Nel modenese, in base ai dati relativi al 2012, le cave autorizzate sono 48 (due in meno rispetto al 2011 e 11 in meno rispetto al 2008) ma solo in 29 di queste sono state effettuate estrazioni di materiale. I quantitativi scavati sono arrivati a 827 mila metri cubi (erano 1,2 milioni nel 2008, poi calati a 781 mila nel 2010 e risaliti a 943 nel 2011): di questi 682 mila sono costituiti da ghiaie e sabbie, il resto da materiale da cave di monte (16 mila metri cubi), sabbie per ceramiche (104 mila) e argille per ceramiche (23 mila).
Sono solo alcuni dei dati, relativi al 2012, contenuti nella Relazione di monitoraggio sulle attività estrattive, realizzata dai tecnici dell’apposito Osservatorio provinciale. Il settore è regolamentato dal Piano provinciale approvato nel 2009, anche se, come ha sottolineato Emilio Sabattini, presidente della Provincia con delega all’Ambiente, nel presentare il documento al Consiglio provinciale nei giorni scorsi, «il Piano ha avuto i suoi primi effetti a partire dal 2012 e lo scorso anno sono stati rilasciati i primi atti autorizzativi conformi al nuovo Piano. Questo per effetto della fase di completamento da parte dei Comuni delle procedure per l’avvio del Piano stesso che ha rivisto in gran parte le regole e i criteri, all’insegna di una maggiore tutela ambientale, ma anche della crisi economica, in particolare dell’edilizia».
I fabbisogni previsti nel 2009, infatti, tenevano conto della necessità di fornire i materiali estrattivi per alcune opere viarie importanti tra cui la Cispadana, la terza corsia dell’Autobrennero e la bretella Campogalliano-Sassuolo che devono ancora partire.
Dalla fotografia del 2012 emerge, inoltre, che delle 48 cave autorizzate, 42 sono relative a sabbia e ghiaia, due argille per ceramiche, una argille per laterizi, due materiale da cave di monte e una sabbia per ceramiche.
Nella relazione sono forniti anche i dati della distribuzione sul territorio delle 29 cave attive: quattro a Modena (come nel 2011), otto a S.Cesario sul Panaro (sei nel 2011), Sassuolo cinque (erano 12 nel 2011), due a Formigine, Pavullo, Prignano e Spilamberto, una a Campogalliano, Castelfranco Emilia, Palagano e Zocca. Le ditte impegnate nell’attività nel modenese sono 21 nel 2012, erano 25 nel 2011 contro le 27 del 2010 e le 35 del 2008.
L’OBBLIGO DEI RIPRISTINI AMBIENTALI: IN DUE ANNI CONCLUSI 11 RECUPERI IN 5 COMUNI
Nella relazione dell’Osservatorio sulle attività estrattive viene riportata anche l’attività di recupero delle cave dimesse, un obbligo per i cavatori previsto dalla legge regionale e dal Piano provinciale.
L’obiettivo è quello di assicurare un adeguato ripristino ambientale con la restituzione dell’area recuperata alla collettività.
Nel 2012 sono state concluse le opere di ripristino in dieci cave distribuite in cinque comuni (Modena, Castelfranco Emilia, S.Cesario sul Panaro, Frassinoro e Fiorano), mentre nel 2013 sono stati conclusi un ripristino completo e uno parziale in due cave a S.Cesario sul Panaro.
Complessivamente dal 2008 al 2013 sono state collaudate 26 cave esaurite, recuperate prevalentemente con nuovi rinaturalizzazioni e rimboschimenti.
I CONTROLLI SULL’ATTIVITÀ NEL 2013: TUTTI GLI IMPIANTI MONITORATI, OLTRE 200 SOPRALLUOGHI
Nel 2013 i sopralluoghi svolti dai tecnici della Provincia di Modena sulle cave attive nel territorio modenese sono stati oltre 200, comprensivi anche dell’attività di Polizia mineraria per la verifica delle misure di sicurezza in cava. Dai controlli è emerso il sostanziale rispetto della normativa senza violazioni particolarmente gravi: nessuno scavo senza autorizzazione o fuori dai limiti prescritti, né danni ambientali come la contaminazione di falde acquifere.
Tra le inosservanze più frequenti figurano gli scavi non conformi a quanto previsto dal piano di coltivazione con una decina di casi sanzionati dai Comuni; sono state rilevate anche alcune non conformità alle norme di Polizia mineraria a seguito delle quali sono stati assunti specifici provvedimenti di diffida.
In alcuni casi sono stati rilevati ritardi nella realizzazione delle opere di sistemazione morfologica e vegetazionale, una carente cartellonistica e una inadeguata accessibilità alle cave per l’incompletezza delle recinzioni.
Oltre a controllare, i tecnici provinciali in collaborazione con quelli comunali hanno svolto un’attività di supporto nei confronti dei responsabili di cava per individuare corrette modalità tecniche e amministrative di conduzione dell’attività estrattiva e di ripristino.
Sulla base di un protocollo tecnico tra Provincia e Arpa, inoltre, per ogni cava è previsto un piano di monitoraggio ambientale, allo scopo di verificare per ogni singolo polo estrattivo gli impatti su suolo, aria e acqua nonché il rispetto delle prescrizioni ambientali individuate in fase di autorizzazione.