Più volte abbiamo spiegato che gli 800.000 posti di lavoro a tutele crescenti non sono nuovi occupati ma trasformazione di contratti esistenti. Modena e Reggio non fanno certo eccezione anzi da un certo senso faticano più di altri a riprendere il passo.
Perché, contrariamente a quello che vogliono farci credere politici nazionali e locali, il lavoro stenta a riprendersi, non certo per responsabilità del sindacato, e molti stabilimenti in crisi nelle nostre terre non si sa se riapriranno all’inizio del prossimo anno, vista la cancellazione di parecchi strumenti di ammortizzatori sociali : oggi le leggi favoriscono il licenziamento piuttosto che la salvaguardia del posto di lavoro.
Non polemizziamo di certo se sia più di sinistra o meno. La verità è una. Il primo ministro è osannato dalla grande finanza e dai grandi imprenditori. Col sindacato non c’è un gran rapporto e coi lavoratori ancora meno. Non sono soddisfatti i pensionati cui sono negati gli sgravi fiscali, non sono contenti i giovani, quelli che hanno studiato emigrano, gli altri non trovano lavoro, non sono contenti i lavoratori pubblici cui continua ad essere negato il contratto, né sono felici i lavoratori autonomi che in mancanza di mercato stentano a pagare gli oneri che tasse locali e nazionali impongono loro a prescindere dal reddito.
L’Italia, come si vede, non è affatto uscita fuori dal tunnel della crisi. L’ottimismo di qualcuno in questo caso è veramente fuori luogo. Di fronte a queste gravi emergenze la risposta sindacale non può essere: “porteremo i lavoratori in piazza per difendere i posti di lavoro e salari”. Bisognerebbe invece arrivare ad un grande accordo “per il paese” dove le forze sindacali, compatte ed unite (non tutti ci sentono), siano in grado, con le forze imprenditoriali, di individuare la strada giusta per aggredire le problematiche, per dare le giuste soluzioni, e nel contempo spingere il governo,, anche quello locale a fare molto di più di quello che fino ad ora ha fatto. Non ci sono scorciatoie