È noto che gli italiani sono il popolo con la maggiore ricchezza genetica d’Europa: il gradiente di variabilità del loro patrimonio genetico, che si distribuisce da un estremo all’altro della penisola, racchiude su piccola scala la stessa diversità genetica che differenzia i popoli dell’Europa Meridionale da quelli dell’Europa Continentale. Una straordinaria eterogeneità che ha iniziato a delinearsi già dopo il periodo di massima espansione dell’ultima glaciazione, conclusosi circa 19.000 anni fa.
A riferirlo è uno studio coordinato da ricercatori dell’Università di Bologna e pubblicato sulla rivista BMC Biology. È la prima volta che un gruppo di scienziati riesce a ricostruire la storia genetica degli italiani spingendosi così indietro nel tempo. E i risultati hanno fatto emergere anche alcune peculiarità genetiche degli abitanti del Sud e del Nord Italia, che si sono evolute in risposta a differenti contesti ambientali. Peculiarità che concorrono a ridurre la suscettibilità a patologie come infiammazioni renali e tumori della pelle da un lato, diabete e obesità dall’altro, in alcuni casi favorendo anche la longevità.
“Studiare la storia evolutiva degli antenati degli italiani ci aiuta a comprendere meglio quali sono stati i processi demografici e di interazione con l’ambiente che hanno modellato il mosaico di ancestralità che osserviamo oggi nelle popolazioni europee”, spiega Marco Sazzini, professore di Antropologia molecolare dell’Università di Bologna e tra i coordinatori dello studio. “Questa indagine ci fornisce inoltre informazioni utili per comprendere le caratteristiche biologiche della popolazione italiana attuale e le cause profonde che contribuiscono ad influenzarne la salute o la predisposizione a determinate patologie”.
UN ESITO SORPRENDENTE
Per realizzare lo studio i ricercatori hanno sequenziato l’intero genoma di quaranta individui, selezionati in modo da rappresentare con una buona approssimazione la variabilità biologica della popolazione italiana. L’analisi ha permesso di individuare più di 17 milioni di varianti genetiche. Gli studiosi hanno quindi messo a confronto questi dati, da un lato con le varianti genetiche già osservate in altre 35 popolazioni europee e del bacino del Mediterraneo, e dall’altro con quelle descritte dagli studi condotti su quasi 600 reperti umani riconducibili ad un arco temporale che si estende dal Paleolitico Superiore (circa 40.000 anni fa) fino all’Età del Bronzo (circa 4.000 anni fa).
Grazie all’elevato livello di risoluzione raggiunto da questi confronti, è stato possibile per la prima volta indagare la storia genetica degli italiani fino ad epoche mai raggiunte in precedenza, identificando tracce lasciate nel patrimonio genetico italiano da eventi avvenuti dopo ultima glaciazione, terminata circa 19.000 anni fa.
Si tratta di un risultato sorprendente. La maggior parte degli studi condotti fino ad oggi aveva infatti suggerito che gli eventi più antichi di cui è rimasta una chiara traccia nel DNA degli italiani fossero le migrazioni avvenute tra 7.000 e 4.000 anni fa, durante il Neolitico e l’Età del Bronzo. I risultati della nuova ricerca mostrano invece che gli adattamenti biologici all’ambiente e le migrazioni che hanno contribuito a porre le basi della straordinaria eterogeneità genetica degli italiani sono molto più antichi di quanto fino ad ora ipotizzato.
CAMBIAMENTI CLIMATICI E MIGRAZIONI POST-GLACIALI
Gli studiosi sono riusciti a ricostruire la storia evolutiva di due gruppi posti agli estremi del gradiente di variabilità genetica rilevato lungo la penisola, cioè degli italiani originari delle regioni del Sud e di quelli originari delle regioni del Nord, stimando quando le piccole differenze osservabili tra i loro patrimoni genetici hanno iniziato ad essere evidenti.
“Le popolazioni antenate di questi due gruppi italiani hanno mantenuto andamenti demografici pressoché sovrapponibili a partire da oltre 30.000 anni fa e per la restante parte del Paleolitico Superiore”, spiega Stefania Sarno ricercatrice dell’Università di Bologna e co-prima autrice del lavoro. “Una differenziazione significativa tra i loro pool genici si può però osservare già dal periodo Tardoglaciale, quindi diverse migliaia di anni prima delle grandi migrazioni che hanno interessato l’Italia a partire dal Neolitico”.
L’ipotesi è che con l’aumento delle temperature e la conseguente diminuzione dei ghiacciai presenti nell’Italia settentrionale, alcuni gruppi che erano sopravvissuti alla glaciazione in “aree rifugio” dell’Italia centrale si siano spostati verso nord, allontanandosi e isolandosi così progressivamente dagli abitanti dell’Italia meridionale.
Il genoma degli abitanti dell’Italia settentrionale mostra tracce di queste migrazioni post-glaciali. Rispetto agli individui originari del Sud Italia, gli italiani del Nord hanno infatti un’affinità genetica maggiore con reperti associati ad antiche culture europee come quella Magdaleniana e quella Epigravettiana (datati rispettivamente tra 19.000 e 14.000 anni fa e tra 14.000 e 9.000 anni fa). Nel pool genico degli Italiani del Nord si osserva anche una maggiore presenza di componenti di ancestralità ancora più antiche, come quelle tipiche dei cacciatori-raccoglitori dell’Est Europa che si suppone abbiano caratterizzato tutte le popolazioni europee tra 36.000 e 26.000 anni fa, e che si sono poi nuovamente diffuse nell’Europa Occidentale tramite le migrazioni dalle “aree rifugio” avvenute durante il periodo Tardoglaciale.
Al contrario, nel DNA degli abitanti del Sud Italia queste tracce legate a migrazioni post-glaciali sembrano non essersi mantenute, a causa del notevole rimodellamento del loro patrimonio genetico dovuto ad eventi più recenti. A testimoniarlo è la maggiore affinità genetica con reperti neolitici dell’Anatolia e del Medio Oriente e con reperti dell’Età del Bronzo rinvenuti nel Caucaso Meridionale. Questo perché l’Italia del Sud, a differenza delle regioni settentrionali, ha rappresentato un punto nevralgico delle rotte migratorie che prima hanno diffuso l’agricoltura nel bacino del Mediterraneo durante la transizione Neolitica e poi, durante l’Età del Bronzo, hanno introdotto una componente di ancestralità differente rispetto a quella associata alle popolazioni delle steppe, che si è invece diffusa nello stesso periodo in tutta l’Europa Continentale e in Nord Italia.
ADATTAMENTI GENETICI: DIFFERENZE E PECULIARITÀ LUNGO LA PENISOLA
Dopo il periodo di massima espansione dell’ultima glaciazione, a partire da circa 19.000 anni fa gli antenati degli italiani del Nord e di quelli del Sud hanno iniziato a sperimentare contesti ecologici e ambientali sempre più diversi, che hanno via via contribuito all’emergere di differenze e peculiarità nel loro patrimonio genetico.
Le popolazioni che hanno ri-popolato l’Italia settentrionale hanno continuato per millenni a sopportare brusche variazioni climatiche e pressioni ambientali simili a quelle dell’ultimo massimo glaciale. Una circostanza che ha portato all’evoluzione di adattamenti biologici specifici. Ad esempio, lo sviluppo di un metabolismo adatto ad una dieta altamente calorica e ricca di grassi animali, indispensabile per sopravvivere in un clima rigido. “Negli individui originari del Nord Italia abbiamo individuato modificazioni a carico di reti di geni che regolano la secrezione di insulina, la produzione di calore corporeo e il metabolismo del tessuto adiposo”, spiega Paolo Garagnani docente di Patologia generale dell’Università di Bologna. “Questi adattamenti potrebbero rappresentare oggi preziosi fattori protettivi nei confronti dello sviluppo di patologie come il diabete e l’obesità”.
Nello stesso periodo, le regioni del Centro e del Sud Italia hanno visto invece instaurarsi un clima via via più mite, che ha esposto le popolazioni a pressioni ambientali diverse. Nei genomi degli individui originari del Sud Italia lo studio ha identificato ad esempio modificazioni a carico di geni che codificano proteine presenti sulle mucose dell’apparato respiratorio e gastro-intestinale (chiamate mucine), il cui compito è impedire l’ingresso dei patogeni nei tessuti. “Questi adattamenti potrebbero essersi evoluti per contrastare antichi microorganismi”, afferma Paolo Abondio dottorando dell’Università di Bologna e co-primo autore del lavoro. “Varianti di alcuni di questi geni sono state inoltre associate ad una minore suscettibilità alla nefropatia di Berger, la più comune patologia infiammatoria che colpisce i reni e che presenta effettivamente un’incidenza molto minore nel Sud Italia rispetto al Nord”.
Sempre guardano al genoma degli individui originari dell’Italia meridionale, gli studiosi hanno evidenziato anche altre caratteristiche peculiari. Una di queste è relativa a modificazioni dei geni che regolano la produzione di melanina, il pigmento responsabile della colorazione della pelle, evolute con ogni probabilità in risposta alle giornate di sole frequenti e intense tipiche delle regioni mediterranee, e che potrebbero contribuire ad una minore predisposizione ai tumori della pelle degli italiani del Sud. “Abbiamo inoltre notato che varianti di alcuni di questi geni, così come di quelli responsabili di altri adattamenti tipici degli Italiani del Sud e che coinvolgono il metabolismo dell’acido arachidonico e i fattori di trascrizione FoxO, da tempo sono state associate ad una considerevole longevità”, spiega Claudio Franceschi professore emerito dell’Università di Bologna.
I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
La ricerca, coordinata dai docenti dell’Università di Bologna Marco Sazzini, Claudio Franceschi e Paolo Garagnani in collaborazione con Patrick Descombes (Nestlé Research Center di Losanna, Svizzera) e Massimo Delledonne (Università di Verona), è stata pubblicata sulla rivista BMC Biology con il titolo “Genomic history of the Italian population recapitulates key evolutionary dynamics of both Continental and Southern Europeans”.
Per l’Università di Bologna hanno contribuito i ricercatori del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali (afferenti al Laboratorio di Antropologia Molecolare e Centro di Biologia Genomica) Marco Sazzini, Paolo Abondio, Stefania Sarno, che hanno firmato il lavoro come primi autori, oltre a Sara De Fanti, Claudia Ojeda-Granados, Cristina Giuliani, Alessio Boattini e Davide Pettener; e quelli del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale Chiara Pirazzini, Elena Marasco, Gastone Castellani, Claudio Franceschi e Paolo Garagnani. Gli studiosi hanno operato riuniti in un unico gruppo di ricerca nell’ambito delle attività del Centro Interdipartimentale “Alma Mater Research Institute on Global Challenges and Climate Change”.
Sempre per l’Università di Bologna ha collaborato anche Donata Luiselli del Dipartimento di Beni Culturali. Inoltre, hanno partecipato Guido Alberto Gnecchi Ruscone del Max Planck Institute for the Science of Human History di Jena (Germania), Massimo Delledonne, Luciano Xumerle e Alberto Ferrarini dell’Università di Verona e ricercatori del Nestlé Research Center di Losanna (Svizzera), del Policlinico di Milano, dell’Università degli Studi di Firenze e dell’Università della Calabria.