Un gruppo internazionale di ricerca è riuscito per la prima volta a misurare la forma tridimensionale di sedici ammassi di galassie, verificando che questi enormi oggetti spaziali hanno una sagoma ellissoidale. Lo studio è stato appena pubblicato su The Astrophysical Journal Letters.
Gli ammassi di galassie sono gli oggetti più grandi dell’Universo: agglomerati di galassie tenute insieme dalla forza di gravità che raggiungono masse pari a milioni di miliardi di masse solari. La loro forma è il frutto di un’evoluzione lunga miliardi di anni, fatta di fusioni catastrofiche tra ammassi più piccoli e del lento accrescimento per accumulo di materia limitrofa. A rendere il quadro più complicato, inoltre, gli ammassi sono composti per l’80% di materia oscura, la sostanza di cui non conosciamo con certezza le proprietà e che, con l’energia oscura che accelera l’espansione dell’Universo, regola la formazione delle strutture cosmiche.
Una forma ellissoidale
A causa delle loro enormi dimensioni e della complessità della loro composizione, misurare la forma degli ammassi di galassie non è affatto semplice. Soprattutto se si vuole ricostruirne la struttura tridimensionale: la maggior parte degli strumenti che osserva il cielo, infatti, ottiene immagini in due dimensioni.
A riuscirci, per la prima volta, è stato un gruppo di ricerca internazionale di astronomi, guidato da Mauro Sereno, ricercatore post-doc dell’Università di Bologna e dell’INAF – Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio (OAS) di Bologna. “Siamo riusciti a verificare che una forma ellissoidale descrive bene la distribuzione di materia e di plasma caldo di questi ammassi”, spiega Sereno. “Un risultato che rafforza le più recenti predizioni teoriche sulla struttura del nostro Universo e il ruolo di collante gravitazionale della materia oscura”.
Segnali extra-galattici
Gli ammassi di galassie sono ricchi di elementi distinti. In buona parte, emettono segnali nello spettro del visibile, ma ci sono anche grandi quantità di gas di protoni e elettroni, riscaldato ad alte temperature, rilevabile nella “banda X”. Inoltre, questo gas intergalattico interagisce con i fotoni della radiazione cosmica di fondo – la “traccia fossile” del Big Bang – producendo così un ulteriore segnale (chiamato “effetto Sunyaev-Zel’dovich”). La materia oscura che tiene legato l’ammasso, infine, può agire anche come una lente e deviare la luce emessa dalle galassie retrostanti.
“Tutti questi effetti agiscono in modo diverso a seconda dalla forma dell’ammasso”, dice ancora Mauro Sereno. “In particolare, ci possono svelare quanto l’ammasso sia allungato verso di noi o quanto sia schiacciato nel piano del cielo”. È mettendo insieme tutti questi indizi che i ricercatori sono riuscire a sviluppare un metodo di analisi capace di ricostruire la forma tridimensionale degli ammassi di galassie.
I protagonisti dello studio
Il gruppo di ricerca internazionale di astronomi che ha messo a punto lo studio è guidato da Mauro Sereno, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna e presso l’INAF – Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio (OAS) di Bologna, e comprende altri ricercatori di INAF-OAS (Stefano Ettori e Massimo Meneghetti) e colleghi da istituti in Taiwan (Keiichi Umetsu e I-Non Chiu), USA (Jack Sayers), Spagna (Jesús Vega-Ferrero) e Israele (Adi Zitrin). I risultati hanno prodotto tre pubblicazioni, due su The Astrophysical Journal e una su The Astrophysical Journal Letters.
***
Didascalia immagine:
Immagine in tricromia ottenuta col telescopio Subaru (sito sul’isola Maunakea, Hawaii) dell’ammasso di galassie MACS J1206.2-0847, uno degli ammassi studiati dagli autori.