Anche in provincia di Modena la crisi economica sta mordendo la carne viva del tessuto sociale e produttivo, con migliaia di posti di lavoro in meno e tante imprese – sopratutto piccole – in grave difficoltà o costrette a chiudere. Con l’aggravarsi della crisi cresce la vertenzialità individuale e collettiva.
Nelle sedi della Cgil radicate in tutto il territorio e nei posti di lavoro, arrivano numerose richieste da parte di lavoratori e lavoratrici di tutela per diritti elementari calpestati, per danni subiti, anche di significativa entità economica.
Accanto al furto di diritti legittimi, retribuzioni negate, TFR spariti, contributi mai versati, si incontra il destino di tante piccole imprese in difficoltà, che incrociano il malaffare. I sospetti di infiltrazioni malavitose nella nostra economia si fanno più concreti.
Con l’ausilio di qualche “visura” al modico costo di pochi euro, l’Ufficio Vertenze sindacale, oltre che attivare ogni possibile tutela per i crediti dei lavoratori, raccoglie i pezzi di un puzzle e intravede un panorama a tinte fosche.
Un’impresa in difficoltà può essere nel mirino di chi si organizza per sfruttarne le spoglie. O di chi già è “organizzato” nel malaffare dell’economia illegale e malavitosa. Dall’osservatorio sindacale, vediamo emergere una possibile ombra inquietante venire dalla Puglia. Là si chiama “Sacra corona unita”.
Vediamo alcuni dati, per come li abbiamo constatati e segnalati a chi di dovere.
Partendo dai mancati pagamenti dovuti a tanti nostri lavoratori di piccole imprese dei vari settori – tessile, meccanico, commercio e servizi – si è notato che:
– ben venti (20) imprese modenesi, che vivono gravi difficoltà, passano attraverso un iter molto simile;
– venti imprese che vengono o acquistate o prese in affitto dagli stessi soggetti;
– in tutti questi venti casi, compare la stessa numerosa famiglia di “imprenditori”, che chiameremo con un nome fittizio G.Tarantelli, di origine pugliese e là residente, in una stessa cittadina che chiameremo Alberobello;
– successivamente all’atto di acquisto, esattamente la metà delle venti imprese, va verso la liquidazione o il fallimento;
– alcune di queste sono intestate – si immagina per ragioni di riservatezza – a malati terminali (prestanome?), poi deceduti alla conclusione dell’affare che avviene in Polonia;
– infatti, la maggior parte di queste venti aziende, sono poi cedute o affittate ad imprese registrate in Polonia;
– in alcuni casi, l’ex proprietario dell’impresa modenese continua a lavorare nella nuova società, prendendo in affitto la sua ex azienda;
Il giro delle operazioni così descritto è naturalmente seguito e tutelato da “colletti bianchi”, professionisti – avvocati, notai, commercialisti – pugliesi che lavorano in trasferta a Modena, ma anche da colleghi modenesi, forse perché più comodi. Anche questa vicenda conferma la necessità di dare la più ampia applicazione al “Codice etico” assunto recentemente dal Comitato unico dei professionisti modenesi.
Insomma, un quadretto abbastanza documentato, con un mix quasi da manuale per una lezione di possibile riciclaggio, autoriciclaggio, pulizia di capitali, o altro di abbastanza contiguo.
L’allarme è più che legittimo e la realtà economica ed istituzionale modenese, oltre che tenere alta la guardia, deve seriamente considerare eventuali nuovi scenari, caratterizzati dall’arrivo di “nuove” forme imprenditoriali ben organizzate e dedicate al “salvataggio” di imprese .
(Franco Zavatti, Cgil Modena-coordinatore legalità e sicurezza Cgil regionale)