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Immigrati: centinaia in corteo a Bologna contro Bossi-Fini, razzismo e Cie

Contro la legge Bossi-Fini, il pacchetto sicurezza, i Cie e il razzismo istituzionale sono scesi, questo pomeriggio in piazza Nettuno a Bologna alcune centinaia di stranieri, studenti, precari e lavoratori in occasione dello sciopero indetto a livello nazionale dai migranti. Il presidio, che poco dopo le 17.30 e’ partito in corteo per sfilare sotto la Questura, la Prefettura e proseguire verso via Indipendenza, via Righi e via Zamboni per tornare poi in piazza Maggiore, e’ stato organizzato dal Coordinamento migranti e ha avuto l’adesione di Rdb, Fiom-Cgil, di alcuni centri sociali tra cui il Tpo, dei collettivi degli studenti e di tantissime associazioni di donne italiane e straniere.

Secondo Matteo Battistini del Coordinamento Migranti “nella aziende hanno scioperato il 90% degli stranieri e il 40% degli italiani”. In piazza sono scesi lavoratori della Ducati Motor, della Bonfiglioli Riduttori, della Cesab, della Titan e di altre aziende del metalmeccanico. Dal microfono aperto allestito sotto palazzo Re Enzo hanno preso la parola alcuni immigrati, uomini e donne, tra cui il senagalese Babacar che ha ricordato come “la giornata del primo marzo e’ una giornata non solo dei migranti, ma di tutti i lavoratori”.

Almeno un centinaio i giovani che hanno sfilato con addosso la scritta adesiva ‘cerco lavoro’, ‘precario’ o ‘sfruttato’.

In prima fila anche gli studenti stranieri che protestano contro la legge italiana che li obbliga, al compimento dei 18 anni di eta’, a trovare un lavoro, pena la perdita del permesso di soggiorno e l’ingresso nel mondo della clandestinita’.

E mentre il Tpo chiedeva, con uno striscione, il diritto d’asilo europeo, in piazza c’e’ stata anche la raccolta firme per esprimere solidarieta’ alle rivolte in Libia e nel Nord-Africa. Altamente simboliche, infine, le sagome nere con il volto coperto da una maschera bianca portate in corteo per rappresentare le donne assenti all’appuntamento. Ogni sagoma aveva un cartello con le motivazioni dell’assenza. ‘Io non ci sono perche’ mio marito mi tiene chiusa in casa’, ‘io perche’ in questo momento mi stanno riempiendo di botte’, ‘io non ci sono perche’ non so come prendere i mezzi pubblici’.

Sono solo alcune delle frasi che si leggevano sulle sagome realizzate per dire ‘no’ alla cultura del patriarcato e chiedere sostegno all’integrazione. Tra le donne fantasma anche la sagoma con il nome di Hina Saleem, la ragazza pakistana di 21 anni uccisa nel bresciano nel 2006 dal padre che non voleva vivesse all’occidentale.
















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