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Studio Unimore sulla risposta immunitaria in pazienti con HIV

policlinicoLa risposta immunitaria nei primi due mesi dell’infezione da HIV ne influenza il decorso e l’eventuale progressione verso l’AIDS. A questa importante conclusione è giunto uno studio durato diversi anni, finanziato dall’Istituto Superiore di Sanità e condotto dal gruppo guidato dal prof. Andrea Cossarizza, docente di Immunologia all’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e dalla prof.ssa Cristina Mussini, direttore dalla Clinica delle Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena.

La ricerca, appena pubblicata, proprio a pochi giorni di distanza dalla Giornata mondiale della lotta contro l’AIDS, su PLOS ONE, rivista peer reviewed e open access dedicata alle scienze e alla medicina, presenta una serie di dati, risultato di interessanti osservazioni scientifiche, che svelano come lo sviluppo dell’HIV dipenda dalla reazione immunitaria del corpo nella primissima fase del contagio.

Ai fini della ricerca sono stati individuati pazienti con infezione acuta da HIV, ovvero nelle fasi immediatamente seguenti al primo contatto con il virus, che sono stati seguiti per oltre 5 anni.

Tutte le persone che avevano un grado molto alto di attivazione del sistema immunitario, indice di una risposta eccessiva all’infezione, hanno dovuto iniziare la terapia antivirale già entro i due anni, mentre l’80 percento di chi non rispondeva in modo esagerato non ha avuto necessità di alcun trattamento fino anche a 5 anni dopo il contagio.

“I risultati ottenuti – hanno spiegato gli autori della ricerca – indicano che fin dal primo contatto con l’ospite, il virus è in grado di <deviare> a proprio vantaggio la risposta dello stesso, dal momento che, alla massiva attivazione della risposta immune, segue un suo fisiologico spegnimento, con la conseguente perdita di quelle cellule che sarebbero in seguito utili per le difese”.

La ricerca consente di aprire ad interessanti prospettive terapeutiche concepite perché possano agire sul controllo della primissima risposta immunitaria nei pazienti.

“Lo studio – hanno continuato gli autori – identifica alcune delle basi immunologiche capaci di spiegare l’imprinting che viene dato dall’infezione, e può aprire nuove prospettive terapeutiche, basate sul controllo di una eccessiva risposta immunitaria. I continui progressi della comunità scientifica però non devono far abbassare la guardia, dal momento che, purtroppo, non stiamo assistendo ad un calo delle nuove infezioni e la popolazione a rischio è sempre più giovane. La prevenzione della trasmissione del virus, soprattutto tramite l’uso del profilattico, rimane quindi assolutamente fondamentale”.
















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