All’Assemblea annuale di Confindustria Modena, la relazione del Presidente e gli interventi hanno proposto un quadro complesso e articolato della situazione economica modenese, certamente problematico per la modestissima ripresa, l’assenza di politiche industriali, ma anche ricco di sollecitazioni e ottimismo sulla necessità di mettere al centro la manifattura, sviluppare le filiere, attrarre gli investimenti.
Gli ultimi dati Istat segnalano alcune cattive notizie nei dati economici: il rallentamento della crescita a breve e la deflazione. Il mercato del lavoro, dice ancora l’Istat, è tutto a luci ed ombre.
Mi permetto quindi alcune riflessioni.
Alcune delle sollecitazioni avanzate dal Presidente Caiumi sono per molti aspetti condivisibili, specie sulla necessità di fare sistema, sfruttare le potenzialità presenti nel nostro territorio, sollecitare una politica industriale.
A molte di queste questioni, la Cgil ha contribuito e continuerà a farlo valorizzando il ruolo della legalità, della contrattazione e del buon lavoro nei recenti Patti sottoscritti sia a livello territoriale che regionale, così come nei tanti contratti aziendali che firmiamo, anche in molte imprese associate a Confindustria.
Tuttavia a me pare che i motivi di preoccupazione siano ancora molti e in molti casi direi che non trovano la giusta discussione nel dibattito politico (che ci “ obbliga” all’ottimismo e alla fiducia, certamente importanti, ma che devono però essere sostenuti da analisi e critica).
Più in generale, molti dei motivi di preoccupazione non possono non accompagnarsi ad un giudizio negativo sulle politiche prevalenti negli ultimi anni (sia in Europa che in Italia) che hanno visto nella riduzione della spesa per welfare e nella compressione dei salari e dei diritti le vie guida per la nuova competitività.
Ecco, queste sono strade che non funzionano, che deprimono il potere d’acquisto, che incentivano la via bassa allo sviluppo, che minano alle fondamenta il rapporto di fiducia fra i cittadini e lo Stato.
Molto si potrebbe discutere dei cambiamenti nelle condizioni del mercato interno, della mancata scommessa di troppe imprese sulla innovazione e sul capitale umano, della retorica sugli investimenti in formazione che poi però inciampano sull’uso massiccio e indiscriminato dei voucher e con la reale condizione delle giovani generazioni, costrette ad un futuro precario o a cercare futuro altrove.
In queste settimane poco si discute pubblicamente di alcune questioni messe in campo dal Sindacato Confederale, questioni che sono troppo “a margine” della discussione economica e che invece sono decisive per il futuro del Paese.
La prima riguarda il nodo dei contratti nazionali di lavoro. Ci sono ancora molti milioni di lavoratori che aspettano il rinnovo dei contratti. Veniamo da settimane di mobilitazioni unitarie di Cgil Cisl Uil: i lavoratori del commercio e del turismo, i pubblici dipendenti, i lavoratori della scuola, i lavoratori meccanici che sciopereranno unitariamente venerdì 10 giugno, con manifestazione regionale a Bologna.
Non è una rivendicazione corporativa quella per il diritto al rinnovo del contratto nazionale ma, al contrario, interroga e riguarda tutti. Nel caso dei dipendenti pubblici, i cui stipendi sono bloccati da ormai 7 anni, riguarda i cittadini/utenti che fruiscono dei servizi, i sindaci e gli amministratori che con quei lavoratori e con la gestione dei servizi devono fare i conti. Per i lavoratori di tutti i settori, pubblici e privati, il rinnovo del contratto chiama in causa le retribuzioni dignitose, l’organizzazione del lavoro, le flessibilità e la gestione dei contratti precari, solo per citarne alcuni.
La seconda riguarda il tema delle pensioni. L’avvio di un tavolo sindacale è frutto delle mobilitazioni di questi mesi, ultima la grande manifestazione dei pensionati del 19 maggio, ma oggi il tema è capire se c’è la volontà di affrontare in modo strutturale interventi radicalmente correttivi della Riforma Fornero sulla flessibilità in uscita e sulla garanzia di un sistema pensionistico pubblico che garantisca le giovani generazioni nel metodo contributivo.
La terza riguarda la proposta della Cgil per una Nuova Carta dei diritti universali del lavoro e dei quesiti referendari a sostegno della stessa. Non possiamo infatti affrontare il tema della crescita e dello sviluppo pensando che il lavoro possa continuare ad essere una variabile dipendente dalle sole ragioni della competitività delle imprese. Le ricette neoliberiste degli ultimi anni, e le scelte – anche politiche – che ne sono conseguite, a partire dalla riforma del mercato del lavoro, dimostrano tutti i loro limiti, determinando un modello di società i cui i tanti limiti e le tante mancanze hanno acuito diseguaglianze e differenze sociali.
Riteniamo perciò che questo modello sia da cambiare, così come va cambiato il vocabolario delle nostre azioni e delle relazioni industriali: diritti , contrattazione, partecipazione e inclusione sono gli unici assi su cui fondare un circolo virtuoso che possa innestare una prospettiva di crescita.
(Tania Scacchetti, segretaria Cgil Modena)