Si apre con il segno meno il 2016 delle imprese manifatturiere modenesi con meno di 50 dipendenti. Il calo è dell’1,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, un dato negativo di per sé non drammatico, a fronte della tenuta di altri parametri (il fatturato, ad esempio, cresce del 3,6% e anche l’occupazione tiene: +0,3%). Certo è che questa flessione testimonia la precarietà che sta caratterizzando questa fase economica. Da sottolineare anche l’andamento contrastante degli ordini, -14,9% per quelli nazionali, + 8,7% per quelli esteri. La dinamicità del mercato d’oltralpe non stupisce, visto che l’export si attesta al 26% del fatturato totale.
ANCORA SOTTO I LIVELLI PRE-CRISI
Ovviamente rimane del tutto parziale il dato del 2016, con livelli produttivi che in ogni caso rimarrebbero superiori a quelli del 2012.
I SETTORI
Si aggrappa alla meccanica il manifatturiero dei piccoli: è questo settore, peraltro la colonna portante dell’economia modenese, a fare segnare i risultati migliori. Ancora in sofferenza, ed è il quarto trimestre consecutivo, l’alimentare. Segno meno anche per la filiera della moda (ciascun valore fa riferimento alla variazione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente).
Dura ormai da un anno la flessione di uno dei settori più importanti dell’economia modenese, anche se si riduce la flessione del fatturato. Cresce però la quota export, che balza al 25% del fatturato totale, record per l’alimentare modenese.
Venti di tempesta per il segmento dell’abbigliamento più esposto alla concorrenza internazionale basata sul prezzo. Una situazione difficile testimoniata anche dall’andamento dell’export sul totale del fatturato, che passa dal 35,2% del 2015 al 26,6% dei primi tre mesi del 2016.
Secondo trimestre consecutivo in negativo per il segmento di mercato caratterizzato da aziende in conto proprio collocate nella fascia medio-alta del mercato. Particolare preoccupazione desta il forte calo del fatturato e la contrazione dell’export, che si arresta al 26% del fatturato.
Quarto trimestre consecutivo di crescita per la meccanica pesante, con l’export che si attesta al 13% del fatturati totale.
Continua ad un ritmo eccellente la crescita del segmento principe del manifatturiero geminiano, che si mette in luce anche per il buonissimo andamento del fatturato. L’export rimane su livelli altissimi (ogni 100 euro di fatturato, 40 arrivano da oltrefrontiera) e anche l’occupazione cresce dell’1,1%.
Ammonta al 44,4% la quota di fatturato export dei “piccoli” della biomedical valley, che, seppur non con i ritmi del passato, continua a crescere con continuità, in particolar modo per ciò che riguarda il fatturato, così come avviene nei settori ad elevato contenuto tecnologico.
Continua a crescere anche il settore delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, forse non molto rappresentativo per la nostra economia, ma da seguire attentamente, sia per la sua “esportabilità” (la quota export è stabile attorno al 30% del fatturato), sia per i suoi contenuti in termini di tecnologia ed innovazione.
LE CONSIDERAZIONI DI CNA.
“Non c’è molto da dire rispetto ai numeri dell’indagine – commenta il presidente di CNA Modena Umberto Venturi – Variazioni così limitate significa situazione stazionaria e situazione stazionaria, in campo economico, ha di per sé un’accezione negativa, soprattutto per i più piccoli. Se ad una situazione di mercati fermi come quella descritta, si aggiunge il fatto che negli ultimi cinque anni il credito alle imprese si sia ridotto di 112 miliardi (-11,%, ma -20% nel settore artigiano), non deve stupire che a Modena ogni anno chiudano 400 imprese artigianali”.
Serve, ad avviso di CNA, una cura straordinaria per il sostegno all’economia dei piccoli. “Ad esempio – continua Venturi – è necessario incentivare gli investimenti nel capitale di rischio delle piccole imprese, ad esempio detassando i rendimenti di questi ultimi”.
Senza dimenticare le questione fiscali: “quest’anno le pmi modenesi lavoreranno sino al 5 agosto per far fronte ad una tassazione complessiva che sfiora il 60%, mentre in Europa questa percentuale rimane attorno al 40%. Con una pressione fiscale così elevata come si può pensare che le piccole imprese possano investire in beni strumentali e capitale umano con la determinazione che sarebbe necessaria?”