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Rischio trasmissione di malattie virali e batteriche in ospedale: dalla Giunta regionale i criteri per l’idoneità degli operatori sanitari

Nei reparti di oncologia, ematologia, neonatologia, ostetricia, pediatria, malattie infettive, nei Pronto soccorso e nei Centri trapianti dell’Emilia-Romagna potranno lavorare solo gli operatori sanitari (e dunque medici, infermieri, ostetriche) che risultano immuni nei confronti di morbillo, parotite, rosolia e varicella.

Nel caso in cui venga accertata l’assenza di immunità nell’operatore e il rifiuto o l’impossibilità a sottoporsi alla vaccinazione specifica, il medico del Lavoro (medico competente) rilascerà un giudizio di idoneità parziale temporanea, con limitazioni a non svolgere attività sanitaria nelle aree ad alto rischio e a non prestare assistenza diretta a pazienti affetti dalle quattro patologie perché potrebbero contagiare l’operatore stesso ed i propri pazienti.

Lo prevede il documento “Rischio biologico e criteri per l’idoneità alla mansione specifica dell’operatore sanitario”, redatto dai medici competenti delle Aziende sanitarie, da infettivologi e da esperti dell’Università e della Regione e approvato dalla Giunta regionale con un’apposita delibera dopo un confronto con le organizzazioni sindacali.

Il documento – che riprende e sviluppa le Linee di indirizzo per la sorveglianza sanitaria degli operatori delle Aziende sanitarie della regione (circolare luglio 2014) – è pienamente coerente con le normative in materia di tutela dei lavoratori e dei pazienti e indirizzerà i medici competenti nell’esprimere la valutazione di idoneità specifica degli operatori della sanità.

L’obiettivo è tutelare l’operatore sanitario e i pazienti assistiti: all’interno vengono sottolineate infatti quali siano le attività e le aree che possono rappresentare un effettivo rischio per la trasmissione di patologieper via ematica (epatite B, epatite C, HIV) e per via aerea (tubercolosi, morbillo, parotite, rosolia e varicella). Le indicazioni del documento sono destinate sia al personale in servizio che al personale di prossima assunzione. In quest’ottica la Regione stanzia circa 500mila euro per la promozione della salute nelle Aziende sanitarie dell’Emilia-Romagna, con un focus particolare sulle vaccinazioni.

“Dopo aver fatto da apripista con la legge sui vaccini obbligatori per i bimbi che frequentano il nido, la Regione Emilia-Romagna vuole occuparsi delle strutture sanitarie, di chi ci lavora e dei pazienti- sottolineano il presidente della Giunta, Stefano Bonaccini, e l’assessore alle Politiche per la salute, Sergio Venturi-. Questo documento, oggetto anche di un confronto con i sindacati, introduce elementi di garanzia e tutela, per chi cura e per chi è curato. È una questione di civiltà. È nostro dovere- proseguono- proteggere l’operatore sanitario che, per motivi professionali, è maggiormente esposto al contagio, e gli utenti del servizio sanitario, dunque i pazienti, spesso in condizione di fragilità e quindi esposti a un grave pericolo per la salute”.

Attività e aree che possono rappresentare un effettivo rischio biologico per gli operatori sanitari e per i terzi
Per quanto riguarda il rischio relativo al virus dell’epatite B e C, e HIV è previsto che l’operatore in condizioni di infettività non possa svolgere le procedure invasive “ad alto rischio” (come chirurgia generale, chirurgia generale del cavo orale, chirurgia cardiotoracica, neurochirurgia, procedure ortopediche, chirurgia dei trapianti).

Per quanto riguarda morbillo, parotite, rosolia e varicella – malattie trasmesse per via aerea e prevenibili con vaccino – il documento individua come aree “ad elevato rischio” per l’operatore e i terzi l’oncologia, l’ematologia, la neonatologia, l’ostetricia, la pediatria, le malattie infettive, i Pronto soccorso e i Centri trapianti. Si tratta di aree del Servizio sanitario regionale dove operano circa 4000 persone, di cui un migliaio sono medici, 2500 infermieri e 500 ostetriche.
In Emilia-Romagna, dal 2012 al 2016, su 464 casi di morbillo 61 hanno interessato operatori sanitari; 76 i focolai in tutto, di cui 20 hanno coinvolto operatori sanitari.

Rispetto al rischio della tubercolosi, i criteri addottati per l’espressione del giudizio di idoneità prevedono che il soggetto affetto da malattia in fase attiva non sia idoneo fino al termine del trattamento che consente l’accertamento dell’assenza di infettività.

Alla base del documento approvato: elementi giuridici
Il documento approvato si richiama a quanto già affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 218/94, che ha rilevato come “l’interesse comune alla salute collettiva e l’esigenza della preventiva protezione dei terzi consentono in questo caso, e talvolta rendono obbligatori, accertamenti sanitari legislativamente previsti, diretti a stabilire se chi è chiamato a svolgere determinate attività, nelle quali sussiste un serio rischio di contagio, sia affetto da una malattia trasmissibile in occasione e in ragione dell’esercizio delle attività stesse”; ancora, “lo stesso legislatore, nel settore della sanità e dell’assistenza, ha inteso disporre la protezione dal contagio professionale, avendo particolarmente di mira il rischio che gli addetti possono correre nell’esercizio dell’attività professionale; rischio per il quale operano in prevalenza le misure di protezione previste”. Indicazioni confermate dal decreto legislativo 81/2008 (che evidenzia come il lavoratore debba “osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva e individuale”), dalla legge 24/2017 (“Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita”).

















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