere l’integrazione delle persone straniere? È la domanda al centro di un ampio programma di ricerca condotto al Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari” dell’Università di Bologna, nell’ambito del progetto IDENTITIES – Managing Identities in Diverse Societies: A Developmental Intergroup Perspective with Adolescents. Finanziato dall’European Research Council (ERC) e coordinato dalla professoressa Elisabetta Crocetti, il progetto si basa su un articolato studio longitudinale che coinvolge più di 1500 adolescenti, le loro famiglie, i loro insegnanti e gli assessori dei comuni in cui risiedono.
Per la prima volta si è analizzato in modo integrato come l’inclusività si sviluppi nel tempo, mostrando che non è solo una questione individuale: è profondamente modellata dai contesti di vita quotidiana. Famiglia, scuola e territorio svolgono un ruolo attivo e differenziato nel favorire o, viceversa, ostacolare l’adozione di una prospettiva aperta e accogliente verso la diversità.
“Il progetto vuole esplorare come giovani con diversi background costruiscano la propria identità all’interno di una società sempre più multiculturale – afferma la professoressa Crocetti – Offre uno sguardo nuovo sull’inclusione giovanile, utile non solo alla comunità scientifica, ma anche a chi si occupa di educazione, politiche giovanili e inclusione sociale. I risultati evidenziano la necessità di agire su più livelli – individuali, relazionali e strutturali – per favorire una cultura dell’accoglienza e del rispetto”.
Cruciale si è rivelato il ruolo della famiglia. E sono i padri – più delle madri – ad influenzare lo sviluppo dei valori inclusivi delle figlie e dei figli. L’influenza è maggiormente incisiva quando i giovani percepiscono supporto emotivo da parte del padre. Quando i padri hanno orientamenti politici di sinistra il rapporto diventa bidirezionale: anche le figlie e i figli influenzano le opinioni dei genitori.
La scuola emerge come luogo di identità e apertura: gli adolescenti sono più inclusivi dei genitori, ma meno degli insegnanti. Chi sviluppa una forte identità scolastica – caratterizzata da impegno e riflessione – tende ad avere maggiore apertura verso la diversità, indipendentemente dall’origine. Una scuola che promuove equità e rispetto della diversità etnica e culturale favorisce il benessere sociale e il senso di appartenenza, essenziali per un atteggiamento inclusivo duraturo.
Infine, il ruolo del territorio: vivere nella diversità non basta. Nei comuni con alta diversità etnica e culturale, gli adolescenti possono infatti sviluppare atteggiamenti più chiusi, soprattutto se mancano esperienze positive di interazione tra gruppi. Le ragazze risultano meno influenzate da questi effetti negativi rispetto ai loro coetanei.
Un elemento distintivo degli studi è l’attenzione rivolta sia agli adolescenti con background migratorio (nati all’estero o con almeno un genitore nato all’estero) sia a quelli senza (nati in Italia da genitori italiani). Questo approccio ha permesso di superare un limite tipico degli studi precedenti, spesso centrati solo sul gruppo maggioritario, e di comprendere come entrambi i gruppi si rapportano al tema dell’inclusività.
I risultati di questi studi si inseriscono nell’ambito della tesi di dottorato di Fabio Maratia, sviluppata all’interno del progetto IDENTITIES. La tesi è stata insignita del premio Migliore tesi di dottorato 2024-25, assegnato dall’Associazione Italiana di Psicologia Sociale.