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Il Tar respinge il ricorso di alcuni comuni, l’Unione dei comuni dell’Appennino bolognese unica legittima “erede” della comunità montana

La scelta della Regione Emilia-Romagna di attribuire all’Unione dei comuni dell’Appennino bolognese le funzioni precedentemente in carico alla Comunità Montana, nonostante il rifiuto di quattro comuni di aderirvi, è legittima e corretta. Lo ha stabilito una sentenza del TAR dell’Emilia-Romagna (la n. 924 del 10 novembre 2016) il quale ha così respinto un ricorso presentato dai comuni di Lizzano in Belvedere e Camugnano.

I fatti risalgono al 2012: la Regione, attraverso la legge regionale n.21, prevede un riordino territoriale che recepisce il decreto-legge n. 78/2010, che tra le altre cose ha abolito le Comunità Montane. Secondo tale piano di riordino, il territorio è suddiviso in ambiti territoriali ottimali, tra i quali quello dell’Appennino bolognese che corrisponde al Distretto socio-sanitario ed alla circoscrizione della Comunità montana. Per la Regione dunque l’Unione dei Comuni dell’Appennino bolognese deve subentrare alla coincidente Comunità Montana dell’Appenino bolognese nella gestione di funzioni di delega regionale (forestazione, difesa del suolo, agricoltura, vincolo idrogeologico e altre). Da più parti però si registrano delle resistenze, per cui la Regione apporta delle modifiche alla L.R. 21/2012 e in particolare attraverso la legge 9 del 2013 consente ai Comuni di scegliere se far parte o meno delle Unioni di Comuni che stanno nascendo. Quattro comuni – Camugnano, Granaglione, Lizzano in Belvedere e Porretta Terme – non aderiscono all’Unione e ne creano una autonoma, l’Unione dell’Alto Reno, senza i parametri previsti dalla Regione.

A questo punto arriva la scelta della Regione che 3 questi comuni (nel frattempo Granaglione e Porretta si sono fusi in Alto Reno Terme) contestano: quella di delegare all’Unione dell’Appennino bolognese tutte le funzioni regionali, comprese quelle relative ai territori dei comuni che non hanno aderito. La delega porta a diversi ricorsi, compreso quello in questione, bocciato dal TAR. Va detto poi che Lizzano si è ritirato per cui il ricorso è stato portato a termine solo da Camugnano, mentre Porretta Terme e Granaglione non hanno mai chiesto la fissazione dell’udienza del loro ricorso.

La sentenza stabilisce che la scelta della Regione è legittima perché si tratta di una materia in cui ha competenza esclusiva, e visto che l’Unione dell’Appennino bolognese risponde ai requisiti previsti dalla Regione (in ogni ambito territoriale ottimale ci deve essere una sola Unione con popolazione non inferiore ai 10.000 abitanti, 8.000 se per i comuni montani), quest’ultima ha tutto il diritto di sceglierla come interlocutore.

Ciò non limita l’autonomia comunale perché non sono in discussione le funzioni che la legge attribuisce direttamente ai Comuni, ma funzioni che la Regione può affidare al soggetto che ritiene più idoneo. Se alcuni comuni decidono di intraprendere una strada diversa rispetto al piano regionale, devono accettarne le conseguenze, che non appaiono viziate sul piano costituzionale: e quindi devono versare le quote previste dai decreti successori (nelle quali si prevede la ripartizione a carico di tutti i comuni delle spese di personale, la suddivisione delle quote delle proprietà immobiliari, l’accollo dei debiti della precedente comunità).

Inoltre, visto che l’Unione conserva la titolarità di funzioni e compiti anche nei confronti dei comuni che hanno scelto di restare fuori dall’Unione e che si sono rifiutati di riassorbire fra il proprio personale i lavoratori della vecchia comunità, è l’unica titolata a subentrare nel ricevere i contributi prima spettanti alla precedente comunità.

“Speriamo che questa sentenza ponga fine ad un periodo di conflittualità e divergenze che non fanno bene al territorio dell’Appennino bolognese – spiega il presidente dell’Unione Romano Franchi –  che avrebbe bisogno di scelte politiche condivise. Siamo contenti di aver perseguito con la Regione una scelta che si è confermata quella giusta, adesso però ci preoccupa soprattutto la sostenibilità degli interventi che queste deleghe comportano, e che non è così scontata visto i costi che come Unione dell’Appennino siamo costretti ad anticipare”:

















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