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Ritorno al futuro: indietro ai tempi dei primi Sapiens con un orologio futuristico, il nuovo Radiocarbonio 3.0

Arriva un’innovazione del celebre metodo di datazione utilizzato in archeologia: gli studiosi l’hanno messa alla prova, con ottimi risultati, sul sito di Bacho Kiro, dove sono emerse le più antiche evidenze dirette della presenza dell’Homo Sapiens in Europa

Si chiama Radiocarbonio 3.0: è una versione aggiornata e potenziata del celebre metodo di datazione al radiocarbonio, e promette di rivelare nuovi preziosi indizi sugli eventi chiave della storia umana più antica, a partire dall’interazione tra Homo Sapiens e Neanderthal in Europa. A mostrarlo è la combinazione delle date ad alta risoluzione ottenute dal sito di Bacho Kiro, in Bulgaria, con il nuovo pezzo della curva di calibrazione del radiocarbonio ottenuto grazie agli anni degli alberi Kauri della Nuova Zelanda.

Questi importanti risultati – pubblicati sulla rivista PLOS ONE – nascono da un ampio lavoro di ricerca, coordinato dalla professoressa Sahra Talamo, direttrice del laboratorio di radiocarbonio BRAVHO dell’Università di Bologna, a cui hanno collaborato due esperti internazionali del radiocarbonio dell’Università di Heidelberg (Germania) e dell’ETH Zurigo (Svizzera), nonché l’esperto sugli isotopi della Simon Fraser University (Canada). I dati ottenuti mostrano per la prima volta un legame tra la presenza di esseri umani e le diverse fasi climatiche dell’ultima glaciazione: un elemento che potrebbe avere importanti conseguenze nello studio su larga scala dei movimenti e delle fasi di sviluppo della storia umana più antica.

“Utilizzando il Radiocarbonio 3.0 siamo riusciti a ricostruire con più precisione i movimenti di antichi ominidi avvenuti nei principali siti archeologici europei nel corso delle diverse fasi climatiche“, dice Sahra Talamo, professoressa al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Università di Bologna, prima autrice dello studio. “Grazie ad analisi di questo tipo è possibile quindi ottenere nuove preziose informazioni sull’evoluzione degli insediamenti umani più antichi e sulla resilienza degli ominidi in differenti fasi climatiche: tutti elementi che potrebbero aver contribuito alla diffusione dell’Homo Sapiens a livello globale”.

Il radiocarbonio è il metodo di datazione più utilizzato in archeologia, soprattutto negli studi sull’evoluzione umana. Negli ultimi decenni, ha permesso a studiosi di tutto il mondo di fare importanti passi avanti nel ricostruire la cronologia di eventi chiave della nostra storia. Questo strumento però – basato sulla rilevazione nei campioni organici studiati di un isotopo radioattivo del carbonio, il Carbonio-14 – non permette sempre di ottenere datazioni abbastanza precise e accurate per comprendere a pieno alcuni passaggi rilevanti, ad esempio le fasi di interazione dei Neanderthal con l’Homo sapiens.

La sfida dunque era ampliare le potenzialità del radiocarbonio, aumentando le sue capacità di risoluzione temporale. Per riuscirci, gli studiosi si sono concentrati su tre aspetti fondamentali: più accurati metodi di pretrattamento dei campioni da analizzare, l’utilizzo della più avanzata spettrometria di massa con acceleratore (AMS-MICADAS) e una più accurata curva di calibrazione, IntCal20, che permette di datare con alti livelli di precisione reperti risalenti fino a 55.000 anni fa. I ricercatori hanno aggiunto alla curva IntCal20 una nuova sezione di date ad alta risoluzione ottenute sugli anelli di alberi glaciali nell’intervallo di età compreso tra 44.000 e 41.000 anni fa: un periodo chiave per lo studio dell’interazione tra Homo Sapiens e Neanderthal.

L’unione strategica di questi tre ingredienti ha permesso di dare vita a una versione rafforzata del metodo di analisi del Carbonio-14, chiamata Radiocarbonio 3.0. E le sue potenzialità sono state subito messe alla prova dagli studiosi sui resti rinvenuti nel sito archeologico di Bacho Kiro, in Bulgaria (l’unico sito al mondo per il quale sono state realizzate 21 datazioni al radiocarbonio ad alta risoluzione in un singolo livello archeologico), dove sono emerse le più antiche evidenze dirette della presenza dell’Homo Sapiens in Europa.

“Grazie a queste nuove analisi siamo riusciti a dimostrare che l’arrivo degli umani a Bacho Kiro non è avvenuto in un solo momento, ma ci sono state tre diverse fasi di occupazione – tra 44.650-44.430 anni fa, tra 44.200-43.420 anni fa e tra 43.110-42.700 anni fa – o forse solamente due, tra 44.650-44.430 anni fa e tra 44.310-43.710 anni fa”, spiega Talamo. “Arrivare a datazioni con intervalli di errore così ristretti, soprattutto in un periodo cruciale come quello intorno a 42.000 anni fa, è uno dei vantaggi fondamentali del Radiocarbonio 3.0: il suo utilizzo su larga scala per lo studio dei siti archeologici chiave europei potrebbe rivoluzionare gli scenari ipotizzati fino ad oggi, permettendoci di rispondere alle tante domande che ancora restano aperte sulla storia di questo periodo fondamentale per l’evoluzione umana”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista PLOS ONE con il titolo “Back to the future: the advantage of studying key events in human evolution using a new high resolution radiocarbon method”, e realizzato da un gruppo internazionale di ricerca, guidato da dalla Prof.ssa Sahra Talamo (Università di Bologna), a cui fa parte Bernd Kromer (Università di Heidelberg, Germania), Michael P. Richards (Simon Fraser University, Canada) e Lukas Wacker (ETH Zurich, Svizzera).

















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