Il rapporto – Ires Emilia-Romagna Cgil a cura di Marco Sassatelli – fa un primo bilancio delle dinamiche che hanno coinvolto il sistema produttivo della provincia di Modena al quinto anno di crisi tentando di capire cosa è definitivamente cambiato, cosa può ancora cambiare e in quale direzione e cosa si dovrebbe auspicare affinché la situazione occupazionale possa tornare ad un livello di equilibrio.
In questi anni il territorio ha mostrato tutte le sue più profonde fragilità: non solo il sisma ha colpito l’area di pianura, ma con l’alluvione si sono materializzate le avvisaglie di un sistema idrogeologico rischioso che già nel recente passato aveva prodotto la franosità dell’area appenninica e a cui si è aggiunta l’inadeguatezza delle opere di controllo idrico nelle zone di pianura. Gli eventi calamitosi hanno semplicemente messo in evidenza che il grado di antropizzazione del territorio era troppo elevato per il grado di rischio intrinseco.
Il modello di sviluppo, centrato su agglomerazioni industriali e su una forte urbanizzazione, è stato messo in discussione dalla crisi. Infatti, la crescita della domanda estera registrata in questi ultimi tre anni non ha permesso di ricostruire il tessuto produttivo pre-esistente la crisi. Inoltre, la qualità della competizione internazionale ha innestato un processo di ridefinizione della specializzazione economica ancora in corso che non ha permesso l’auspicato recupero occupazionale.
Appare sempre più difficile immaginare che il sistema produttivo locale ricostruirà le proprie fortune sulle medesime attività che si erano insediate nel periodo precedente la crisi. Nei prossimi anni, quando si materializzerà la ripresa economica, il rischio di una jobless growth (crescita senza lavoro) si fa sempre più concreto. I dati di lungo periodo relativi alla cassa integrazione sono lo specchio fedele di questo processo, dato che anche nel 2013 il livello medio di ricorso alla cassa integrazione si attesta su un valore 7 volte superiore a quello medio del primo decennio del secolo.
Struttura produttiva, capitale umano e capitale sociale per un nuovo modello di crescita territoriale
Il sistema è infatti oggi molto diverso da quello del 2007. Fra il 2007 e il 2013 sono andati distrutti definitivamente in provincia 10.380 posti di lavoro, per effetto di una distruzione di oltre 20.000 posti nei settori industriali e la nascita di circa 10.000 posti nel settore dei servizi di ricettività turistica, nel settore delle attività dei servizi alla persona e delle attività ricreative, e del settore delle public utilities.
La caduta del sistema industriale trascina con se anche una parte consistente di posti di lavoro nel settore dei servizi alle imprese (oltre 1.150), mettendo in discussione la possibilità di estrarre dal settore dei servizi alle imprese un’attività che sia di alto profilo competitivo e che sia anche in grado di supportare e stimolare la crescita di altri settori economici.
Questo perché il sistema innovativo provinciale nel corso degli ultimi 6 anni ha evidenziato limiti consistenti al suo consolidamento. Poche aziende di grandi dimensioni praticano con assiduità logiche di alta qualificazione del capitale umano, tuttavia il ricorso alla formazione come strumento stabile di miglioramento della competitività è praticato da un numero declinante di imprese. Allo stesso modo l’attività brevettuale e gli investimenti immateriali sono sempre meno frequenti e, soprattutto, meno efficaci: le performance in termini di brevetti, invenzioni e nuovi marchi dell’ultimo quinquennio sono del 30% inferiori ai valori del quinquennio precedente, mentre il numero delle imprese che dichiara di non fare alcuna innovazione è cresciuto di 10 punti percentuali rispetto al periodo precedente il 2009 e si attesta attorno alla metà delle imprese.
Inoltre, Il sistema creditizio non solo non ha adeguatamente supportato il sistema economico nel tentativo di tamponare o attutire gli effetti negativi della crisi, ma aumentando la raccolta e riducendo drasticamente gli impieghi ha drenato risorse finanziarie dal territorio per reinvestirle altrove. La debolezza finanziaria del sistema ha certamente avuto ripercussioni anche sulla velocità di reazione alla complessità della crisi.
Uscire dalla crisi con uno sviluppo sostenibile
È del tutto evidente che l’entità della ricostruzione del sistema produttivo non può essere affrontata nell’attesa di una continuità con il passato. La discontinuità si rende del tutto necessaria e urgente.
Il primo punto di discontinuità va messo nell’uso estensivo del territorio come ambito da sfruttare ulteriormente sotto il profilo economico. La continua e inarrestabile crescita della popolazione residente oltre a spingere per ulteriori insediamenti residenziali chiede uno sforzo di crescita della struttura produttiva che difficilmente, a condizioni date, potrà essere soddisfatta. Mediamente il territorio deve realizzare ex novo 22.900 posti di lavoro, che corrispondono a circa l’8% dei posti di lavoro esistenti, inoltre tali investimenti dovrebbero essere distribuiti in modo diffuso nei diversi distretti della pianura e della collina, andando ad incrementare il già elevato consumo di suolo. Ridurre la crescita residenziale significa anche mantenere un livello sostenibile del fabbisogno di servizi sociali e, in ultima analisi, la possibilità per i comuni di ritrovare un adeguato equilibrio di bilancio.
Il secondo punto di discontinuità deve essere posto in un maggiore impegno a favorire la crescita del sistema di innovazione, sia con investimenti nuovi e mirati, sia con incentivi allo sviluppo del capitale umano territoriale. Far crescere, qualificare e rendere efficace il sistema della formazione al fine di favorire la riqualificazione, ma soprattutto l’aggiornamento professionale è un tassello essenziale per rilanciare la capacità innovativa del sistema produttivo territoriale che oggi sta molto soffrendo.
Il terzo punto riguarda l’avvio di un diverso disegno di specializzazione del sistema produttivo territoriale che sia in grado di assecondare le tendenze in atto nel settore dei servizi, ma che sia anche in grado di favorire nuove iniziative che partono e si sviluppano a partire dalle specificità e competenze diffuse a livello territoriale, che già in occasione della ricostruzione post sisma si erano manifestate ma di cui non si sospettava l’esistenza. In questo un diverso approccio da parte del sistema imprenditoriale e, soprattutto, del sistema finanziario è cruciale. Il territorio non può essere considerato semplicemente un pozzo di denaro accumulato da intercettare, ma deve essere visto come un’opportunità di investimento. L’innovazione nel sistema finanziario è assolutamente necessaria per avere una prospettiva di crescita economica che si muova al di fuori degli schemi consolidati.
Il quarto punto riguarda la difesa e messa in sicurezza del territorio come asset strategico su cui innestare politiche di crescita e qualificazione insediativa. I rischi a cui sono esposti gli insediamenti residenziali e produttivi sono oggi troppo elevati e i costi per gli interventi di emergenza cominciano ad essere troppo ingenti per l’efficacia che hanno.