A distanza di quasi vent’anni dall’omicidio Poli, il caso è stato oggi risolto grazie all’attività investigativa svolta dal personale della Sezione “Omicidi e Reati contro la persona” della Squadra Mobile di Bologna, con la preziosa ed importante collaborazione dell’U.D.I. (Unità Delitti Insoluti).
Il 5 dicembre 1999, alle 23.15 circa, il cadavere di Valeriano Poli, buttafuori di professione, veniva trovato in strada in via Della Foscherara nr.4/11, vicinissima alla sua residenza, raggiunto da cinque colpi di arma da fuoco di cui uno mortale alla testa. Il sopralluogo stabiliva che l’assassino, armato di una pistola cal.7,65 e da una distanza non superiore ai sei metri, aveva colpito ripetutamente la vittima. Veniva poi sequestrato poco lontano, nei pressi di un cavalcavia, un caricatore di pistola contenente complessivamente 11 proiettili cal.7,65, mentre attorno alla vittima, nei pressi del civico 4 della medesima via, si rinveniva a terra 8 bossoli dello stesso calibro. Il giorno seguente, all’interno di un orto sito lungo la via Della Foscherara, poco prima del cavalcavia e quindi vicino al luogo in cui era stato trovato il caricatore, veniva rinvenuta e sequestrata la pistola utilizzata per compiere il delitto, una Carl Walther Spec AUSF cal. 7,65 completa di silenziatore e con caricatore inserito privo di munizioni.
Le indagini, condotte dalla Squadra Mobile di Bologna, che si sono sviluppate in un ambiente pervaso da profonda omertà, portavano ad accertare come il “movente” dell’omicidio era un atto di rivalsa che l’assassino aveva premeditato e maturato a seguito di una discussione avvenuta circa nove mesi prima dell’omicidio, all’esterno di una nota discoteca bolognese. Quella notte, Poli, responsabile del servizio di sicurezza della discoteca, ebbe una discussione (per futili motivi) con tal S.M., bolognese ora 59enne e altri suoi amici. I due vennero alle mani e Poli (notoriamente molto abile nel corpo a corpo) colpì duramente S.M. che, quasi svenuto per i colpi subiti, minacciò poi ripetutamente di morte il buttafuori, dicendo esplicitamente: “…tanto torno con il cannone”.
Dopo la lite presso la discoteca avevano inizio i ripetuti atti intimidatori ai danni di Poli, il cui unico e possibile scopo è risultato quello di attuare un macabro avvertimento premonitore ai suoi danni che, da quel momento e fino all’omicidio (da maggio a dicembre 1999), veniva dal suo assassino ininterrottamente “avvisato” del destino che lo avrebbe atteso: la vittima ritrovava in più circostanze degli spilloni funebri ( c.d. “Stecche per Corone”) sulla propria auto; bossoli e proiettili sparati dalla stessa arma che poi l’avrebbe ucciso, lettere minatorie.
L’attuale impianto accusatorio, che ha portato all’esecuzione dell’arresto a carico di S.M. si fonda, inoltre, su un nuovo ed oggettivo elemento di prova, ossia la riscontrata presenza, sugli scarponcini indossati dalla vittima al momento dell’omicidio, di tracce di sangue risultate certamente riferibili, attraverso l’individuazione del profilo genetico, proprio all’indagato S.M.. Questo risultato è stato raggiunto grazie all’attività svolta dall’U.D.I., istituita nel 2009 presso la Direzione Centrale Anticrimine e composta da un gruppo di specialisti di cui fanno parte investigatori del Servizio Centrale Operativo ed esperti forensi della Polizia Scientifica che analizza i cold case attraverso l’utilizzo delle più moderne tecnologie attraverso le quali è stato possibile dimostrare scientificamente che il sangue presente sulle calzature di Valeriano Poli era stato lì trasmesso dall’autore del reato la sera dell’omicidio. In particolare l’unico elemento in grado di contestualizzare questo fatto era un video, ritraente Poli con indosso le medesime scarpe pochi giorni prima dell’omicidio.
In considerazione della ridotta qualità del video e dell’impossibilità di effettuare un esperimento giudiziale a causa del tempo trascorso, che rappresentano i tradizionali accertamenti per elaborare immagini, è stato necessario ricorrere ad una innovativa tecnica di comparazione tridimensionale denominata “analysis of virtual evidence”, applicata per la prima volta nel nostro paese in ambito forense. L’analisi delle immagini è stata effettuata comparando tra loro i frame estratti dal video con un ambiente virtuale ricostruito in 3D, dove attraverso una scansione laser la scarpa da reperto fisico si è trasformata in una “virtual evidence” digitale. Gli accertamenti svolti con una perfetta sovrapposizione della virtual evidence del reperto costituito dallo stivaletto sx sulle immagini registrate, ha consentito ai tecnici di determinare in via definitiva che: “sulle scarpe riprese nel video non sono presenti le macchie di sangue riscontrate il giorno dell’omicidio”.