Una équipe formata da clinici universitari e da professionisti dell’Azienda USL – fra cui un neurologo-neurofisiologo ed un neurochirurgo – ha eseguito su una donna di 65 anni un intervento di posizionamento di elettrodi per la stimolazione cerebrale profonda. Tra le particolarità, l’esecuzione dell’operazione con il paziente sveglio.
Riprendere le normali attività quotidiane, come scrivere o fare una passeggiata, grazie all’aiuto di due elettrodi posizionati nel cervello. Un risultato straordinario per gli ammalati di Parkinson, una malattia che nella nostra provincia colpisce 2.500 persone e che a causa dei suoi sintomi – tremore, rigidità, lentezza dei movimenti – è fortemente invalidante. Adesso anche a Modena queste persone hanno una possibilità di cura in più grazie ad un delicato intervento di neurochirurgia. Una équipe formata da diversi professionisti – fra cui un neurologo-neurofisiologo ed un neurochirurgo – del Nuovo Ospedale S. Agostino-Estense ha eseguito, per la prima volta a Modena, su una donna di 65 anni un’operazione di posizionamento di elettrodi per la stimolazione cerebrale profonda.
L’intervento è perfettamente riuscito, la donna sta bene ed è stata dimessa nei giorni scorsi. “In pratica vanno inseriti due elettrodi in un punto profondo e piccolissimo del cervello, il nucleo subtalamico che ha un diametro da 4 a 6 millimetri e che è un centro fondamentale per il controllo del movimento – spiega il neurofisiologo Franco Valzania. Gli elettrodi sono collegati ad un neurostimolatore, simile ad un pacemaker, che attraverso degli impulsi permette di controllore i sintomi del Parkinson. ”Il dottor Valzania, che fa parte del Dipartimento integrato di neuroscienze dell’Azienda USL e dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia diretto dal professor Paolo Nichelli, opera da pochi mesi nel Nuovo S. Agostino-Estense ed è stato chiamato a lavorare a Modena proprio perché vanta una lunga e qualificata esperienza in questo settore. La fase neurochirurgica è stata realizzata dal dott. Angelo Falasca dell’Unità operativa di Neurochirurgia diretta dal dott. Giampietro Pinna.
“E’ un’operazione particolare anche perché richiede uno sforzo organizzativo di tipo multidisciplinare – afferma il prof. Nichelli. Infatti, nelle diverse fasi dell’intervento vengono coinvolti, oltre a neurologi e neurochirurghi, anche neuroradiologi, neuropsicologi, psichiatri e fisiatri. Un modo di lavorare sempre più diffuso che a Baggiovara trova applicazioni particolarmente efficaci”.
L’operazione dura in media dieci ore e, a fronte di un’invasività minima, offre un grande risultato. Una delle peculiarità di questo intervento, attualmente realizzato solo in pochi centri in Italia, è che viene eseguito tenendo sveglio il paziente. Questo perché l’ammalato dovrà collaborare con i medici per eseguire alcune funzioni come muovere una mano, scrivere su una lavagnetta o fare un disegno e riferire tutti gli effetti che i test di stimolazione producono. Per questo motivo, l’intervento è preceduto da una lunga e rigorosa attività di selezione dei pazienti che dovranno avere requisiti molto precisi, anche dal punto di vista psicologico.
L’Ospedale di Baggiovara conferma, quindi, di essere polo di eccellenza nel campo delle neuroscienze in grado di attirare professionisti di diverse discipline.
I passaggi più significativi dell’intervento
L’intervento chirurgico avviene in diverse fasi. La prima, essenzialmente neurochirurgica, prevede l’applicazione sulla testa del paziente di un casco stereotassico che permette, integrando le informazioni derivanti da uno studio radiologico comprendente una TAC e una Risonanza magnetica, di verificare una serie di coordinate geometriche con precisione millimetrica in modo da poter raggiungere il nucleo subtalamico. Al casco viene poi applicato un arco che può portare vari strumenti ed ha la funzione di far penetrare lentamente gli elettrodi all’interno dell’encefalo del paziente. Qui entra in gioco il ruolo del neurofisiologo che, grazie a diversi tipi di stimolazione e registrazione dell’attività cerebrale, verifica che tutto quello che si sta facendo è giusto. In questa fase è importante la collaborazione del paziente che, ad esempio, muovendo un braccio o una mano, produce determinati segnali che indicano se l’elettrodo ha raggiunto il punto desiderato. Questa attività di ricerca continua fino a quando viene individuato in maniera estremamente precisa il punto del nucleo che è la causa del tremore e della rigidità ed è proprio qui che vengono collocati gli elettrodi. E’ questo il momento della verità: nel caso il paziente soffra di tremore, accendendo lo stimolatore tale sintomo scomparirà. Lo stesso accade per la rigidità e per la difficoltà a muoversi, caratteristica della malattia. L’operazione dura in media dieci ore e, a fronte di un’invasività minima, offre un grande risultato.
Una volta inseriti gli elettrodi, termina la prima fase dell’intervento di stimolazione cerebrale profonda. Viene tolto il casco, il paziente viene medicato e ricoverato per alcuni giorni. In questo periodo vengono eseguite stimolazioni di prova mediante uno stimolatore esterno provvisorio. Se c’è conferma che tutto va bene, dopo alcuni giorni, si procede con la seconda parte dell’intervento, che consiste nel posizionare il generatore di impulsi, simile ad un pacemaker, a livello sottocutaneo sotto la clavicola. Una volta tornato a casa il paziente può condurre una vita normale; sono necessarie solo alcune piccole precauzioni dovute alla presenza del generatore di impulsi. La qualità del risultato dipende dalle competenze del team multidisciplinare dedicato che attualmente prevede, oltre a neurologi, neurofisiologi e neurochirurghi, psichiatra, psicologo, neuropsicologo, fisiatra e fisioterapista, logopedista, neuroradiologo, neuroanestesista.
La stimolazione cerebrale profonda è una tipologia di intervento molto sofisticata che richiede una precisione estrema ed una approfondita conoscenza dell’anatomia e della neurofisiologia: si pensi che nel subtalamo viene creato un campo elettrico che ha un raggio di un paio di millimentri. Attualmente tale tecnica viene utilizzata per i malati di Parkinson e tremore di vario genere, ma in futuro si prevedono applicazioni per la cura dell’epilessia e di alcune malattie neuropsichiatriche.