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Abilità, motivazione, caratteristiche personali: l’equazione che misura il segreto di una performance di successo

Dai campioni olimpici agli studenti universitari, passando per i lavoratori di ogni ambito: un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna ha messo a punto un modello per misurare i fattori che influenzano le prestazioni personali, aiutando così le organizzazioni a concentrarsi in modo mirato su orientamento, formazione e sviluppo del personale

Che cosa fa di un atleta un campione olimpico? Quali fattori rendono un chirurgo un esperto di primo piano? Cosa permette ad un artigiano di realizzare con maestria il suo lavoro? Che cosa c’è alla base di un esame universitario superato il modo brillante? Da molto tempo la psicologia del lavoro, le scienze dell’educazione e il management si interrogano sui fattori che permettono di ottenere alte prestazioni in qualunque ambito.

Con un lavoro durato oltre dieci anni, un gruppo di ricerca guidato da Filippo Ferrari, professore al Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna, è riuscito a identificare i fattori che sono alla base della performance e misurarli con un’equazione che comprende la somma di abilità, motivazione e caratteristiche personali, a cui si aggiunge il contesto esterno.

Lo studio – pubblicato sul Business Process Management Journal – mostra che i fattori personali influiscono tra il 40 e il 65% sul risultato finale della prestazione, mentre una quota compresa tra il 35 e il 60% è determinata da fattori esterni.

“Questa equazione fornisce un quadro oggettivo per misurare i fattori che influenzano le prestazioni dei dipendenti e offre quindi spunti strategici per la gestione delle risorse umane”, spiega Filippo Ferrari. “Si tratta di un modello che aiuta le organizzazioni a concentrarsi sulle competenze specifiche che sono più critiche per le prestazioni, consentendo una formazione mirata e ignorando le competenze meno rilevanti”.

Ma come funziona questa equazione? Vediamo un esempio. Cosa rende Jannick Sinner un campione? Per prima cosa è dotato di un fisico e di una personalità adeguati al gioco del tennis (caratteristiche personali). Poi possiede eccellenti livelli di tecnica tennistica (abilità). E infine si allena e gareggia con intensità, tenacia e dedizione (motivazione). Questi fattori sono alla base della performance di qualunque tennista, anche mediocre, ma in Sinner hanno valori estremamente elevati.

Lo stesso discorso può valere per uno studente universitario: per superare brillantemente un esame deve avere certe attitudini personali (intelligenza, attitudine per la materia), e queste sono le caratteristiche personali. Poi deve impegnarsi con costanza ed intensità nel preparare ed affrontare l’esame, e questa è la motivazione. Infine, deve possedere determinate competenze: deve sapere prendere appunti a lezione, saper riassumere testi, essere in grado di usare al meglio le tecnologie che possono aiutarlo nello studio, e queste sono le abilità.

“Dal punto di vista teorico, è possibile che una carenza in un singolo fattore sia compensata da livelli particolarmente elevati in altri fattori, ma dal punto di vista matematico i tre fattori non possono essere simultaneamente pari a zero, altrimenti la prestazione sarebbe impossibile, o meglio sarebbe dovuta solo a fattori non legati al soggetto”, precisa Ferrari. “Oltre a competenze, motivazione e caratteristiche personali ci sono infatti molti fattori situazionali che possono influenzare la performance, ad esempio lo stile di leadership e il clima psicologico: un ulteriore valore da inserire nell’equazione”.

L’equazione permette quindi di misurare quale parte della prestazione dipende dalle capacità del singolo individuo e quale dal contesto, attribuendo di conseguenza le giuste responsabilità al singolo ed evitando di valutare la prestazione anche per aspetti che sono al di fuori del suo controllo.

Collegando competenze, motivazione e caratteristiche personali, il modello messo a punto dagli studiosi dell’Università di Bologna permette di stimare le prestazioni future e fornisce quindi un metodo più affidabile rispetto alla misura delle capacità cognitive generali, che è spesso meno accurata. Così facendo, il modello permette di implementare oggettivamente e con efficacia tutte le pratiche legate alla selezione, gestione, orientamento e sviluppo del personale. E può contribuire a un sistema di valutazione delle prestazioni più equo, riducendo al minimo i pregiudizi e migliorando la giustizia organizzativa.

Lo studio è stato pubblicato sul Business Process Management Journal con il titolo “The employee-related antecedents of work performance: exploring a three-sided model for Human Resources Management” ed è firmato da Filippo Ferrari, professore al Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna.

















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