Situazione generale e regionale. Non si ferma per ora il trend negativo che sta caratterizzando il commercio a livello nazionale, regionale e locale. Lo studio evidenzia come i consumi delle famiglie italiane siano sensibilmente diminuiti nel periodo compreso tra il 2014 e il 2018. La debole ripresa economica che aveva caratterizzato il 2014 rispetto alla grande crisi degli anni precedenti si è di fatto già esaurita e ad oggi la spesa media degli italiani è ancora inferiore di oltre 2.500 euro rispetto al 2011. Visto che manca al bilancio familiare l’equivalente di una mensilità, si spende meno in pratica su tutto, con punte importanti rispetto ai settori di riferimento di Confesercenti, come nell’abbigliamento (-280 euro) e nei generi alimentari (-322 euro): voce di spesa questa, un tempo considerata quasi incomprimibile. Anche se il calo dei consumi è stato meno forte in Emilia Romagna rispetto al dato nazionale, nel periodo 2011-2018 si è registrata una diminuzione pari a 2.163 euro di spesa sulla media annuale per famiglia. L’impatto di questa situazione è stato pesante e lo è tutt’ora, in particolare per le piccole e piccolissime attività del commercio al dettaglio: negli ultimi 8 anni si è avuto un saldo negativo nazionale pari a 32.000 negozi. Nella nostra Regione le MPMI sono diminuite di ben 3.145 unità nel periodo 2014/2019, passando dalle 47.281 del primo trimestre 2014 alle 44.136 al 31 marzo 2019. L’unico settore in crescita, negli ultimi anni, risulta quello dei pubblici esercizi che passa dalle 28.955 imprese di fine 2013 alle 30.078 del 31 marzo 2019.
Modena e territorio provinciale. “Il calo delle vendite che sta caratterizzando il Paese e la Regione si presenta in tutta la sua gravità anche sul territorio modenese, dove oltre la metà delle piccole attività imprenditoriali risulta in forte difficoltà – rileva Confesercenti Modena – Non si tratta di una situazione riconducibile unicamente all’evoluzione delle modalità o dei canali di acquisto, ma di un insieme di fattori che vanno dalla ridotta capacità di spesa delle famiglie, a una situazione politico-economica che di certo mina la fiducia dei consumatori sul futuro, riducendo drasticamente i consumi, perfino nel settore alimentare, e favorendo una maggiore propensione al risparmio. Anche tra le famiglie modenesi la capacità di acquisto rispetto a prima della crisi, si è ristretta. E la spesa annua a riguardo, se confrontata a quella del 2011, ha subito un taglio di 2.020 €. Un dato che comunque resta migliorativo rispetto alla media nazionale, ma che vede i maggiori consumi concentrati principalmente nell’ambito abitazione, acqua, elettricità e combustibili. Purtroppo anche nel primo trimestre 2019 i dati provenienti dal capoluogo e dall’intero territorio provinciale sono sicuramente poco incoraggianti”. Dopo le vendite natalizie che comunque non hanno risollevato le sorti dell’anno 2018, archiviato con un -3,9%, in provincia di Modena (dati Osservatorio Confesercenti Modena), il 60% delle imprese ha dichiarato nel periodo gennaio-marzo 2019 un calo nelle vendite, il 30% una sostanziale stabilità, mentre solo un 10% di imprese registra un lieve incremento di fatturato. Percentuali purtroppo peggiori se raffrontate con la media regionale dove è il 51% delle imprese a registrare un calo, contro il 60% di quelle modenesi. Non sono positivi, infine, nemmeno i dati territoriali relativi alla demografia delle imprese, con evidenti difficoltà in particolare per tutti gli esercizi non alimentari. Dal 2011 a oggi si sono ridotti di 431 unità: -235 esercizi di abbigliamento e calzature, -52 fra edicole e librerie, -24 negozi di ferramenta, per citare i settori più colpiti. Tiene in termini numerici la distribuzione alimentare specializzata (+106 esercizi). L’offerta di consumo si sposta però in particolare sull’alloggio e la ristorazione, che dal 2011 a oggi registrano rispettivamente +569 e +14 imprese sul territorio. Il trend delle chiusure di attività del commercio al dettaglio è proseguito anche nell’ultimo anno: al 31 marzo 2019, rispetto alla stessa data del 2018, da 6.800 si è passati a 6.627, con una diminuzione del -2,5%. E I negozi sfitti a Modena sono 530. È questo il quadro della situazione che arriva da Confesercenti Modena dopo l’analisi sviluppata dal proprio Osservatorio su dati di Unioncamere Emilia Romagna e CCIAA Modena.
Quale Futuro? La riduzione dei consumi da parte delle famiglie ha avuto un impatto molto forte sulle imprese della distribuzione commerciale che in Italia ancora nel 2018 ha portato alla chiusura 153 negozi al giorno. A sostituire le botteghe, sempre di più, pubblici esercizi e attività di alloggio e negozi su internet: ogni 3 negozi specializzati che chiudono, nasce una nuova attività su Internet. Modena per vendite online, si colloca al 18esimo posto nazionale (dato 2017, fonte Sole24Ore su indagine Alkemy) con 47 ordini annui ogni 100 persone. Dato per altro che continua a crescere. Anche tra chi resiste, indipendentemente dal settore, non è facile andare avanti. Il tasso di sopravvivenza delle imprese del commercio si è ridotto: oggi, di quelle nate 3 anni fa, sopravvivono meno del 50%. Una percentuale che si abbassa a quota 45% nell’abbigliamento e del 44% nei pubblici esercizi.
“Dal canto nostro – sostiene Marvj Rosselli Direttore provinciale di Confesercenti Modena – riteniamo che la formazione e il continuo aggiornamento, in particolare in ambito digitale e tecnologico, unitamente alla capacità di intercettare i cambiamenti delle abitudini di consumo, contribuiscano a dare prospettive di maggior tenuta alle piccole attività. Tra questo ed il prossimo anno, la spesa delle famiglie potrebbe registrare un lieve recupero, anche grazie alle misure espansive adottate nell’ultima legge di Bilancio: al 2020 si stima un incremento potenziale della spesa media annuale di circa 140 euro. Nel breve periodo, dal trimestre in corso a quelli successivi, stando alle rilevazioni della Camera di Commercio di Modena, il 34% dei commercianti prevede un aumento di fatturato, il 52% stabilità nelle vendite e solamente il 14% ipotizza una diminuzione degli incassi. Inoltre allargando l’orizzonte temporale ad un anno, più della metà delle imprese (55%) auspica uno sviluppo positivo dell’attività, il 37% prevede stabilità e solamente il 9% si prepara ad una riduzione o al ritiro dal mercato. La previsione però non incorpora il possibile aumento delle aliquote Iva previsto dalle clausole di salvaguardia per il 2020 e non ancora scongiurato ufficialmente. L’aumento dell’Iva annullerebbe tutti i potenziali progressi, portando ad una riduzione della spesa delle famiglie di oltre 300 euro su base annua. Questo avrebbe un effetto devastante anche sul tessuto delle imprese del commercio modenese, con le prevedibili ricadute in termini di ulteriori chiusure di attività.”
“Senza ripresa dei consumi interni, ad oggi ingessati, non ci può essere ripresa dell’economia – ribadisce Mauro Rossi, Presidente provinciale di Confesercenti Modena – ragione che ci vede ora più che mai rinnovare la richiesta a tutti i livelli di misure specifiche di sostegno e incentivo per le piccole imprese, ancora parte portante ed importante dell’economia regionale e modenese, in particolare per il commercio al dettaglio, che tuttora paga i costi più alti della difficile situazione economica. Il rilancio dei consumi delle famiglie però passa prima di tutto attraverso l’occupazione. Ed è per questa ragione che i temi del lavoro devono essere posti al centro delle politiche di sviluppo del Paese e del territorio. Servono regole chiare e coraggio per ridurre il costo del lavoro e far ripartire le retribuzioni, in particolare i salari medi, quelli che hanno più sofferto durante la crisi. Riteniamo quindi opportuna la proposta di una flat tax sugli aumenti salariali al di sopra dei minimi contrattuali. Una detassazione degli incrementi retributivi per tre anni potrebbe lasciare nelle tasche degli italiani risorse che si trasformerebbero in una spinta ai consumi delle famiglie, ma va scongiurato l’aumento dell’IVA.”
“Cambiano le abitudini di spesa, aumentano gli affari online, ma cresce purtroppo la propensione delle famiglie a rimandare gli acquisti e limitarsi allo stretto necessario. Consumi stagnanti che riflettono una economia nel complesso in stallo. Ma si può e si deve tornare a crescere – afferma il Segretario Generale di Confesercenti Mauro Bussoni – e a far ripartire la domanda interna nel nostro Paese. L’imperativo è mettere più soldi nelle tasche di chi lavora, aumentare le possibilità di incremento del reddito e dell’occupazione. Per raggiungere questo obiettivo, però, siamo convinti che quella del salario minimo sia la strada sbagliata da percorrere. Dobbiamo far ripartire la contrattazione, non cancellarla: dunque sì, con convinzione, alla proposta di una flat tax sugli aumenti salariali al di sopra dei minimi contrattuali. Ma bisogna evitare di barattare la flat tax con l’aumento dell’IVA: la frenata dei consumi che seguirebbe l’incremento delle aliquote porterebbe alla scomparsa di altri 9mila negozi circa da qui al 2020 nel nostro Paese. Una tragedia annunciata, da schivare a tutti i costi”.