Il procuratore generale di Bologna, Emilio Ledonne, riprende l’allarme corruzione del capo dello Stato e lo rilancia. E nella sua relazione letta in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario, esorta “a un impegno comune: la magistratura e la polizia giudiziaria per prima, le istituzioni tutte, nello spirito di quel dovere di leale collaborazione piu’ volte ribadito dalla Corte Costituzionale. E neanche il cittadino dovrebbe essere indifferente rispetto all’esigenza da tutti avvertita di sradicare la pianta della illegalita’”.
Ledonne ha ricordato che “nello specifico risultano iscritti nelle Procure del distretto un totale di 40 procedimenti per concussione, 6 per corruzione per atti di ufficio e 65 per corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. Pur non essendo molti procedimenti che attengono a fenomeni corruttivi di particolare gravita’ e’ necessario evidenziare che le indagini condotte da alcune Procure del distretto segnalano un elevato tasso di inquinamento di alcune strutture pubbliche locali nei settori degli appalti pubblici, nella sanita’ e nel servizio del trasporto locale”.
Dalla relazione del procuratore generale emerge “una diminuzione in termini percentuali dei delitti di concussione e delle varie forme di corruzione rispetto al precedente anno giudiziario. Ma questo non significa con certezza che e’ diminuito il fenomeno. Potrebbero essere infatti diminuite le denunce per corruzione tenuto conto che quel particolare rapporto tra corrotto e corruttore, nessuno dei quali ha interesse a rivelare l’accordo criminoso”.
Per fare fronte a questo fenomeno, secondo il procuratore generale, occorre “potenziare l’apparato investigativo al fine di consentire alla polizia giudiziaria un piu’ efficace esercizio dei suoi poteri di iniziativa nella ricerca dei reati. E’ riduttivo pensare che le indagini debbano essere espletate solo su delega del pm quando e’ la legge che affida un autonomo potere di iniziativa alla polizia giudiziaria. Ma perche’ cio’ accada servono risorse umane e materiali perche’ le investigazioni hanno dei costi e le risorse debbono essere assicurate dalle competenti strutture di governo”.
Nella sua relazione il procuratore generale ha ricordato “le recenti indagini di Parma che hanno visto il grave coinvolgimento di amministratori comunali e imprenditori in ripetuti episodi di corruzione e concussione. Ma anche altre indagini di altre Procure hanno confermato che i territori del distretto non possono considerarsi estranei a fenomeni corruttivi in alcuni casi anche rilevanti”.
“Altro tema meritevole di attenzione e’ la presenza di aggregazioni mafiose in questa regione.
Gli esiti dell’attivita’ investigativa condotta dalla Dda dimostra la presenza di organizzazioni criminali di tipo mafioso su gran parte del territorio dell’Emilia Romagna”. Il procuratore generale di Bologna, Emilo Ledonne, e’ da sempre attento al fenomeno criminale e nella sua relazione non poteva mancare l’appello a un impegno comune per sradicare le organizzazioni mafiose che operano in Emilia Romagna.
“Si puo’ sostanzialmente affermare che quasi tutte le province sono interessate dal fenomeno criminale che fa capo a quelle organizzazioni nate nel Sud del Paese (‘ndrangheta, camorra, cosa nostra) tutte dedite ad attivita’ delittuose di tipo estortivo, al riciclaggio, al reimpiego di capitali illeciti e al traffico internazionale di stupefacenti. Sono state rilevate presenze di organizzaizoni criminali a Ravenna (catanesi), Rimini (casalesi), Parma (calabresi), Ferrara (calabresi)”.
Per Ledonne “una valutazione complessiva di cio’ che e’ emerso a seguito delle indagini porta a ritenere che quelle presenze non sono affatto occasionali perche’ le circostanze in cui sono state rilevate appaiono chiaramente dimostrative nella volonta’ delle organizzazioni di insediarsi stabilmente nelle province dell’Emilia Romagna per acquisirne le piu’ importanti attivita’ economiche. E in cio’ concorda l’analisi di tutte le forze di polizia giudiziaria le quali segnalano l’avvenuta penetrazione delle cosche nel circuito legale dell’economia e della finanza della regione”.
Per il procuratore generale “l’assenza di gravi episodi di violenza e’ la riprova di quella raggiunta pace mafiosa tra i diversi gruppi finalizzata a un’equa e incruenta spartizione dei territori e degli affari. D’altra parte sintomatico della tendenza a ricercare l’accordo e non lo scontro sono le modalita’ utilizzate da tempo dalle organizzazioni mafiose che hanno adottato il modello dell’associazione temporanea di imprese, la cosiddetta Ati. Ci troviamo in sostanza innanzi a una operativita’ silente senza episodi cruenti delle organizzazioni mafiose il che non vuol dire meno pericolosa”.
Per il procuratore generale l’obiettivo delle cosche appare chiaro: “Investire in questa regione i profitti illeciti che sono tanti. Pulitura del denaro di illecita provenienza e reimpiego dello stesso in attivita’ economiche altamente remunerative.
Obiettivi che possono essere raggiunti su territori di elevata imprenditorialita’ come l’Emilia Romagna che conta oltre 450mila aziende”.
Per combattere questo fenomeno per Ledonne “occorre privilegiare le indagini patrimoniali. Le investigazioni debbono avere come prevalente obiettivo la ricerca del denaro mafioso dal momento che il giro d’affari delle cosche, indicato dall’ultimo rapporto di Confesercenti, si aggira in circa 140 miliardi. Se la mafia ha le caratteristiche di una societa’ per azioni le investigaziooni non pososno riguardare soprattutto gli investimenti finanziari; ipotesi rafforzata dal fatto che la liquidita’ dell’organizzazione e’ valutata in circa 65 miliardi”.
A tal proposito Ledonne ricorda “che appartenenti al gruppo dell’ex latitante Acri Nicola, catturato a Bologna nel novembre 2010, esponente di rilievo della criminalita’ organizzata calabrese, avevano manifestato interesse a progetti imprenditoriali da realizzare mediante l’impegno di fondi pubblici messi a disposizione dalla regione Emilia Romagna”.
E stigmatizza chi dice che la mafia in Emilia Romagna non esiste: “Sorprende quanto riferito dalla stampa su dichiarazioni attribuite a rappresentanti di istituzioni economiche locali secondo i quali le infiltrazioni mafiose poi pericolo mafia non sono all’ordine del giorno in questa regione. Piu’ o meno la stessa cosa dicevano alcuni rappresentanti delle istituzioni tedesche alla fine degli anni ’90 quando erano convinti che la mafia fosse un problema solo italiano e che comunque non interessasse la Germania. alcuni anni dopo avveniva la strage di Duisburg nel corso della quale venivano uccise dal piombo mafioso cinque persone di nazionalita’ italiana mentre si trovavano a cena in un ristorante di quella citta’. la verita’ e’ che la mafia era li’ da tempo”.
Per il procuratore generale “sottovalutare il fenomeno non penso sia la migliore difesa contro il pericolo di infiltrazioni. Dati oggettivi degli ultimi mesi segnalano la situazione prima descritta in continua evoluzione aggravata per altro dalla tracotanza delle cosche che non hanno avuto alcun timore di inviare in epoca molto recente massaggi intimidatori a magistrati del pm e giudici del distretto di Bologna nonche’ rappresentanti della stampa a beneficio dei quali sono state adottate le misure di protezione previste dalla legge. Anche questo e’ segno della vitalita’ dei gruppi criminali. E allora mi sembra che di fronte alla ferma determinazione criminale occorre fare ciascuno nel proprio ruolo fronte comune innanzi a un pericolo che potrebbe minacciare tutti. Non si commetta l’errore di ritenere che gli interessi mafiosi siano altrove”.
Il procuratore generale manda a dire “all’imprenditoria sana di questa regione, che e’ poi la maggioranza degli imprenditori, che e’ illusorio credere che fare affari con la mafia possa essere conveniente perche’ la mafia e’ un potere perverso e crudele che minaccia la liberta’ di tutti e l’azione di contrasto per essere efficace richiede la collaborazione di tutti”. In questo quadro a tinte fosche c’e’ un barlume: “Sono convinto che gli imprenditori dell’Emilia Romagna ma soprattutto i cittadini di questa civilissima regione sapranno tenere comportamenti che esprimano un no chiaro e forte a qualsiasi compromesso con i poteri mafiosi e cio’ aiutati anche da una legislazione regionale molto attenta all’azione di contrasto contro la grande criminalita’”.
Non poteva mancare un accenno alla grave situazione delle carceri dell’Emilia Romagna nella relazione del procuratore generale di Bologna, Emilio Ledonne, letta questa mattina in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario.
“Le ultime comunicazioni del provveditorato regionale dell’Emilia Romagna segnalano che il numero dei detenuti negli istituti della regione ha superato la capienza regolamentare di 2.394 posti. La situazione aggiornata al 15 dicembre 2011 evidenzia la presenza di 4.053 detenuti oltrepassando i 4.040 posti di capienza massima tollerabile in stato di necessita’. Il sovraffollamento e’ reso ancora piu’ acuto dalla mancata copertura dell’intero organico degli appartenenti alla polizia penitenziaria previsto in 2.401 unita’ con una coperatura effettiva che si ferma a 1.783 unita’”.
Per Ledonne “i quattro suicidi in carcere e i numerosi tentativi di suicidio, fortunatamente sventati dal pronto intervento degli agenti in servizio presso le sezioni, confermano la gravita’ della situazione per la quale non e’ stato trovato finora alcun serio rimedio. La perdita anche di una sola vita quando puo’ essere correlata alla disperazione per intollerabili condizioni di detenzione e circostanza che dovrebbe impegnare tutti a cercare soluzioni condivise che possano quanto meno attenuare la gravita’ della situazione carceraria”.
A fronte di una generale diminuzione dei nuovi procedimenti, nella giustizia civile si riscontrano al contrario degli aumenti significativi di nuovi processi segno probabilmente della crisi economica in corso. Dalla relazione del presidente della Corte d’Appello di Bologna, Giuliano Lucentini, letta questa mattina in occasione dell’apertura dell’Anno giudiziario, emerge che sono in aumento le controversie di lavoro, aumentate del 28,9%, e quelle previdenziali cresciute del 4,7%. Inoltre le istanze di fallimento sono aumentate del 10,33% e ne sono state presentate nell’anno di riferimento 2.798, a tali istanze hanno fatto seguito 969 dichiarazioni di fallimento per una percentuale pari al +13,3%.
Per i procedimenti di diritto industriale, con specifico riferimento alla materia dei marchi e brevetti c’e’ stato un aumento dei procedimenti del 12,9%. Rispetto a questi dati sono in controtendenza quelli relativi a divorzi e separazioni che hanno fatto segnare una riduzione del 6,14% per le separazioni passate da 7.162 a 6.722 e una riduzione del 3,08% per i divorzi passati da 4.665 a 4.521. “In materia di famiglia le cause di separazione e divorzio decise con sentenza sono rispettivamente durate in media 249 e 277 giorni mentre i procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio sono rispettivamente durati mediamente 153 e 141 giorni, tale essendo anche la durata media degli altri procedimenti camerali”.
Dalla relazione del presidente della Corte d’Appello si evince che “le sopravvenienze sono diminuite in materia di previdenza (-40 e aumentate in materia di lavoro +45); che la tedenza e’ aumentata di 105 procedimenti in materia di lavoro, e’ diminuita di 283 procedimenti in materia di previdenza; che le cause di lavoro incidono sulla pendenza per il 45% (42% nell’anno precedente) e le cause di previdenza per il restante 55%; che la durata media di tali cause e’ risultata essere nel periodo considerato di 1.626; che il 60% delle cause definite con sentenza era stato iscritto in appello prima del 2007”.
Dalla relazione si evince inoltre che “in materia di fallimento e procedure concorsuali sono stati definiti dalla Corte d’Appello 180 procedimenti (+41 rispetto all’anno precedente) di cui 107 con sentenza e 73 altrimenti definiti. La durata dei procedimenti definiti con sentenza e’ stata di due anni e un mese in linea con gli anni precedenti”.
La relazione poi prosegue spiegando che “oltre alle minori definizioni dei tribunali e della Corte d’Appello e al pur modesto aumento dei tempi di definizione da parte di quest’ultima quel che soprattutto preoccupa e’ che le pendenze continuano ad aumentare incontenibilmente la conseguenza che di questo passo, superata una certa soglia, il sistema finira’ per implodere sotto il suo stesso peso. Da questo punto di vista e’ a maggior rischio la Corte la quale con le sue 16mila pendenze al 31 dicembre al 2010 era al settimo posto tra tutte le Corti d’Appello della Repubblica”. Questa situazione drammatica non riguarda, sempre in base alla relazione, gli uffici del giudice di pace.
In questa situazione per Lucentini “pare chiaro che occorra deflazionare il carico di lavoro per rafforzare nel contempo il sistema”. Tra le proposte del presidente della Corte d’Appello ci sono “la depenalizzazione di tutti quei fatti di non particolare gravita’ pur muniti di sanzione penale; la creazione di testi unici nelle materie regolate con poca chiarezza e/o disorganicamente; la previsione nel civile di sanzioni per i comportamenti processuali di natura defatigatoria e strumentale. Sarebbe anche utile aumentare il numero dei reati estinguibili per oblazione e sospendere i procedimenti nei confronti degli imputati irreperibili. Correggere le norme poco chiare o contraddittorie perche’ capita spesso di imbattersi in disposizioni di legge che sembrano prive di senso ovvero contraddirsi con le intuibili conseguenze sul piano del contenzioso”.
In Emilia Romagna diminuiscono i nuovi procedimenti ma aumentano le pendenze e i tempi medi di definizione. E’ quanto emerge dalla relazione del presidente della Corte d’Appello di Bologna, Giuliano Lucentini, letta in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario. In particolare “i procedimenti sopravvenuti sono diminuiti del 3%, le definizioni sono diminuite del 2,3% e le pendenze sono aumentate dell’1,4%. Al 31 dicembre 2010 pendevano davanti ai tribunali oltre 2.000 cause iscritte piu’ di 10 anni fa”.
Per quanto riguarda la Corte d’Appello di Bologna “le sopravvenienze sono diminuite per la prima volta da diversi anni del 6,9%, le definizioni sono diminuite del 12% mentre le pendenze sono aumentate del 3,2%. La durata media di un procedimento contenzioso ordinario e’ stata di 4 anni e 5 mesi, in aumento di un mese rispetto all’anno precedente. Alla data del 31 dicembre 2010 le cause pendenti erano oltre 16.000 tanto che taluni rinvii disposti per la decisione della causa hanno toccato addirittura l’anno 2018”.
A questi numeri e a queste percentuali e’ legato ovviamente il problema delle prescrizioni. In effetti dalla relazione di Lucentini emerge che in Corte d’Appello “le sentenze di prescrizione sono state 1.078 (-11,1%) e il tempo medio di definizione dei processi e’ passato dai 1.063 giorni degli anni 2009-2010 ai 905 giorni del periodo considerato”.
Per Lucentini “qualcosa di buono sul piano della deflazione e’ stato fatto e a tal proposito ricordo la mediazione conciliativa divenuta operativa a far tempo dal marzo del 2011.
Apprezzabile e’ nel complesso la legge 183/2011 che prevede la possibilita’ per le cancellerie di effettuare le comunicazioni mediante posta elettronica certificata”.
Lucentini ricorda anche la necessita’ di “una piu’ attenta valutazione della pianta organica dei magistrati, la tempestiva copertura dei posti vacanti, la revisione delle circoscrizioni degli uffici giudiziari, la cessazione del divieto del turnover e la conseguente copertura dei posti del personale di cancelleria, la dotazione agli uffici dei mezzi materiali occorrenti”.
In effetti per il presidente della Corte d’Appello il problema giustizia dipende “dal sottodimensionamento della pianta organica dei magistrati; sono causa di grave inefficienza le lunghe scoperture nei posti dei magistrati perche’ le cause civili vengono rinviate e le udienze penali sono tenute in minor numero. Altro punto dolentissimo riguarda il personale di cancelleria.
Questa Corte d’Appello fra tutti gli uffici del distretto e’ la piu’ penalizzata essendo coperti solamente 86 posti sui 121 della pianta organica; sicche’ quando tra breve tempo 5 dipendenti andranno in pensione risultera’ una percentuale di sostanziale scopertura di circa il 30%.
Infine sulla mancanza di mezzi materiali nulla di nuovo. Ci sono uffici pienamente informatizzati, e li’ e’ partito il processo civile telematico, ed altri che non lo sono”.