L’Europa si può raccontare anche attraverso il calcio. È questo lo spirito che anima “Euro 75 – Storie di calcio, unità e integrazione europea”, il progetto ideato dall’associazione Mo’ Better Football in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Modena, Europe Direct Modena e l’Istituto Storico di Modena, che martedì 4 e giovedì 20 novembre – sempre alle 18 – propone due incontri pubblici nello spazio di Europe Direct Modena in Piazza Grande 17.
L’iniziativa prende vita nel segno del 75° anniversario della Dichiarazione Schuman, atto fondativo dell’Unione Europea, e sceglie un linguaggio immediato e universale – quello del calcio – per parlare di integrazione, identità e memoria collettiva. Perché il pallone, con la sua capacità di unire generazioni, popoli e culture, è da sempre più di un gioco: è un racconto condiviso, una lente attraverso cui leggere la storia del nostro continente.
L’obiettivo del progetto è promuovere nei cittadini, e soprattutto nei più giovani, una nuova consapevolezza dei valori europei attraverso storie e simboli che appartengono alla memoria sportiva comune. L’Europa del calcio diventa così una metafora viva della costruzione politica e culturale europea, un terreno in cui si intrecciano rivalità, alleanze, cambiamenti sociali e sogni collettivi.
Il primo incontro, dal titolo “L’europeo che non esiste più”, si tiene martedì 4 novembre alle 18. Ad aprire l’appuntamento è Andrea Bortolamasi, assessore alla Cultura del Comune di Modena. Intervengono Antonio Gurrado, collaboratore del Festivalfilosofia, e Giuliano Albarani per l’Istituto Storico di Modena. Il racconto prende avvio dal 1960, anno in cui si disputava la prima edizione del Campionato Europeo di calcio, vinta dall’Unione Sovietica davanti a Jugoslavia e Cecoslovacchia: tre Paesi che oggi non esistono più. Quel podio, osservato da oggi, diventa una fotografia quasi fantasmagorica dell’Europa di allora, segnata dalla Guerra Fredda e attraversata da tensioni ideologiche e mutamenti politici.
Fu un torneo che, dietro la patina sportiva, raccontava le contraddizioni di un continente diviso. La Spagna franchista, ad esempio, si ritirò pur di non affrontare l’Unione Sovietica, mostrando quanto il calcio potesse essere anche un terreno politico. Ma allo stesso tempo, proprio quel torneo apriva uno spazio simbolico di incontro e riconoscimento reciproco, anticipando l’idea di un’Europa capace di dialogare pur nelle differenze. Sessant’anni dopo, rievocare Euro 1960 significa guardare alle origini di un sogno di unità che ancora oggi chiede di essere rinnovato.
Il secondo appuntamento, “C’era una volta la Coppa dei Campioni”, è in programma per giovedì 20 novembre alle 18 e apre una finestra sulla storia di un torneo leggendario, quello che precedette la moderna Champions League. Ad aprire l’incontro sarà nuovamente l’assessore Andrea Bortolamasi, insieme a Alessandro Iori, giornalista sportivo, telecronista e conduttore, e Daniele Francesconi, direttore scientifico del Festivalfilosofia.
La Coppa dei Campioni, nata nel 1955, era più di una competizione sportiva: era un rito collettivo europeo, un appuntamento che ogni mercoledì sera faceva battere il cuore del continente. Vi partecipavano le squadre campioni di ogni Paese, grandi e piccole, in un torneo a eliminazione diretta che permetteva alle outsider di compiere imprese memorabili. Quei match diventavano racconti epici, storie di Davide contro Golia, di città periferiche che per una notte diventavano il centro d’Europa.
Rievocare oggi quel formato, essenziale e umano, significa anche interrogarsi su come il calcio sia cambiato insieme all’Europa. Le logiche economiche e globali hanno trasformato lo sport in industria, ma il ricordo di quella “vecchia coppa” resta come simbolo di un tempo in cui la passione aveva il sapore della condivisione e della scoperta reciproca.


