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Quattro esperimenti a guida Unibo a bordo della Stazione Spaziale Internazionale

Un sistema lab-on-chip per l’analisi di fluidi biologici nelle missioni spaziali; una macchina da elettrofilatura per produrre in orbita materiali nanostrutturati; rivelatori di radiazione ionizzante indossabili e ultraleggeri; un bioreattore sperimentale per lo studio della radioresistenza biologica. Sono i quattro esperimenti scientifici che arriveranno a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), nati da proposte che vedono docenti dell’Università di Bologna nel ruolo di Principal Investigator.

I progetti – due proposti dall’Alma Mater e due dall’INFN-Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – rientrano tra gli otto selezionati dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) nell’ambito del bando dell’ASI “Ricerche e dimostrazioni tecnologiche sulla Stazione Spaziale Internazionale”. Nato grazie alla collaborazione tra ASI e NASA, il bando è pensato per mettere a disposizione della comunità scientifica e industriale italiana la possibilità di effettuare ricerche usufruendo dell’ambiente unico della ISS.

La Stazione Spaziale Internazionale è infatti il risultato del più importante e ambizioso programma di cooperazione a livello mondiale nel campo scientifico e tecnologico mai realizzato. In orbita a 400 chilometri dalla superficie terrestre, assicura un’ininterrotta presenza umana e i suoi ambienti offrono una piattaforma in microgravità che permette di effettuare esperimenti scientifici e tecnologici di frontiera e sperimentare soluzioni operative per la vita in orbita e l’esplorazione dello spazio.

 

I PROGETTI

Un sistema lab-on-chip, compatto e versatile, per eseguire analisi di fluidi biologici a bordo delle missioni spaziali con equipaggio. Il progetto APHRODITE punta a dimostrare le potenzialità di questa tecnologia a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, coinvolgendo l’equipaggio per il controllo delle alterazioni della funzionalità del sistema immunitario attraverso l’analisi di biomarcatori salivari. APHRODITE è guidato da Mara Mirasoli, professoressa al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Alma Mater e referente scientifico dell’U.O. Space Science and Technology del CIRI Aerospace, in collaborazione con il professor Augusto Nascetti della Scuola di Ingegneria Aerospaziale della Sapienza Università di Roma e con l’azienda Kayser Italia Srl di Livorno, che avrà il ruolo di progettare, realizzare ed integrare i sottosistemi meccanici del dispositivo e supportare la qualifica dello stesso per operare in ambiente ISS.

L’esperimento HYPE punta invece allo studio di una soluzione innovativa per ridurre la pericolosità delle radiazioni cosmiche: insidia rilevante per la salute degli astronauti durante lunghi periodi di permanenza nello spazio. A questo proposito, un’interessante possibilità è offerta dalla radioresistenza biologica che si osserva nello stato di ibernazione: una condizione caratterizzata da un’attiva riduzione del metabolismo che conferisce un’elevata protezione dal danno radiante. Il progetto, in particolare, si propone di studiare i meccanismi molecolari della radioprotezione indotta dall’ipometabolismo in cellule di retina. Le cellule saranno ospitate in un bioreattore sperimentale appositamente progettato per accomodare le particolari esigenze di questo materiale biologico. HYPE è stato proposto dall’INFN Sezione di Bologna ed è guidato da Matteo Cerri, professore del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Università di Bologna, in collaborazione con l’azienda Argotec di Torino.

Sulle radiazioni si concentra anche il progetto IRIS, che prevede la realizzazione a terra e l’utilizzo in orbita di innovativi rivelatori di radiazione ionizzante. Indossabili e ultraleggeri, questi rivelatori sono in grado di trasmettere in tempo reale la dose di radiazione ricevuta personalmente da ogni membro dell’equipaggio impegnato in missioni spaziali: saranno costituiti da film sottili (nano-micrometrici) di nuovi materiali funzionali (semiconduttori organici e perovskiti) depositati da soluzione mediante processi di stampa. La proposta, sottomessa dall’INFN TTLab, ha come responsabile scientifico Beatrice Fraboni, professoressa al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Alma Mater e associata di ricerca INFN. Il progetto sarà svolto in collaborazione tra l’INFN, l’Università di Bologna, il professor Livio Narici dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e l’azienda Kayser Italia Srl, che avrà il ruolo di progettare e sviluppare sottosistemi elettronici e meccanici, di integrarli e di qualificare il dispositivo per l’ambiente ISS.

Il progetto SPACESPINNING porterà invece per la prima volta nello spazio una macchina da elettrofilatura, per produrre materiali costituiti da nanofibre a partire da soluzioni polimeriche con e senza nanoadditivi in sospensione. Lo scopo è lo studio di base e la comprensione del processo elettrofluidodinamico dell’elettrofilatura in condizioni di microgravità e, in particolare, l’effetto sulla morfologia di nanofibre composite contenenti nanoadditivi. Grazie a SPACESPINNING sarà possibile trasferire nello spazio una nanotecnologia versatile, che permetterà di fabbricare direttamente sulla Stazione Spaziale Internazionale nanomateriali per applicazioni avanzate, ad esempio per la rigenerazione dei tessuti biologici danneggiati e la cura delle ferite, oppure per la produzione o rigenerazione di materiali filtranti per aria e liquidi a supporto dell’esplorazione spaziale. L’Università di Bologna partecipa al progetto con il CIRI AERO, il CIRI MAM e il CIRI SDV e il coinvolgimento dei professori Davide Fabiani (Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione), Andrea Zucchelli (Dipartimento di Ingegneria Industriale) e Maria Letizia Focarete (Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”), in collaborazione con l’azienda Argotec, che fornirà l’hardware per l’esperimento sulla Stazione Spaziale Internazionale.

















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