Il numero complessivo di dimissioni e risoluzioni consensuali convalidate dalle Direzioni territoriali del lavoro per l’anno 2016 risulta essere 37.738, con un incremento del 12% rispetto al 2015, quando il dato era pari a 31.249 unità, e un altro incremento (del 19%) rispetto al 2014, anno in cui le convalide erano state 26.333. Una tendenza in costante aumento, equamente distribuita in tutte le regioni italiane, Emilia-Romagna inclusa in vetta con la Lombardia al Nord, seppure strettamente connessa al differente tasso di occupazione che caratterizza le diverse aree del Paese: la disoccupazione affligge soprattutto il Sud.
A fornire i dati più recenti è il ministero del Lavoro che ha presentato pochi giorni fa la Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri. Anche gli stranieri sono interessati al fenomeno (sono il 10% circa del totale).
“Il problema più grave riguarda soprattutto le donne”: afferma Tullia Bevilacqua, segretario generale Ugl Emilia-Romagna che evidenzia un’ulteriore incongruenza del sistema : “Dobbiamo rilevare, inoltre, come sia sempre in aumento il numero delle donne che si licenziano nonostante negli ultimi anni – anche su suggerimento dei sindacati – si siano modificate le norme per contrastare in maniera più stringente le dimissioni ‘in bianco’”.
Le dimissioni e le risoluzioni consensuali in larga parte – all’82% dei casi – riguardato infatti le lavoratrici madri.
In particolare, l’anno scorso sono state 27.443 le lavoratrici madri che si sono dimesse volontariamente dal posto di lavoro. L’anno precedente erano state 25.620. La maggioranza delle lavoratrici italiane che chiede la convalida delle dimissioni volontarie ha prevalentemente un solo figlio, oppure è in attesa di averlo.
Fra le motivazioni che spingono all’abbandono volontario del lavoro: l’assenza di supporti e servizi pubblici e privati idoneo al ruolo genitoriale, costi di assistenza elevati, orari poco flessibili in azienda e welfare carente o eccessivamente burocratico.
“Segno incontrovertibile – aggiunge Tullia Bevilacqua – che una delle ragioni, forse la ragione principale, che spinge la maggior parte delle donne censite in questa statistica ad abbandonare il lavoro, è nell’impossibilità di conciliare tempi di vita familiare e tempi del lavoro, non si riesce ad assolvere al meglio il ruolo di madre se non a costo di abbandonare gli impegni lavorativi, cedendo gran parte dell’autonomia economica che deriva dall’aver ottenuto un impiego. E questa è l’ennesima prova che le pari opportunità sono ancora in gran parte una facile slogan e che per le donne – lavoratrici la maternità si traduce sempre più spesso in un ostacolo oggettivo al rientro al lavoro, anzi spinge di fatto (laddove non siano direttamente “suggerite” dai datori di lavoro) alle dimissioni, incentivando i casi di esclusione sociale , se non di nuove povertà effettive, come l’Istat ha rilevato pochi giorni fa in un’indagine sullo stato economico degli italiani”: conclude il segretario generale Ugl Emilia-Romagna, Tullia Bevilacqua.