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Braida: il quartiere si racconta in 80 storie e 300 foto

Un anno di viaggio tra le strade di Braida, 80 storie e oltre 300 scatti per raccontare il quartiere più chiacchierato di Sassuolo, nei volti e nelle parole delle donne e degli uomini, dei bambini e delle bambine, degli immigrati e dei
pensionati: si presenta venerdì 6 giugno alle 18.30 al Centro per le famiglie di Sassuolo (di fronte al parco Amico di Braida) l’atteso libro “Io sono di Braida.

Storie sincere di un quartiere discusso”. (prefazione di don Luigi Ciotti, contributi di Gianni Biondillo e Roberto Valentini, Edizioni Artestampa, Modena 2008).

Alla presentazione parteciperanno il sindaco Graziano Pattuzzi. l’assessore alle Politiche sociali Susanna Bonettini, il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena Andrea Landi, l’autrice dei testi Giulia Bondi, il fotografo autore degli scatti Luigi Ottani e lo scrittore Roberto Valentini, autore di un racconto inserito nel libro.
Seguirà rinfresco e dalle 20.30 in poi ci si sposterà allo spazio Duplex in via Circonvallazione 193 con musica, brani del libro interpretati dagli artisti di Impropongo e proiezione delle fotografie di Luigi Ottani.


Così don Luigi Ciotti commenta il lavoro nella sua prefazione: “questo diario di viaggio nel quartiere Braida, nel degrado ma anche nella speranza del cambiamento, nell’insofferenza ma anche nell’orgoglio di mettersi in gioco per migliorare la propria vita e il proprio territorio, le immagini e i racconti ci dicono meglio di un trattato di sociologia quelle che sono le ferite e le difficoltà del tessuto sociale urbano oggi”.


Giulia Bondi, 31 anni, giornalista praticante, lavora all’ufficio stampa del Comune di Modena e come freelance è autrice di libri, video e ricerche.
Col nonno Ermanno Gorrieri ha ripercorso le vicende della guerra partigiana in “Ritorno a Montefiorino” (Il Mulino, 2005). Col documentario sulle paralimpiadi di Torino “Diversi sguardi olimpici” ha vinto il Premio Ilaria Alpi 2006. Insieme a Silvia Sitton ha indagato le condizioni economiche degli artisti in Italia in “Non di sola arte” (Fondazione Agnelli, 2007).

Laureata in Discipline economiche e sociali, premiata nel 2008 al concorso “Giornalisti tra pace e guerra”, ha vissuto e viaggiato in Europa, Asia, Africa e Americhe. Ama il treno, la bicicletta e camminare.


Luigi Ottani, 43 anni, fotografo pubblicista, si occupa di reportage, alternando ricerche sui microcosmi emiliani a racconti fotografici che inseguono le diverse realtà del mondo contemporaneo. Negli ultimi anni ha raccontato la povertà del Sahel in Eritrea, la vita nei campi profughi Saharawi, il dopoguerra in Bosnia, la piaga della prostituzione minorile in Cambogia, lo Sri Lanka colpito dallo Tsunami, il dramma della convivenza israeliano-palestinese, la vita nella “zona morta” di Chernobyl, le contraddizioni dello Hunan, cuore della rivoluzione culturale di Mao. Con il volume “Niet Problema!” (edizione Artestampa) realizzato insieme al giornalista Pierluigi Senatore ha vinto il premio “Marco Bastianelli” per il miglior libro fotografico edito nel 2006.


Alla presentazione di venerdì 6 giugno faranno seguito altre 3 serate di presentazione nel quartiere alla presenza degli autori, con interpretazioni dei testi a cura degli artisti di Impropongo e proiezione degli scatti fotografici di Luigi Ottani.
Martedì 15 luglio alle 21 al Parco Amico di Braida in via Caduti senza croce, martedì 22 luglio alla stessa ora al Parco Le Querce di via S. Pietro – via del Tricolore e infine martedì 29 luglio alle 21 alla Parrocchia S. Giovanni Apostolo ed Evangelista in via Braida 279.


IO SONO DI BRAIDA, STORIE SINCERE DI UN QUARTIERE DISCUSSO



Braida, borgata antica il cui nome significa “prato”, è oggi un accrocchio caotico di casette, ceramiche funzionanti o dismesse, piccoli spazi verdi, supermercati, centri direzionali, circonvallazioni piene di tir
incolonnati, autosaloni e rotatorie. E poi, i famigerati “palazzoni del degrado”, via Adda e via Circonvallazione, che, assieme al “palazzo verde” di via San Pietro, sgomberato nel 2005, hanno portato il quartiere sulle pagine delle testate nazionali, mentre in quelle locali Braida è ormai usato come un nome comune, il ghetto urbano per antonomasia. In una Sassuolo che dal dopoguerra in poi è cresciuta al ritmo delle ceramiche, e che ora ne sperimenta la crisi, il quartiere si è ampliato, accogliendo le ondate migratorie di decennio in decennio. Prima dall’Appennino, poi dal Meridione (Irsina, nel materano, ha più abitanti a Sassuolo di quelli rimasti sotto il campanile) e infine dall’estero, soprattutto Marocco, ma anche Albania, Tunisia, Est Europa e Africa subsahariana. Da qualche tempo, la fame di manodopera delle ceramiche sembra saziarsi meglio in Romania o in Cina. Quello che non conosce crisi è il mercato degli stupefacenti, i cui consumatori, come spiega il commissario di Polizia Francesco Panetta, “vanno dalla madre di famiglia all’operaio, fino a un 70enne che abbiamo scoperto rifornire di cocaina la Sassuolo bene”. Retate, arresti per spaccio, sequestri e sigilli agli appartamenti, filmati di videofonini, che hanno fatto il giro della rete.
Con notizie così, è ovvio che sulla stampa non trovino spazio le storie della gente comune, di incontro o di diffidenza, di impegno civico o di piccole sovversioni creative. Eppure, Braida è un luogo d’incontro tra differenze, senza eguali nel resto della città di Sassuolo.


Braida è Beppe, che si alza alle 6 di mattina per controllare che nel parco non ci siano cocci di bottiglia. È Samer, che senza bisogno di convertirsi serve ai tavoli alle feste parrocchiali e alle cene di raccolta fondi. È Verina, che gioca a briscola, ricorda la miseria di un tempo e commenta “ormai che sono qui, hanno pure diritto di vivere”. È Francesca che racconta del suo arrivo dal sud e delle ore a faticare in ceramica. Sono le feste nei parchi, con quintali di gnocco fritto così buono che non fosse per lo strutto sarebbe una grandiosa scorciatoia d’integrazione. È Izhadir, che ha imparato l’italiano quando era ancora a Casablanca, per capire i testi di Eros Ramazzotti. Sono Fabrizio e Gianluca, col loro atelier d’arte aperto in uno dei palazzacci, e le ragazze dagli abiti stravaganti che il giorno dell’inaugurazione confessano “a venirci avevo un po’ paura”. É Nataljia, un diploma da infermiera che qui non vale. Sono le coppie di adolescenti che dalle panchine si scambiano messaggi a pennarello, “Hafid sei bono”, “insieme per sempre”. È Hajar, 7 anni e capo velato, che alla domanda sulla sua origine risponde “io vengo da qui”.

















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