Sono pomodori e mele i principali prodotti che in Emilia-Romagna soffrono la crescente importazione dei prodotti cinesi. Per contro, ci sono prodotti come il kiwi e il prosciutto di Parma che fanno fatica ad entrare in Cina.
E’ quanto sostiene Coldiretti Emilia-Romagna in un comunicato in cui rileva che le esportazioni cinesi di mele in Italia sono più che triplicate in un solo anno, passando dalle 1.463 tonnellate del 2003 alle 5.637 del 2004, mentre il concentrato di pomodoro dal 2000 ad oggi è quadruplicato arrivando a 150 mila tonnellate, pari alla metà del concentrato di pomodoro nazionale.
”Il problema – sostiene il presidente regionale di Coldiretti, Mauro Tonello – è che questi prodotti arrivano in Italia in maniera indistinta, con il forte rischio che possano essere spacciati come prodotti made in Italy perchè non ci sono indicazioni in etichetta che consentano ai consumatori di riconoscerli”. Questo – secondo Coldiretti – mette in crisi alcune importanti produzioni regionali, come ad esempio il pomodoro di cui l’Emilia-Romagna, con 1.800.000 tonnellate rappresenta il 30% della produzione nazionale.
Secondo Coldiretti, la Cina ”attiva nelle esportazioni, non manca però di proteggere i mercati interni, bloccando l’ingresso sul suo territorio di un prodotto in cui l’Emilia- Romagna è leader, come il kiwi (ne produciamo circa 65 mila tonnellate), che non può essere esportato in Cina, perchè il nostro Paese non ha l’autorizzazione”. Del resto – sottolinea Coldiretti – lo stesso prosciutto di Parma ha trovato non pochi ostacoli per entrare in Cina e solo di recente le autorità sanitarie di quel Paese hanno concluso le visite sanitarie per definire gli aspetti tecnici e dare il via libera alle esportazioni, che interessano ben 60 aziende italiane.
”Conosciamo bene l’aggressività di quei mercati e la spregiudicatezza nelle contraffazioni che colpiscono non solo i prodotti agricoli, ma anche altri grandi prodotti italiani – commenta Tonello – ma non possiamo certamente pensare di alzare barriere protezionistiche, dopo che ci siamo battuti perchè la Cina entrasse nel Wto (organizzazione per il commercio mondiale) e accettasse le regole del gioco del mercato internazionale.
Perciò è necessario aprire una trattativa bilaterale, che garantisca parità di condizioni alle nostre produzioni, e attivare un sistema di controlli sia sui raggiri commerciali che possono derivare da prodotto cinese spacciato per italiano, sia sulle garanzie sanitarie e sociali la cui assenza consente costi di produzione spesso irrisori per i prodotti cinesi. Come Italia dobbiamo, inoltre, rafforzare e rendere sempre più evidente la qualità dei nostri prodotti e, soprattutto, rendere veramente trasparente l’informazione ai consumatori con l’indicazione dell’origine in etichetta”.