“La tragedia di Casalgrande è la drammatica testimonianza di quanto possa essere enorme la difficoltà delle famiglie ad affrontare una malattia come la demenza”. Sono parole sofferte quelle di Simonetta Cavalieri, presidente di AIMA Reggio Emilia – Associazione Italiana Malattia Alzheimer. Una realtà che da oltre vent’anni è impegnata nel territorio provinciale con decine di volontari e di progetti pensati prima di tutto per sostenere i famigliari e i cari delle persone affette da diverse forme di demenza, a partire proprio dall’Alzheimer.
La recente tragedia di Casalgrande, quando il marito di una donna alle prese con un grave caso di demenza ha ucciso la moglie per togliersi la vita, ha ricordato ai volontari con violenza quanto duro possa essere l’impatto con questa problematica. Non si parla solo e tanto di aspetti sanitari, ma della vita intere delle famiglie coinvolte.
“Purtroppo ciò che è accaduto è la drammatica testimonianza di quanto possa essere enorme la difficoltà delle famiglie ad affrontare una malattia di questo genere. Quando arriva in una famiglia la diagnosi di una malattia non guaribile come la demenza che necessita di un doloroso e lungo percorso di cura e assistenza, i familiari hanno bisogno di essere accompagnati in tutto quello che riguarda il cambiamento radicale della quotidianità che li aspetta”, sottolinea la Cavalieri.
Questa difficile realtà è ben conosciuta all’interno di AIMA, i cui volontari sono in gran parte famigliari di persone malate. “Grazie al fatto che diversi volontari sono stati familiari di persone malate e sono passati attraverso l’esperienza di fare i conti con tutto quello che significa accompagnare la persona cara nel percorso di cambiamento che la malattia impone, l’associazione può rappresentare un luogo accogliente di confronto e di ascolto dove ci si può sentire veramente compresi da chi sa, per averlo vissuto, che cosa succede, che cosa si vive tutti i giorni, spesso per lungo tempo”, sottolinea la Cavalieri parlando di questa vicinanza.
In casi simili, le parole che vengono fuori sono “isolamento” e “sofferenza”. Testimonianze di un problema quasi inevitabile: “Quando una persona si ammala, tutta la sua famiglia vive una profonda sofferenza, perché assistere all’evoluzione della malattia è fonte di estremo carico di stress, tensione, preoccupazione, stanchezza e spesso le famiglie si chiudono, si isolano, con l’intenzione di proteggere la fragilità del proprio caro. L’esito di questo isolamento è di vivere una profonda solitudine”, ricorda la presidente di AIMA.
Gli sforzi per far pronte a questa situazione sono numerosi, e vanno potenziati: “Come associazione, nata per dar voce alle famiglie e sostenerle nel lungo percorso di una malattia ancora tanto poco conosciuta e soprattutto ignorata, siamo convinti della necessità di una forte integrazione e sinergia tra le reti sanitarie e sociali del territorio e il volontariato”, spiega la Cavalieri.
“L’impegno di tutti è quello di far conoscere la malattia in modo che le persone siano in grado di affrontarla, perché ciò che si conosce può spaventare di meno. Il nostro impegno si rivolge ai familiari, naturalmente, ma anche verso la società per cercare di creare una comunità accogliente che possa essere di sostegno, di conforto e di aiuto a vincere l’isolamento delle famiglie e lo stigma che ancora impedisce alle persone malate di avere la maggiore qualità di vita possibile, malgrado le perdite dovute alla malattia”.
Quello che colpisce di Casalgrande è anche l’età dei protagonisti, in particolare della moglie malata. L’immaginario della demenza porta a pensare ai malati come ad anziani, ma non è così. “Questa malattia incide molto sulle persone in età avanzata ma può colpire anche persone giovani, magari ancora in età lavorativa. Ricordiamo che la prima diagnosi fu fatta da Alois Alzheimer su una giovane donna”, ricorda la presidente dell’associazione.
Inoltre, “nelle situazioni in cui la malattia colpisce in età presenile o giovanile le problematiche di gestione e di assistenza sono particolarmente drammatiche e complesse per diverse ragioni, facilmente comprensibili, che vanno dal lavoro, già ricordato, alla presenza di figli ancora giovani, agli aspetti legati alle prospettive di vita che vengono a essere drammaticamente travolte dalla malattia”. La risposta quale può essere? “Per tutte le persone malate, ma specialmente pensando a queste particolari situazioni, occorre costruire spazi fisici, ma anche emotivi e mentali, che rappresentino occasioni, sia per le persone malate, sia per i loro familiari, per vivere e non sopravvivere”.
Infine, un pensiero doveroso. Tutta l’associazione, tutti noi volontari, familiari e operatori, vogliamo cogliere l’occasione di questa intervista per esprimere il nostro profondo dolore e la nostra sincera vicinanza alla famiglia.