Le nuove prospettive per le imprese emiliano romagnole collegate alla Belt & Road Initiative della Cina, anche conosciuta come nuova Via della Seta, sono state al centro dell’incontro organizzato oggi a Bologna da Intesa Sanpaolo presso la sede di Carisbo, con la collaborazione di SRM-Studi Ricerche Mezzogiorno, centro studi collegato ad Intesa Sanpaolo.
La Belt & Road Initiative cinese è un piano di investimenti infrastrutturali che modificherà gli assetti della portualità e delle rotte da e verso l’estremo oriente con impatti significativi sui porti del Mediterraneo e sul Nord-Europa.
La Via della Seta, nuova strategia della Cina per la crescita delle relazioni commerciali, potrà essere il nuovo canale per la crescita delle infrastrutture e del sistema produttivo globale. Il programma interesserà tutto il Mediterraneo con ingenti investimenti nei porti, in particolare in terminal e infrastrutture intermodali. L’Italia, insieme a Grecia, Olanda, Israele, Turchia, è tra i Paesi interessati.
La BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali) attiverà, secondo le stime, dai 1.000 ai 1.400 miliardi di dollari di investimenti infrastrutturali per realizzare e rafforzare opere marittime, stradali, aeroportuali e ferroviarie. Sino ad oggi sono stati censiti progetti portuali e aeroportuali nell’Area MENA (Middle East and North Africa) pari a 27 miliardi di dollari. Gli investimenti lungo la nuova via della Seta dovrebbero consentire alla Cina di realizzare, al 2020, un export nei paesi interessati di circa 780 miliardi di dollari ed un import di 570.
Secondo dati rilevati da SRM, la Cina ha già investito circa 4 miliardi di euro in 6 porti del Mediterraneo e del Nord Europa. La Cosco, compagnia di shipping statale cinese, realizzerà investimenti nel porto greco del Pireo per 1,5 miliardi di euro.
Anche in Italia cresce la valenza del trasporto marittimo e la consapevolezza di poter svolgere un ruolo di primo piano nel nuovo scenario geo-economico. Il Paese ha le potenzialità per proporsi come hub logistico e punto strategico di imbarco e sbarco per le “Silk Ships”, le navi che percorrono la nuova Via della Seta. Per la sua posizione geografica e per la dotazione logistica e portuale può rivestire un ruolo di primo piano nella Belt & Road Initiative.
Numerosi scali italiani ospitano rotte interessate da Medio e Estremo Oriente. L’Asia, con il 40% del totale, è la prima destinazione marittima delle nostre merci e la Cina è uno dei nostri maggiori partner in termini di import-export marittimo: nel 2016, in valore, abbiamo avuto un interscambio pari a oltre 27 miliardi di Euro.
“Il grande programma di investimenti Belt & Road Initiative, che prevede una via marittima ed un’altra via stradale-ferroviaria, permetteranno alla Cina di incrementare le relazioni commerciali con l’Eurasia ed in particolare con i Paesi del Mediterraneo. – dichiara Tito Nocentini (foto), direttore regionale di Intesa Sanpaolo – Si parla di un piano di investimenti in infrastrutture di circa 1.400 miliardi di dollari, dove saranno coinvolti 60 Paesi e che dovrebbe portare una crescita del commercio della Cina pari a circa 2.500 miliardi. Noi riteniamo che i tutti porti italiani possano giocare un ruolo importante in quest’ambito poiché l’Italia ha già ottime relazioni economiche con questo Paese (con un interscambio via mare di circa 27 miliardi di euro) e perché il mezzo principale con cui la Cina stessa interloquisce con il Mediterraneo è proprio quello navale. Il Governo Italiano ha più volte incontrato rappresentanti della Cina a livello imprenditoriale ed istituzionale ed ha sempre menzionato i porti adriatici come via strategica per accogliere le navi che via Suez proverranno dall’Estremo Oriente. Ma sarà importante mettere a disposizione di un così imponente sistema commerciale una serie di porti efficienti per poter offrire alternative di sbarco valide per cui anche i porti adriatici dovranno farsi trovare pronti. Per non dimenticare i porti del sud che possono essere il punto di approdo per le merci destinate al centro-centro nord. Bisogna lavorare dunque per migliorare le infrastrutture pensando che nel Mediterraneo esistono porti nostri competitor che non stanno certo a guardare e che su aspetti fondamentali, come dragaggio per le mega-navi, procedure doganali, aspetti amministrativi ed intermodalità, sono assai competitivi.”
“Il Mediterraneo è più centrale nello scenario geo-economico mondiale di quanto non fosse in passato e la tendenza continua. – commenta Massimo Deandreis, direttore generale di SRM – Lo misuriamo attraverso alcuni fenomeni. Il primo elemento deriva dal fatto che cresce in modo costante l’interscambio commerciale dei principali paesi del mondo con l’area del Sud Mediterraneo, Medio Oriente e Golfo (area Mena). La Cina in particolare è passata da un interscambio di 20,6 miliardi di dollari nel 2001 a 245 miliardi nel 2016. Inoltre, se mettiamo insieme l’export italiano verso tutti i Paesi toccati dalla Via della Seta vediamo che rappresenta di gran lunga la nostra prima destinazione extra europea.”
“Il recente raddoppio del canale di Suez e gli investimenti cinesi sulla cosiddetta “Via della seta”, 1.400 miliardi di dollari, aprono prospettive di ulteriore rafforzamento del ruolo del Mediterraneo ed in particolare dei suoi porti. – aggiunge Deandreis – Dal rilancio della grande rotta verso Suez, Golfo e Asia tutti i porti italiani possono trarre vantaggi, compreso quelli dell’Adriatico, e l’Italia ed il Mezzogiorno possono davvero candidarsi a svolgere il ruolo di piattaforma logistica. Chiaramente i porti del Nord Italia hanno la funzione di “gate” di accesso ai mercati del Centro Europa e sono in diretta competizione con quelli del Nord Europa. Trieste, grazie all’elevata vocazione intermodale, alla sua efficiente rete di collegamenti e alla zona franca offre una via privilegiata verso l’Est e i mercati centroeuropei, ma tutto l’arco marittimo, adriatico-ionico-tirrenico, rappresenta la naturale porta di accesso che può servire il tutto il sistema industriale italiano da Sud fino alla pianura padana. Tuttavia, per poter far fronte a questo fenomeno gli scali dovranno mettere in campo nuovi modelli di sviluppo che possano offrire non solo i “classici” servizi portuali. Bisogna dunque investire e recuperare il tempo perduto sui collegamenti ferrovia-porti, sull’intermodalità e su una logistica portuale più efficiente.”