Oltre 250 milioni di persone, pari a circa il 5% della popolazione mondiale, vivono lungo le coste del Mar Cinese Meridionale. Comprendere i fattori geologici che influenzano il rischio di tsunami in quest’area è quindi di cruciale importanza per la salvaguardia delle popolazioni e delle infrastrutture costiere e sottomarine.
Gli tsunami sono principalmente causati da terremoti e frane sottomarine che si originano lungo i margini continentali. Identificare i fattori geologici che ne influenzano frequenza e distribuzione è quindi essenziale per sviluppare strategie efficaci di mitigazione del rischio.
Un passo significativo in questa direzione è rappresentato da un nuovo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications, realizzato da un team internazionale di scienziati provenienti da Cina, Europa e Canada, tra i quali il Prof. Vittorio Maselli del Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
Lo studio, coordinato dagli scienziati Qiliang Sun e Xingxing Wang della China University of Geosciences di Wuhan (Cina) e finanziato dalla National Natural Science Foundation of China, ha evidenziato come la presenza di sedimenti ricchi di silice biogenica – derivante dall’accumulo di resti di diatomee e radiolari (microrganismi marini unicellulari) – favorisca la formazione di strati meccanicamente deboli che possono innescare frane sottomarine potenzialmente tsunamigeniche.
Integrando dati geofisici con parametri geotecnici ottenuti dall’analisi dei sedimenti prelevati tramite carotaggi dell’Ocean Drilling Program, il team di scienziati ha scoperto che questi strati deboli, noti come “weak layers”, si depositano ciclicamente ogni circa 100.000 anni durante i periodi glaciali, ovvero fasi di raffreddamento climatico globale causate da oscillazioni orbitali della Terra.
Durante questi periodi, il livello del mare si abbassava fino a 120 metri rispetto a quello attuale, il monsone asiatico si intensificava e aumentava l’apporto di sedimenti e nutrienti dai continenti all’oceano. Tali condizioni stimolavano una forte produttività primaria oceanica, che portava a un accumulo abbondante di materiale siliceo sul fondale marino. Il ripetersi di questo processo ha contribuito alla formazione dei weak layers, rendendo i sedimenti della scarpata continentale più suscettibili all’instabilità in caso di sollecitazioni, come un evento sismico.
“Questo studio dimostra in modo inconfutabile un legame tra le oscillazioni climatiche e i fattori che possono aumentare il rischio di frane sottomarine”, spiega il Professor Vittorio Maselli. “Lo abbiamo dimostrato per il Mar Cinese Meridionale, ma questo ci porta a ipotizzare che anche altri margini continentali, con condizioni oceanografiche e climatiche simili, possano mostrare una ciclicità analoga nei loro archivi sedimentari.”