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Scoperta Unimore sulla ricostruzione del ciclo abiotico del carbonio

Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche di Unimore ha guidato una ricerca internazionale che aggiunge un importante tassello alla ricostruzione del ciclo abiotico del carbonio tanto che lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications.

Gli studiosi coinvolti Marie Catherine Sforna, ora all’Université de Liège, Daniele Brunelli, Daniele Malferrari e Valerio Pasinidi Unimore, in collaborazione con colleghi stranieri dell’Université Paris Diderot e Institut de Physique du Globe de Paris, hanno dimostrato che importanti depositi di carbonio possono formarsi durante i processi di alterazione di rocce silicatiche ad elevato contenuto di ferro e magnesio.

Le rocce studiate provengono da un affioramento ofiolitico dell’Appennino reggiano collocato vicino all’abitato di Castelnovo ne’ Monti. Le ofioliti sono frammenti di crosta oceanica, di dimensioni estremamente variabili (da pochi m a km), rimasti “intrappolati” nelle argille dell’Appennino modenese e reggiano durante lo scontro tra la placca Africana ed Europea.

Questa scoperta, resa possibile dalle moderne tecnologie, segue la linea tracciata in passato da illustri scienziati dell’Ateneo emiliano tra cui ricordiamo i professori Mario Bertolani, Luciano Poppi e Antonio Rossi. Essa rivela alcuni aspetti del ciclo del carbonio non legato ad organismi viventi, uomo incluso. Tuttavia il carbonio “intrappolato” nelle rocce rimane sequestrato per milioni di anni e potrebbe rappresentare una fonte di nutrimento per i microrganismi che si sviluppano a contatto con esse.

Grazie all’ausilio delle conoscenze pregresse, di modelli teorici e di moderne tecnologie, queste rocce hanno rivelato un ulteriore segreto ovvero che tre distinti tipi di “materia carboniosa” si sono accumulati abioticamente in conseguenza di successivi stadi idrotermali, a temperatura progressivamente decrescente, seguendo distinti processi di trasformazione chimica e strutturale dei minerali originariamente presenti. I depositi di carbonio, osservati in queste rocce “vecchie” di alcune decine di milioni di anni, si sono formati sul fondo dell’antico oceano della Tetide. Tuttavia l’aspetto più importante è che questi processi non sono da ritenersi isolati, bensì diffusi in tutti gli oceani sia del passato geologico sia attuali, come ad esempio lungo le dorsali Atlantica o Pacifica. Essi hanno perciò un impatto globale nel ciclo del carbonio di grande importanza per l’evoluzione climatica e biologica alla scala planetaria.
















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