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Infarto miocardico, i farmaci più diffusi sono davvero utili a tutti? La cardiologia reggiana partecipa a studio internazionale

Sono oltre 8.500 i pazienti arruolati da 109 diversi centri europei in Spagna e Italia, tra cui Reggio Emilia, per lo studio dedicato a misurare la reale efficacia dei farmaci beta-bloccanti nei pazienti dopo un infarto miocardico acuto con funzione cardiaca non compromessa.

I risultati, che mettono in discussione le prassi terapeutiche degli ultimi decenni, sono stati presentati nei giorni scorsi a Madrid al Congresso della Società Europea di Cardiologia, appuntamento che quest’anno ha coinciso con l’annuale congresso mondiale, e pubblicati in simultanea sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine.

I betabloccanti sono farmaci ritenuti fondamentali dopo un infarto miocardico, tanto da essere raccomandati sia dalle linee guida americane che europee. Tale raccomandazione mandatoria però derivava da un’epoca lontana, prima dell’angioplastica, prima delle nuove terapie antiaggreganti, prima delle statine. Oggi nell’era della riperfusione rapida e delle terapie multi-farmaco è legittimo chiedersi: servono ancora i beta bloccanti a tutti i pazienti che hanno avuto un infarto? Infatti, il loro ruolo fondamentale ed indiscusso è nei pazienti in cui l’episodio infartuale ha determinato una perdita dell’efficienza cardiaca piuttosto importante che normalmente ha come parametro di riferimento la frazione di eiezione al di sotto del 40%, ma nei soggetti che superano l’infarto con una funzione cardiaca meno compromessa sono ancora davvero utili? A questa domanda clinica ha risposto lo studio REBOOT-CNIC, questo il nome della ricerca, che ha rilevato l’assenza di benefici nell’uso dei beta-bloccanti nei pazienti con conservata funzione cardiaca dopo un infarto, osservando che la loro assunzione non determina minore mortalità, minore recidiva da infarto né meno ricoveri per scompenso cardiaco.

Tra i centri italiani partecipanti, coordinati per l’Italia dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, è presente la Struttura di Cardiologia Ospedaliera dell’Azienda USL IRCCS di Reggio Emilia, diretta dal dott. Alessandro Navazio, coautore dello studio.

È stato per primo il farmacologo britannico James Black, negli anni Sessanta del Novecento, a sviluppare i farmaci beta-bloccanti, impegno che gli valse a quasi trent’anni di distanza l’assegnazione del Nobel per la Medicina. Era stata riconosciuta l’innovazione terapeutica posta nel tentativo di controllare la risposta del cuore e ridurre il rischio di aritmie per migliorare la sopravvivenza dopo un infarto.

Per decenni la prescrizione di un beta-bloccante alla dimissione dopo un infarto miocardico è stata una prassi consolidata e apparentemente indiscutibile, raccomandata da linee guida europee e americane” spiega Alessandro Navazio, “ma la scienza medica evolve e oggi le evidenze un tempo valide sono superate anche da nuove terapie e tecniche interventistiche quali l’angioplastica primaria, la doppia anti-aggregazione, le statine; oggi nell’era della riperfusione rapida e delle terapie multifarmaco siamo giunti alla conclusione che, tra i pazienti colpiti da un infarto, i betabloccanti siano necessari soltanto nei pazienti in cui vi è una compromissione importante della funzionalità cardiaca. Questo è il segno della maturità della medicina: saper distinguere, non accontentarsi di ricette universali, ma personalizzare le cure. E se James Black, padre dei beta bloccanti, fosse ancora tra noi probabilmente non si sorprenderebbe: la vera forza della scienza sta proprio nell’avere il coraggio di rimettere in discussione le proprie certezze”.

Il dott. Navazio conclude “La firma della nostra struttura su una prestigiosa rivista come il New England Journal of Medicine, peraltro a due anni di distanza dall’articolo dedicato allo studio FIRE (presentato al Congresso Europeo nel 2023 e pubblicato in simultanea anch’esso sul NEJM), ci rende molto orgogliosi e conferma la solidità dell’equipe da un punto di vista clinico e organizzativo. La proposta di partecipazione a studi tanto ambiziosi conferma il riconoscimento dell’alto volume di attività associato a un altrettanto elevato grado di qualità clinica. Il raggiungimento di questi traguardi di ricerca clinica coinvolge l’intera struttura, che opera in sintonia. Oltre al ringraziamento al gruppo di lavoro, desidero rivolgere uno speciale plauso alle professioniste data manager, dott.sse Linda Valli e Rosa Maria De Mola, instancabili come impegno e presenza, che svolgono un’attività spesso poco riconosciuta ma indispensabile per consentire la partecipazione a studi di carattere nazionale e internazionale”.

















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