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Biomedicale: Il mondo passa ancora da Mirandola? – Convegno

Il convegno di martedì 1 luglio “Biomedicale: il mondo passa ancora da Mirandola?” organizzato dalla Cgil territoriale Area Nord e dal sindacato di categoria Filcem Cgil (ore 9.30 – sala Granda Mirandola), nasce dalla necessità di fare il punto sulle prospettive di un settore produttivo che per decenni ha rappresentato il traino dell’economia locale, e che, pur continuando ad essere tale, comincia a manifestare segnali di contrazione.


Intervengono su questo tema i sindacalisti della Cgil Area Nord Fausto Bertelli (segretario di zona), Roberto Righi (Filcem) e Erminio Veronesi
(Fiom). A seguire gli interventi di Luigi Costi sindaco di Mirandola, Gianni Cavicchioli assessore provinciale al Lavoro, Paolo Posarelli
direttore Cassa di Risparmio di Mirandola, Tore Corveddu segretario nazionale Filcem, Giuseppe Caroli direttore generale Ausl Modena.
Conclusioni di Donato Pivanti segretario Cgil Modena. E’ prevista la partecipazione, fra gli altri, dei sindaci dell’Area Nord e di
rappresentanti di Cisl, Uil, Cna, Lapam e Confindustria.

Segnali di una possibile inversione di tendenza nel settore biomedicale modenese sono relativi in particolare al ridimensionamento di determinate
produzioni, quelle a minor specializzazione che da alcuni anni le grandi multinazionali hanno cominciato a delocalizzare nell’Est Europa.

Oggi il settore biomedicale conta oltre 80 imprese e circa 5.000 addetti, la presenza di alcuni grandi colossi multinazionali e una rete di medie e piccole aziende (con un fiorire di nuove aziende, spesso di piccole dimensioni con meno di 15 addetti). Si concentrano prevalentemente nel distretto di Mirandola, con una produzione legata ai disposable (75%) e alle apparecchiature elettromedicali (25%) per la cura renale e
cardiovascolare.

Proprio l’assemblaggio di componenti monouso in plastica (linee, disposable) svolto nelle camere bianche principalmente da manodopera
femminile, è una lavorazione sempre più esposta alla concorrenza internazionale che produce a costi inferiori, se non addirittura alla
concorrenza interna fra stabilimenti della stessa multinazionale collocati in altri siti produttivi.
Le delocalizzazioni delle produzioni meno qualificate potrebbero avere ricadute sull’occupazione nelle aziende modenesi. Il settore, infatti, per quanto presenti un quadro improntato alla stabilità sia dei volumi
produttivi che degli investimenti, lascia prevedere una tendenza al calo nei livelli occupazionali. Con ricadute sull’intero distretto produttivo dell’Area Nord: nell’ultimo decennio proprio le aziende del biomedicale hanno consentito di riassorbire buona parte della manodopera femminile espulsa a seguito della ristrutturazione del settore agroindustria
(chiusura di importanti realtà come Conserve Italia, lo zuccherificio di Finale e la Del Monte di San Felice). Ripercussioni potrebbero verificarsi
a catena anche nell’indotto delle aziende metalmeccaniche, quelle cioè che producono componenti per le apparecchiature per la dialisi.

Per la Cgil è dunque necessario puntare ad uno sviluppo di qualità per rilanciare la produzione del biomedicale e del distretto nel suo insieme,
salvaguardando l’occupazione e qualificando il lavoro.
Occorre che le imprese potenzino progettazione e ricerca con la produzione di nuove apparecchiature sanitarie più sofisticate e diversificate (dall’emodialisi alla cardiochirurgia alla anestesia e rianimazione), la ricerca di nuovi prodotti monouso e materiali plastici più compatibili, l’automazione/innovazione dei reparti più poveri, aprendo nuovi spazi di
collocamento per la manodopera femminile non più solo nell’assemblaggio, ma in altre aree dalla ricerca ai reparti meccanici.

Fondamentale infatti è la valorizzazione del lavoro e delle professionalità presenti in azienda – a cominciare dalla stabilizzazione dei precari – in
alternativa alla logica delle ristrutturazioni aziendali basate unicamente sulla compressione dei costi da lavoro.
Indispensabile puntare anche al risparmio energetico in queste produzioni, oltre che ad un approvvigionamento energetico alternativo al petrolio puntando su fonti meno inquinanti e rinnovabili. Occorre ampliare i mercati di sbocco, puntando sull’espansione dei mercati esteri specie di quelli emergenti dove la spesa sanitaria pro-capite e in fase crescente (America
del Sud, Sud-Est Asiatico, Paesi Arabi, ecc…).
La CGIL chiama tutti gli interlocutori pubblici e privati a fare sistema, mettendo in campo investimenti pubblici e privati nella direzione
dell’innovazione e della ricerca, indirizzando a tal fine le leve creditizie in modo selettivo, realizzando infrastrutture efficienti,
creando una burocrazia più snella.

Un ruolo decisivo è giocato poi dalla formazione a tutti i livelli, a cominciare dalla qualificazione del polo scolastico sino alla
riqualificazione professionale che accompagna i lavoratori nella ricollocazione in altri settori produttivi in stretto raccordo con i centri
pubblici per l’impiego.
Da perseguire anche il potenziamento dei centri di ricerca e sperimentazione pubblico-privati – di grande utilità per le imprese medio-piccole – sull’esempio del Quality center network (frutto della collaborazione tra Policlinico-Università, Azienda Usl, imprese ed Enti Locali) per la sperimentazione di apparecchiature sanitarie innovative.
















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