Di coronavirus si può morire anche sul lavoro. Sono state 1.091 (di cui sei mortali) le denunce di infortunio da Covid-19 pervenute all’Inail di Modena tra il 1° gennaio e il 30 novembre 2020.
Gli eventi hanno interessato 795 donne e 296 uomini; la maggior parte (429) è di età compresa tra 35 e 49 anni. Le professioni più colpite sono infermieri e operatori socio-sanitari.
In Emilia-Romagna, dove nello stesso periodo sono state presentate 8.044 denunce per infortunio (34 mortali), Modena è al terzo posto dopo Bologna (1.920 casi) e Reggio Emilia (1.196 casi).
I dati Inail sono stati diffusi e analizzati dalla Cisl Emilia Centrale, che si inserisce nel dibattito aperto da qualche settimana sull’obbligatorietà della vaccinazione.
«Anche noi del sindacato ci stiamo chiedendo quali sono i diritti e doveri del lavoratore al quale il datore di lavoro chieda di vaccinarsi – spiega Rosamaria Papaleo, responsabile delle politiche del lavoro per la segreteria Cisl Emilia Centrale – La questione a Modena interessa 311 mila lavoratori, cioè il 44% della popolazione».
Papaleo ricorda che le norme attuali (articolo 32 della Costituzione, articolo 2087 del codice civile e articolo 279 del Testo unico sulla sicurezza) danno risposte contrastanti.
Da ciò consegue che in assenza di un’espressa previsione di legge di un obbligo a vaccinarsi contro il Covid-19 il datore di lavoro non può pretendere che il dipendente si vaccini e, conseguentemente, non può licenziarlo.
In generale un’azienda può mettere in campo altri strumenti per tutelare i propri collaboratori dal rischio di contagio dovuto alla condotta di un dipendente che rifiuti la vaccinazione:
postazione di lavoro isolata, altre mansioni, lavoro agile, cassa integrazione. Come extrema ratio, il datore di lavoro può allontanare il lavoratore senza retribuzione (sospensione temporanea). Qualora l’assenza si prolunghi eccessivamente diventando pregiudizievole per l’organizzazione aziendale, si può procedere con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
«È evidente che la soluzione del problema non è affatto semplice né immediata – sottolinea la sindacalista della Cisl Emilia Centrale – Su una materia tanto delicata deve intervenire il legislatore, come già avvenuto in passato: per esempio nel 1939 con la difterite, 1963-1981 con il tetano e 1966 con la poliomielite. Invece la politica latita per ragioni di equilibri parlamentari.
Non è escluso che in futuro, quando sarà disponibile in quantità sufficienti per una vasta diffusione, il vaccino possa integrare il sistema di sicurezza sul lavoro, come avvenuto la scorsa primavera attraverso l’adozione dei protocolli di regolamentazione delle misure per il contrasto e contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro condivisi tra Governo e parti sociali».
Papaleo sottolinea che l’adozione di quei protocolli ha permesso di ridurre i casi di infortunio sul lavoro da Covid-19, che tra il 1° gennaio e 30 novembre 2020 in Italia sono stati comunque 104.328 (di cui 366 con esito mortale).
«Quest’ultimo anno ci ha fatto capire che in certi momenti bisogna accettare di essere tutti uguali e prendere coscienza che, come ci ricorda ripetutamente papa Francesco, “siamo tutti sulla stessa barca”. Solo partendo da ciò può crescere il nostro senso di comunità e riconoscere che la vaccinazione è non solo utile, ma doverosa», conclude Rosamaria Papaleo, responsabile delle politiche del lavoro per la segreteria Cisl Emilia Centrale.