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Vignola, tentano omicidio per eredità: 4 arresti dei carabinieri di Sassuolo

carabinieri-sassuoloPer l’eredità pagarono due persone che, la sera del 19 novembre dello scorso anno, a Vignola,  accoltellarono un 74enne, Luciano Pancaldi. Nei confronti della figlia, del genero della vittima e dei due sicari i carabinieri dell’Aliquota Operativa della Compagnia Carabinieri di Sassuolo, unitamente a quello della Tenenza di Vignola, alle prime ore di questa mattina hanno dato esecuzione a quattro ordinanze di misure Cautelari in Carcere, emesse dal Gip Paola Losavio del Tribunale di Modena.

In manette sono così finiti: C.P. (figlia), F.A.G.R. (marito di quest’ultima), R.S. e S.V., ritenuti  responsabili, in concorso tra loro, del reato di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione, oltre che dall’uso di armi e dal rapporto di parentela ai danni del 74enne.

L’indagine, diretta dal Sost. Proc. Pasquale Mazzei e coordinata dal Procuratore Capo Lucia Musti, è iniziata l’indomani dell’agguato avvenuto il  19 novembre dello scorso anno, in pieno centro cittadino di Vignola, quando Pancaldi, mentre effettuava la consueta passeggiata serale dopo aver cenato, veniva avvicinato da uno sconosciuto che gli sferrava una serie di coltellate al corpo e al volto, per poi scappare velocemente a piedi. L’anziano, seppur gravemente ferito, riusciva a rialzarsi e a dirigersi verso una pattuglia della locale Polizia Municipale che prestava i primi soccorsi. L’uomo stante la gravità delle ferite veniva trasportato all’Ospedale di Baggiovara in prognosi riservata. Le modalità e l’efferatezza di tale gesto, ben nove fendenti arrivati a segno, portavano gli inquirenti ad escludere sin da subito un tentativo di rapina ai danni dell’anziano, e a concentrare le indagini sulla vita privata dell’uomo.

Le prime confuse parole pronunciate dal Pancaldi ai soccorritori prima di perdere i sensi e gli immediati accertamenti posti in essere, indirizzavano le indagini in ambito familiare. In particolare emergeva una situazione caratterizzata da profondi dissidi tra l’anziano e la figlia; dissidi aumentati all’indomani della morte della moglie dell’uomo e alla conseguente suddivisione dell’asse ereditario tra padre e figlia, ammontante a diverse centinaia di migliaia di euro. L’attrito famigliare raggiungeva la completa rottura quando il Pancaldi decideva di promuovere un’azione legale per il riconoscimento della “legittima” e difendersi dalle continue e pressanti richieste della figlia, di vendere l’abitazione di famiglia dove vive l’anziano, per poter ottenerne il ricavato e fronteggiare un elevata esposizione debitoria.

A confermare i primi sospetti, una denuncia di rapina dai contorni poco chiari, presentata un mese prima da F.A.G.R (marito della figlia), nella quale l’uomo riferiva di essere stato rapinato da uno sconosciuto che, dopo averlo picchiato e derubato di circa 400 euro, allontanandosi gli diceva che i soldi erano a pagamento del lavoro eseguito. Tale singolare episodio avvalorava l’ipotesi di un tentativo grossolano di precostituirsi un alibi.

A questo punto i tradizionali metodi investigativi venivano  supportati da indagini tecniche, quali intercettazioni sulla figlia e il coniuge che permettevano di acquisire importanti fonti di prova. La coppia, certa che gli inquirenti stessero perseguendo come unica pista investigativa quella di un tentativo di rapina, nel corso delle conversazioni rivelavano di essere i mandanti dell’efferata aggressione, commissionata a due soggetti (R.S. e S.V.) e, successivamente, resisi conto di essere sospettati, mettevano in luce l’intenzione di sviare le indagini concordando preventivamente le versioni da dare agli inquirenti negli interrogatori a cui sarebbero stati sottoposti, al fine di far ricadere la colpa solo sugli altri due complici.

I successivi accertamenti portavano ben presto ad identificare i complici, nel 35enne R.S. e nel 40enne S.V., soggetti questi, con piccoli precedenti penali, non collegati ad alcun organizzazione criminale, facenti parte la sfera di conoscenze personali dei due coniugi. Il primo  pronto a risolvere “il problema familiare” assoldando il secondo, il materiale autore dell’aggressione. 20.000 euro il compenso pattuito da dividere tra i due. Compenso mai riscosso stante il mancato raggiungimento dell’obiettivo.

Tra gli aspetti inquietanti emersi nel corso delle indagini, che inquadrano lo stretto legame tra mandanti ed esecutore, la ricostruzione della  rocambolesca fuga di S.V. (accoltellatore) la sera dell’agguato, il quale, al fine di sfuggire alla fitta rete di controlli dei Carabinieri, trovava rifugio proprio presso l’abitazione della coppia mandante, dove giungeva, ancora con l’arma del delitto e con gli abiti insanguinati, portando la notizia del compimento di quanto pianificato.
















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