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Il blocco del Superbonus ha ridotto del 30% gli interventi a Reggio Emilia

Dopo un biennio caratterizzato da risultati record sulla riqualificazione degli edifici, con oltre 4.000 interventi all’anno, i primi sette mesi del 2023 hanno fatto segnare a Reggio Emilia un deciso rallentamento, con valori simili al periodo precedente l’introduzione del Superbonus.

La proiezione a fine anno si attesta a 2.800 interventi, con una diminuzione del 30% rispetto al 2022. Il tasso annuo di ristrutturazione del parco immobiliare è invece pari all’1,5%, inferiore all’obiettivo stabilito dall’Agenda 2030 che è del 2%, raggiunto per la prima volta nel 2021 e confermato l’anno successivo.

Gli interventi di riqualificazione corrispondono al 98% delle pratiche edilizie, mentre la nuova costruzione è limitata al solo 2%.

Gli ambiti cittadini più dinamici continuano ad essere il centro storico, dove sono stati realizzati, dal 2015 ad oggi, oltre 2.000 interventi di manutenzione e riqualificazione, e l’area nord della città, in particolare, il Parco Industriale di Mancasale.

“Il Superbonus è stato fondamentale, anche a Reggio Emilia, per raggiungere l’obiettivo dell’Agenda 2030 relativo alla riqualificazione del patrimonio edilizio – spiega il vicesindaco con delega alla Rigenerazione urbana, Alex Pratissoli – e ha dato concretezza alla sfida della transizione energetica che ci impone, come priorità, quella di ridurre gli sprechi.

“Il settore edilizio – prosegue – è, infatti, responsabile per oltre un terzo delle emissioni di CO2: abbiamo edifici vecchi, energivori e dunque costosi per le famiglie, nonché insicuri visto che l’80% appartiene ad una classe sismica critica.

“Investire nella riqualificazione degli edifici significa ridurne il fabbisogno energetico, migliorare comfort e sicurezza ed indirettamente preservare il valore patrimoniale e sociale del tessuto edilizio esistente, anche alla luce della direttiva europea che mira a portare gli immobili residenziali in classe E entro il 2030 e poi in D entro il 2033: obiettivi irraggiungibili senza una politica di agevolazioni adeguata e di lungo periodo.

“Esattamente il contrario di quello che è successo con il Superbonus caratterizzato da limitazioni e frequenti modifiche alle modalità di attuazione, cambiate quasi 30 volte durante la sua breve vita.

“Del Superbonus che, da solo, ha contribuito a quasi la metà dei risparmi energetici conseguiti lo scorso anno dall’Italia e ha generato un impatto determinante sull’aumento del Pil nazionale – aggiunge il vicesindaco Pratissoli – si continua a parlare soprattutto di quanto sia costato al bilancio statale. Considerazione, quest’ultima, a mio parere mal posta. Questi bonus, infatti, sono una parte delle risorse che l’Italia, come altri Paesi dell’Unione Europea, ma anche gli Usa con l’Inflation Reduction Act, hanno dedicato alla transizione ecologica. Pochi o troppi è una scelta politica che dipende dalle priorità individuate e dalla velocità alla quale si vuole attuare la transizione verso un’economia più verde.

“L’errore non è stato nello spendere queste risorse, ma nel modo in cui sono state spese: troppi soldi per bonus irrilevanti ai fini della transizione come quello delle facciate, che hanno generato anche la maggior parte delle truffe, piuttosto che a favore di villette anziché condomini. Inoltre, l’eccessiva concentrazione del Superbonus in un breve lasso di tempo, ha avuto un impatto considerevole sui prezzi di mercato e ha limitato le opportunità di intervento, specialmente per i condomini che richiedono un periodo più lungo per la pianificazione dei lavori.

“La decarbonizzazione del patrimonio immobiliare necessita, invece, di detrazioni fiscali permanenti, con regole chiare e stabili, in grado di aumentare i controlli e favorire la programmazione di investimenti di lungo periodo – conclude Pratissoli –. Questo, per evitare speculazioni sul valore delle forniture e dei lavori e programmare l’impatto sui conti pubblici, ad esempio, attraverso meccanismi già sperimentati come quelli delle aste per gli incentivi delle fonti rinnovabili che limitano annualmente la capienza dei contributi statali”.

 

















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