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Nuovi siti archeologici in Iraq scoperti dall’IA grazie ai vecchi satelliti spia statunitensi

Un sistema di intelligenza artificiale ideato da studiosi dell’Università di Bologna per il riconoscimento automatico di siti archeologici ha individuato, sulla base delle immagini satellitari del programma di spionaggio CORONA scattate nel corso degli anni '60, quattro antichi insediamenti umani che fino ad oggi erano sfuggiti allo sguardo degli archeologi

Un modello di intelligenza artificiale nato da una collaborazione tra informatici e archeologi dell’Università di Bologna ha identificato quattro siti di interesse archeologico in Iraq, nell’area di Abu Ghraib, che erano sfuggiti allo sguardo dei ricercatori. La scoperta – riportata sulla prestigiosa rivista PLOS ONE – è avvenuta a partire dall’analisi di immagini satellitari del programma CORONA, scattate nel corso degli anni ’60 da satelliti spia statunitensi.

“Il modello di deep learning che abbiamo messo a punto ha dimostrato non solo un livello elevatissimo di accuratezza, intorno al 90%, nel localizzare la presenza di siti archeologici a partire da immagini satellitari, ma anche la capacità di scoprire nuovi punti di interesse archeologico finora sconosciuti”, spiega Marco Roccetti, professore al Dipartimento di Informatica – Scienza e Ingegneria, tra gli autori dello studio. “È un risultato straordinario con conseguenze significative per la conservazione del patrimonio archeologico anche in paesaggi modificati dall’intervento dell’uomo”.

Il primo passo per identificare e localizzare i resti di antichi insediamenti umani è l’osservazione del territorio. Gli archeologi hanno diversi strumenti a disposizione a questo scopo, e uno dei più utilizzati è l’analisi di fotografie aeree. Da queste immagini, l’occhio allenato di un esperto è in grado di riconoscere particolari conformazioni del terreno che possono indicare la presenza di un sito archeologico sepolto sotto la superficie.

Da alcuni anni, archeologi e informatici dell’Università di Bologna stanno lavorando a un sistema di intelligenza artificiale per velocizzare e migliorare questo lavoro di analisi, utilizzando come caso di studio la pianura alluvionale della Mesopotamia meridionale. Dopo una serie di risultati acquisiti su immagini satellitari recenti ad alta risoluzione, il sistema è stato ora testato su una serie storica meno risoluta e pancromatica (cioè in scala di grigi) e su un’area specifica dell’Iraq centrale per la quale l’Università di Bologna possedeva un permesso di lavoro sul campo.

“Per testare questo nuovo strumento ci siamo concentrati sul distretto di Abu Ghraib, nella regione di Baghdad: un’area che non era mai stata oggetto di indagini archeologiche sistematiche e che negli ultimi decenni ha subito profonde trasformazioni a causa dell’intervento umano”, spiega Nicolò Marchetti, professore di archeologia orientale al Dipartimento di Storia Culture Civiltà, tra gli autori dello studio. “Proprio per questo, abbiamo addestrato il sistema non solo con le più recenti immagini satellitari, ma anche con quelle della stessa regione scattate negli anni ’60 dai satelliti spia statunitensi”.

Le immagini storiche sono quelle del programma segreto CORONA, con cui gli Stati Uniti hanno mappato negli anni ’60 i territori di Cina, Unione Sovietica e Medio Oriente. L’aggiunta di queste foto alle basi di dati fornite al sistema di intelligenza artificiale ha permesso di ricostruire un territorio che negli ultimi decenni è mutato drasticamente e di svelare così siti archeologici mai individuati prima perché quasi del tutto distrutti.

“Il ruolo delle immagini del programma CORONA si è rivelato fondamentale: non solo per migliorare la capacità di analisi del sistema, ma anche per ritrovare siti archeologici che oggi non sono più visibili a causa del processo di antropizzazione del territorio umano, con infrastrutture, urbanizzazione e lavori agricoli; circa la metà dei siti ancora esistenti mezzo secolo fa è oggi quasi del tutto distrutta”, conferma Marchetti. “Grazie all’intelligenza artificiale siamo quindi riusciti a individuare quattro nuovi insediamenti che utilizzando gli strumenti e le tecniche archeologiche tradizionali sarebbe stato pressoché impossibile trovare, dato il loro attuale stato di conservazione”.

Questa innovazione – sottolineano gli studiosi – non va a sostituire il lavoro degli archeologi, che resta centrale, ma permette di velocizzare e semplificare il processo di analisi delle immagini satellitari con la successiva verifica sul campo. L’intelligenza artificiale individua, infatti, una serie di possibili siti di interesse, ma resta in capo agli archeologi la possibilità di valutare e validare i risultati, scegliendo quali siano i più promettenti per una verifica sul campo.

“Non è la prima volta, in ambito scientifico, che strumenti di intelligenza artificiale suggeriscono agli esperti umani sguardi inediti su fenomeni naturali facendo emergere significati inattesi”, dice in conclusione Marco Roccetti. “È un risultato straordinario, che facilita e arricchisce il lavoro degli archeologi e apre nuove prospettive di indagine, anche in connessione con altre tecnologie di rilevamento del territorio”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista PLOS ONE con il titolo “AI-ming backwards: Vanishing archaeological landscapes in Mesopotamia and automatic detection of sites on CORONA imagery”. Gli autori, due docenti e due giovani ricercatori dell’Università di Bologna, sono Alessandro Pistoia e Marco Roccetti (Dipartimento di Informatica – Scienza e Ingegneria), insieme a Valentina Orrù e Nicolò Marchetti (Dipartimento di Storia Culture Civiltà).

 

 

Didascali immagine:

Siti scoperti durante le campagne di indagine archeologica di Abu Ghraib. In rosso: casi positivi scoperti tramite intelligenza artificiale; in blu: casi positivi

















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