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‘Giorno della memoria’, sabato a Reggio inaugurazione della mostra ‘Omocausto, la persecuzione invisibile’

GiornoMemoriaMostraUna mostra sull’eccidio degli omosessuali durante la Seconda Guerra Mondiale. Si chiama “Omocausto, la persecuzione invisibile”, e sarà inaugurata a Reggio Emilia sabato 26 gennaio, alle ore 15, nella sede universitaria di viale Allegri 9, promossa da ArciGay Gioconda con il patrocinio e finanziamento della Circoscrizione Città storica.

L’esposizione arriva in occasione del Giorno della Memoria (27 gennaio), nel quale vengono ricordate le vittime dell’Olocausto, ed è realizzata in collaborazione con Centro Teatrale Europeo “Etoile”, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, Comitato Diritti Umani, Provincia di Reggio Emilia. Rimarrà aperta sino al 2 febbraio.

Sabato 26 gennaio, al taglio del nastro interverranno Salvatore Trapani di Istoreco, Katia Pizzetti del comitato Diritti Umani e Fabio Astrobello, presidente di Arcigay Reggio Emilia.

Al termine, chiusura con un rinfresco.

Un secondo appuntamento è in programma il giorno dopo, domenica 27 gennaio, alle 16.30, con le letture di brani tratti dal libro “BentT” di Martin Sherman, Rüdiger Lautmann, Giovanni Dall’Orto, a cura del centro culturale Etoile di Reggio Emilia.

La mostra rimarrà visitabile sino a sabato 2 febbraio, tutti i giorni dalle 10 alle 18.

LA MOSTRA

“Omocausto, la persecuzione invisibile” offre un breve percorso storico culturale aperto a tutta la cittadinanza, per tramandare la memoria di uno sterminio dimenticato per decenni.

L’Omocausto ha coinvolto circa 14 mila tra gay, lesbiche, bisex e transgender internati nei campi di concentramento nazisti. Di questi, solo quattromila sono riusciti a salvarsi. Nella Germania di Hitler, infatti, gli atteggiamenti omosessuali erano regolati dal Paragrafo 175 del Codice penale: “Un atto sessuale innaturale commesso tra persone di sesso maschile o da esseri umani con animali è punibile con la prigione. Può essere imposta la pena accessoria della perdita dei diritti civili”.

In Italia la situazione era differente, ma certo non migliore. Alla stesura del codice penale, la norma che prevedeva l’omosessualità come reato venne stralciata perché si diceva che “in Italia, sono tutti maschi” e che grazie al regime fascista, in Italia questo “problema” degenerativo, non era di così grande portata da dover mettere nero su bianco una simile norma per contrastarlo. Fu adottata la tecnica del silenzio: se non si parla del problema, il problema non esiste. Ma bastava essere indicati o etichettati da maldicenza o anche solo sospettati come omosessuali per essere mandati al confino, in condizioni disumane.

Anche nel nostro Paese quindi, l’omosessuale era considerato un “depravato dedito a turbare la moralità e l’ordine pubblico e come tale doveva essere punito” (come redigevano sui verbali a quei tempi).

Finita la guerra, gli omosessuali sopravvissuti erano costretti al silenzio per non rivangare una simile “vergogna”, quale che fosse il confino o il triangolo rosa, e in Germania, questi deportati non potevano chiedere risarcimenti dallo Stato, perché erano ancora punibili in base al paragrafo 175, che fu abrogato qualche decennio dopo.

 

















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