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Il Consiglio Comunale di Bologna ha commemorato Andreatta

Questa mattina il Consiglio Comunale di Bologna ha commemorato il professor Beniamino Andreatta. Di seguito l’intervento del presidente del Consiglio Comunale, Gianni Sofri, e la commemorazione svolta dal sindaco Sergio
Cofferati.


Intervento del presidente del Consiglio Comunale, Gianni Sofri:
Benché i suoi ultimi anni siano trascorsi nel silenzio (ma mai, ricordiamolo, nella solitudine, grazie alla continua, amorevole presenza
dei suoi cari e di molti amici), non per questo la sua scomparsa ha colpito di meno, e meno profondamente, non solo chi gli è sempre stato
vicino, ma la cittadinanza intera. Il Sindaco ricorderà la figura di Beniamino Andreatta, e anche – non mi è difficile immaginarlo – la sua
attività in questa Sala in cui ci troviamo oggi a commemorarlo. Attività “minore”, come qualcuno potrà pensare, rispetto a quelle dello studioso e
del professore, del parlamentare, del ministro: ma non “minore” per lui, che cominciava il suo primo intervento da Consigliere, il 22 luglio
dell’85, esprimendo – sono sue parole – il proprio “senso di orgoglio con cui parlava per la prima volta in questa sala così carica di storia”. Ho
cominciato con una citazione e continuerò, brevemente, a lasciar parlare Andreatta, con qualche altra citazione che traggo dal bel profilo dedicatogli cinque anni fa da Mario Tesini, a mo’ di introduzione a una raccolta di saggi di economia e di politica, significativamente intitolata
Per un’Italia moderna (il Mulino, 2002).
La prima citazione è tratta da una relazione a un convegno della Democrazia cristiana dell’84, e riguarda quella che Andreatta chiamava “la
dignità della politica”: “Certo, vi è una politica che vive in un’algebra degli interessi – e molti
scienziati politici, tutta la scuola delle scelte pubbliche tende ad illustrare così la politica -, in una preoccupazione della raccolta del voto elettorale, per cui il ciclo politico si sovrappone al ciclo economico, le operazioni di politica economica sono calcolate in relazione
alle scadenze elettorali. Vi è, però anche, io credo, una visione alta e grande della politica, la visione che abbiamo imparato nella
frequentazione personale con Aldo Moro, una visione della politica che ci fa uscire dal privato di interessi ristretti”. Questa visione “alta” della politica e della sua autonomia dagli interessi
portava Andreatta, in un’intervista del ’91, a dire:
“Credo che la divisione tra politica ed economia sia più importante della divisione dei poteri elaborata da Montesquieu”. Un senso delle distinzioni che Andreatta estendeva a più campi, e che era anche alla base della sua laicità di cattolico impegnato. Leggiamo in un
intervento all’Assemblea nazionale della DC del novembre 1981:“Ciascuno attinge alla sapienza e cerca di tradurla in azione […] senza la sacrilega intenzione di coinvolgere Dio nelle sue scelte”.
Termino con un’ultima citazione tratta da un intervento dell’82 e che riguarda la sicurezza sociale: “La sicurezza sociale rappresenta, per l’uomo moderno, il castello ed il fossato dell’uomo medioevale […] Il faticoso sviluppo dello stato del
benessere è riuscito a rendere universali i diritti alla salute e all’assistenza, a proteggere gli anni più fragili della vita, i primi e gli ultimi, ad integrare il reddito da lavoro quando questo mancasse per cause indipendenti dalla volontà del singolo”. Ho preferito non dire nulla di mio e leggere invece questi pochi pensieri di Beniamino Andreatta, sufficienti da soli a mostrare quanto sia limitata l’immagine, che lo ha a lungo accompagnato, di un freddo scienziato
dell’economia; e quanto sia invece acuta la definizione con cui Mario Tesini concludeva il suo profilo: “un moralista che sa far di conto”. Un
moralista nella grande tradizione dei francesi e degli inglesi del Sei e Settecento, ma capace anche di “far di conto” da grande tecnico al
servizio dello Stato e dei suoi cittadini.

Commemorazione del sindaco Sergio Cofferati
La scomparsa del professor Beniamino Andreatta ci ha fatto percepire improvvisamente per intero il vuoto che lui ha lasciato nella nostra comunità e nel Paese. Era da quel drammatico 15 dicembre del 1999, da quando un’ischemia cerebrale l’aveva fatto precipitare in un coma profondo, che ci mancava il suo contributo intellettuale e politico. In questi
giorni, ancora nelle ultime ore, la sua figura è stata ricordata da molti, da chi l’aveva conosciuto, da chi l’aveva frequentato o anche più semplicemente da chi ne aveva conosciuto e apprezzato l’impegno e il lavoro
in funzioni molteplici. E’ stato ricordato il docente accademico, il suo lavoro a Milano all’Università Cattolica, poi a Urbino, a Trento e nella
nostra Bologna; è stato rammentato l’uomo politico, il rappresentante di rilievo dalla Democrazia Cristiana, il Parlamentare alla Camera e al Senato e poi nell’assise europea; è stato ricordato l’uomo di governo, il consigliere finanziario negli anni Settanta del governo Moro, poi il Ministro del Bilancio e del Tesoro, con Cossiga, Spadolini, dal 1979 al
1982. Il ritorno al ministero del Bilancio con il primo governo di Giuliano Amato, poi il Ministro degli Esteri con il Governo di Carlo Azeglio Ciampi
e il suo ultimo impegno alla Difesa con il primo governo dell’Ulivo, con Romano Prodi presidente. Quel governo e quello schieramento politico per i
quali con tanta passione aveva lavorato, fino ad ottenerne il riconoscimento importante e decisivo da parte della maggioranza degli
italiani. La sua è stata dunque una lunghissima esperienza, in tante attività diverse ma anche tra di loro strettamente connesse. Una lunghissima esperienza con un alto contributo originale in ognuna delle questioni nelle quali era impegnato. Non è un caso che questo contributo sia stato apprezzato e rispettato dagli amici, da chi condivideva la sua
passione e la sua parte politica, ma anche dagli avversari politici; cosa che non sempre capita, è inusuale, ma quando capita, come nel caso del
professore, è la conferma del valore e il riconoscimento della passione che nel lavoro e nell’attività viene destinata dall’interessato.
Di questo molto si è parlato e scritto in questi giorni. Io vorrei però ricordare la sua esperienza di Consigliere comunale, il suo impegno in quest’aula, che va dalla primavera del 1985 alla primavera del 1990. E’ in quella circostanza che il professor Andreatta rende concreta la sua idea della politica intesa come servizio: la mette in campo per il suo partito e per la sua città. Lui, affermato, riconosciuto, stimato dirigente nazionale, si presenta capolista per la Democrazia Cristiana, diventa
Consigliere comunale e porta il suo Partito ad un importante risultato elettorale, come assai di rado in precedenza era capitato. Sostiene un
nuovo gruppo dirigente, introduce nella prassi politica elementi di novità così forti e profondi che ancora oggi vivono e saranno parte del
cambiamento della rappresentanza politica e della prassi non soltanto in questo Consiglio ma nella politica dell’intera nazione. I suoi interventi
in Consiglio comunale, come è stato detto, non sono stati numerosi ma sempre particolarmente significativi; sceglieva il momento, sceglieva gli
argomenti e parlava sempre con intenzioni precise, per lasciare un segno nel lavoro e nell’attività del Consiglio e non solo. Due degli interventi di quei cinque anni mi hanno particolarmente colpito e vorrei ricordarli qui a voi. Il primo è quello relativo al conferimento
dell’Archiginnasio d’Oro a Giuseppe Dossetti: l’Archiginnasio è per l’anno 1985, l’intervento del professor Andreatta è del 3 febbraio del 1986. Il
secondo è quello sull’assassinio del senatore Roberto Ruffilli da parte delle Brigate Rosse, ed è del 18 aprile del 1988. Nel primo, insieme alla
gioia che esprime per il riconoscimento dato alla figura di Dossetti, critica con garbo ma con franchezza ed efficacia le motivazioni formali
adottate da parte della Giunta per l’assegnazione del riconoscimento. Gli sembravano riduttive, e aveva ragione, quelle motivazioni sul ruolo
preconciliare che Dossetti aveva svolto, sul suo lavoro che aveva anticipato i valori che il papato di Giovanni XXIII avrebbe poi proposto al
mondo intero: non ne trovava adeguata traccia e formale e necessario riconoscimento. Così come dice nell’intervento di non condividere la lettura delle ragioni che portarono Dossetti a militare per la pace, trova
anche queste non esattamente corrispondenti al lavoro di Giuseppe Dossetti. Non ignora il professor Andreatta, e ancora meno – sostiene – aveva ignorato Dossetti, gli avvenimenti internazionali che avevano prodotto la
“guerra fredda”, e tra questi colloca in un ruolo preminente la politica di espansione imperialista dell’Unione Sovietica. Inutile dire che i mutamenti
internazionali di soltanto qualche anno dopo gli daranno ragione, così come una più accurata lettura storica ricollocherà più efficacemente la figura e il ruolo politico e civile di Giuseppe Dossetti non soltanto a Bologna ma nella storia della Repubblica e della democrazia italiana. Dicevo anche dell’intervento del 18 aprile 1988, dopo l’uccisione del senatore Ruffilli
da parte delle Brigate Rosse; in quell’occasione, insieme al dolente
ricordo dell’amico, c’è la ricostruzione del ruolo delle istituzioni da parte del senatore Ruffilli, di quel lavoro paziente ma oscuro che scatena
la follia dei terroristi. C’è l’esatta individuazione del carattere degli eversori e delle ragioni della scelta dei loro obiettivi. Il professore
ricorda Moro, Bachelet, Mattarella, Ruffilli e, con tratto premonitore, dice: “Magari ne verranno altri”, come purtroppo poi capitò. Individua il
lavoro prezioso del Senatore proprio nella ricostruzione di quel tessuto connettivo che deve unire la società civile con la rappresentanza politica
e le istituzioni. Quelle istituzioni che mostravano già profonda crisi e che avevano necessità di profonde riforme per poter diventare di nuovo un
punto di riferimento efficace dei bisogni delle persone che la politica deve rappresentare.
Queste due occasioni specifiche mi paiono un punto altissimo della discussione che nel corso di interi decenni si è svolta dentro questo
Consiglio. Ma vorrei dire anche dell’insieme del contributo che il professore ha dato all’attività del Consiglio comunale di Bologna. Ci sono tre aspetti a mio avviso di particolare valore: il primo riguarda elementi direttamente politici; gli altri due sono condizioni che personalmente
vorrei vedere sempre ricollocate nella politica ma che forse come tali non vengono riconosciute. Il primo aspetto era il suo amore per le istituzioni.
Ho detto dello spirito di servizio con il quale il dirigente nazionale si impegna per la sua comunità, in un Consiglio comunale. In quelle
circostanze l’amore per le istituzioni e per le loro regole lo porta con lucidità e lungimiranza a vedere i limiti dell’esperienza precedente
dell’amministrazione della sua città. Punta il dito, identifica la connessione stretta tra i partiti e le istituzioni con tutte e in tutte le sue articolazioni. Considera questa condizione negativa, da superare, perché ritiene, a ragione, che questa identificazione soffochi energia vitale e progressivamente provochi l’anchilosi, allontanando i cittadini
dalle istituzioni stesse. Non si ferma alla denuncia, contemporaneamente ricerca gli antidoti, anche dall’opposizione. Lo comprova la discussione alla quale partecipa con passione e il voto della Democrazia Cristiana, insieme alla maggioranza dell’epoca, favorevole al nuovo Regolamento del Consiglio comunale, che viene varato nel 1987. Il secondo aspetto che
voglio ricordare riguarda l’uso delle parole, non saprei definirlo diversamente. Nei suoi interventi c’è sempre ponderazione, le parole sono
visibilmente precedute da un pensiero profondo, sono misurate, efficaci e anche quando sono caustiche non mancano mai di rispetto all’interlocutore; sono sempre volte a stimolare una risposta e non sono mai mirate a segnare
semplicemente una posizione o un distinguo dalle tesi dei suoi interlocutori. I toni, la ricchezza degli argomenti, la sobrietà, sono
tratti che alla politica non dovrebbero mancare mai e che lui, qui come altrove, non ha mai fatto mancare. Infine lo stile nell’esercizio di un
ruolo, apparentemente secondario: qualcuno lo considerava addirittura un po’ eccentrico rispetto alle sue funzioni di prima e poi a quelle che
verranno. Dunque stile nei ruoli, nei comportamenti e nella vita, perché il
suo lavoro era parte importante della sua vita. Stile in questo Consiglio, in momenti difficili nei quali si preannunciava la crisi delle istituzioni
e dunque a volte le tensioni erano consistenti. Ricorderanno molti di voi le difficoltà di quegli anni nella gestione amministrativa della città,
inizialmente un Consiglio comunale di minoranza, successivamente l’allargamento della Giunta e della maggioranza, fase di transizione nella quale sarebbe stato facile agire per destabilizzare ed era invece molto più difficile agire per non far mancare lo stimolo dell’opposizione, con l’intento però di assicurare contemporaneamente il livello più alto di
benessere, conseguente alle azioni amministrative, alla propria comunità.
Vorrei infine aggiungere qualche ricordo personale nella mia precedente esperienza di direzione di un’organizzazione sindacale. Ricordo di un interlocutore di governo sempre particolarmente attento; non ho avuto modo
di incontrarlo nei primi anni della sua esperienza governativa, l’ho incontrato negli esecutivi di Giuliano Amato e di Carlo Azeglio Ciampi negli anni Novanta. Erano governi, quelli, chiamati a fermare una gravissima emorragia della nostra economia. Troppo spesso si rimuove e si dimentica quel passaggio difficilissimo dell’inizio degli anni Novanta, nel
quale il Paese rischiava davvero il crollo finanziario e soltanto azioni drastiche, efficaci e a volte dolorose potevano toglierlo da quel pericolo
incombente. Quelle azioni vennero realizzate da quei governi, che erano in grado di agire ma anche inclini a cercare il consenso sociale, non
rinunciando mai alla faticosa pratica della mediazione e dunque partendo dall’affermazione che il rispetto, in primo luogo delle esigenze dei più deboli, era condizione vitale per arrivare a risolvere problemi delicatissimi che potevano penalizzare per lungo tempo il Paese. L’Europa
era lì davanti a noi, ad un passo, ma rispettare gli impegni presi a Maastricht era difficilissimo, e ancor di più si rischiava non soltanto l’esclusione dall’Europa, ma una drammatica caduta della nostra economia e
quindi delle condizioni di vita, oltre che di lavoro, di milioni e milioni di persone. Erano momenti nei quali la fermezza, insieme alla ricchezza
delle idee, diventava necessaria per l’azione di governo. Il professor Andreatta vi partecipò attivamente e con grande efficacia, e credo di poter
dire che la stagione della politica dei redditi e del risanamento deve molto anche a quel Ministro degli Esteri. Certo, la sua funzione era
diversa da quella di chi doveva direttamente ed immediatamente occuparsi dei temi del risanamento, ma la sua storia personale, la sua ricchezza culturale non fecero mai mancare all’insieme dell’esecutivo il contributo
necessario per arrivare nel porto più sicuro, per approdare ai risultati che poi consentirono a questo Paese di entrare nel gruppo di testa del
consesso europeo nel migliore dei modi e senza rotture sociali. Alla signora Giana, ai figli Eleonora, Filippo, Tomaso ed Erica va
l’abbraccio affettuoso di tutto il Consiglio comunale.
Al professor Beniamino Andreatta va il nostro ricordo commosso e il ringraziamento della sua comunità per quello che è stato e per quello che
ha fatto per tutti noi.
















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