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2 agosto. Oggi il 45esimo anniversario della strage alla stazione di Bologna

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel 45° anniversario della strage alla Stazione di Bologna, ha inviato questo messaggio:

La strage della Stazione di Bologna ha impresso sull’identità dell’Italia un segno indelebile di disumanità da parte di una spietata strategia eversiva neofascista che mirava a colpire i valori costituzionali, le conquiste sociali e, con essi, la nostra stessa convivenza civile.
Il 2 agosto di quarantacinque anni fa, con i corpi straziati, i tanti morti innocenti, la immane sofferenza dei familiari, lo sconvolgimento di una città e, con essa, dell’intera comunità nazionale, è nella memoria del Paese.
Bologna, l’Emilia-Romagna, l’Italia, risposero con prontezza e fermezza, esprimendo tutta la solidarietà di cui sono capaci, respingendo il disegno destabilizzante, le complicità presenti anche in apparati dello Stato, le trame di chi guidava le mani stragiste.
Nel giorno dell’anniversario, si rinnovano alle famiglie delle vittime i sentimenti di vicinanza. Espressione di una comunità coesa che aderisce a quei principi democratici, che gli artefici della strage volevano cancellare, generando paura per minare le istituzioni, cercando di spingere il Paese verso derive autoritarie, con responsabilità accertate grazie al tenace lavoro di Magistrati e servitori dello Stato.
Merita la gratitudine della Repubblica la testimonianza dell’Associazione dei familiari delle vittime, che ha sempre tenuto accesa la luce sul percorso che ha portato a svelare esecutori e mandanti, prezioso esempio di fedeltà ai valori costituzionali, specie per i giovani”.

Di seguito il testo della comunicazione letta questa mattina in piazza Medaglie d’Oro dal presidente Paolo Bolognesi a nome dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.

“Anche 45 anni fa era un sabato, il primo sabato di agosto. In una giornata assolata, che avrebbe dovuto scorrere spensierata per l’inizio delle vacanze estive, la nostra città e l’intero Paese furono scaraventati nell’orrore. 85 morti e oltre 200 feriti; tra loro molti bambini. Una strage, la peggiore che abbia mai colpito l’Italia.

Il male assoluto.

Un male però non isolato: altri attentati terroristici di stampo fascista avevano già insanguinato il nostro Paese, da Piazza Fontana a Gioia Tauro; da Peteano alla Questura di Milano, da Piazza della Loggia al treno Italicus. Tutti, allora, rimasti impuniti.

Hannah Arendt scriveva: “Il male è banale quando si perde la capacità di interrogarlo”.

Il rischio che anche questo male assoluto diventasse banale, che anche questa ennesima strage rimanesse non solo senza colpevoli, ma soprattutto senza risposte, era più che concreto nell’Italia delle stragi impunite.

Per questo, nel 1981 noi parenti delle vittime e feriti della strage del 2 agosto 1980, ci siamo uniti in associazione. Distrutti dal dolore, ma non rassegnati, abbiamo così voluto porci l’obiettivo di ottenere con tutte le iniziative possibili la verità e la giustizia, per far sì che i nostri cari non fossero morti invano.

Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto:

“45 ANNI DI TRAME E DEPISTAGGI PER NASCONDERE LA VERITÀ

LA DETERMINAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE DEI FAMILIARI LO HA IMPEDITO”

Ci sono voluti anni, decenni, e il cammino che ha fatto emergere in modo sempre più nitido il quadro delle responsabilità non è stato semplice. È stato difficile, lungo e faticoso il percorso, ma l’abbiamo fatto insieme ed è anche grazie a questo che, con le ultime sentenze, si sta finalmente delineando la verità completa.

Oggi sappiamo chi è stato e ne abbiamo anche le prove.

La strage del 2 agosto 1980, già ideata nel febbraio 1979, fu concepita e finanziata dai vertici della famigerata loggia massonica P2, protetta dai vertici dei Servizi Segreti italiani iscritti alla stessa loggia P2 , eseguita da terroristi fascisti.

Contiguità che sembrano ancora oggi salde e inconfessabili, se pensiamo che fino a ieri le inchieste sulla strage del 2 agosto sono state ostacolate in ogni modo con depistaggi e intossicazioni che, seppur smascherate e smontate in sede processuale, hanno portato a ritardi di anni e anni nell’accertamento dei fatti.

E se ci sono voluti così tanti anni perché si arrivasse a svelare il quadro completo di chi ha voluto ed eseguito la strage del 2 agosto 80, è perché tutti, a parole, affermano di volere la verità, ma nei fatti sono moltissimi coloro che, pur avendone la possibilità, hanno fatto e fanno qualunque cosa per nasconderla, ritardarla e dissimularla.

L’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga definì gli stragisti Mambro e Fioravanti giovani spontaneisti armati, così da evitare il collegamento coi vertici dei Servizi Segreti italiani.

Poi arrivò la pista palestinese: un depistaggio! Che si trascinò però per almeno trent’anni e, ancora oggi, nonostante le sentenze, gode di alcuni seguaci ignoranti o depistatori a loro volta.

Quando emisero la prima sentenza d’appello 18 luglio 1990 che assolse tutti per l’esecuzione della strage, Cossiga la definì una sentenza coraggiosa. La sentenza però fu poi annullata dalla Corte di Cassazione a sezioni unite perché illogica e arrivò Parisi, il Prefetto già Capo della Polizia e vice del servizio segreto civile che voleva tenacemente depistare unendo la strage di Ustica a quella di Bologna. Lo stesso Parisi che da Capo della Polizia, consegnò nel 1987 all’allora Ministro dell’Interno, Amintore Fanfani, il cosiddetto documento “Artigli” in cui veniva riportato il ricatto che Licio Gelli (tramite il suo avvocato) aveva recapitato allo Stato per garantirsi l’impunità per la strage di Bologna.

Nel 1995 alla vigilia della sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite, uscirono una serie di note critiche, formulate rispetto alle varie sentenze che condannavano i terroristi Mambro e Fioravanti, confezionate da un folto gruppo trasversale riunito sotto lo slogan “E SE FOSSERO INNOCENTI?” Le note critiche erano state sottoposte e discusse nelle aule dei tribunali e tutte interamente confutate, ma vennero sorrette dal clamore mediatico imponente di giornali, televisioni e radio che crearono grande confusione e sbandamento.

Nel 2002 il Governo Berlusconi, anche lui iscritto alla famigerata loggia massonica P2, istituì la commissione bicamerale d’inchiesta denominata “Commissione Mitrokhin”, un vero e proprio depistaggio istituzionale voluto dal Governo di destra dell’epoca: tra i suoi compiti c’era quello di avallare in modo definitivo la pista palestinese. La relazione finale non fu votata nemmeno dalla maggioranza.

Di recente sono state rese note alcune chat tra due attuali esponenti della maggioranza parlamentare, l’Onorevole Frassinetti e il Ministro Lollobrigida, in cui riferendosi al processo relativo al 2 agosto, parlano di “sentenza sbagliata” e il ministro Lollobrigida invita a tenere un basso profilo sulla strage alla stazione, cosicché una volta al Governo avrebbero potuto provvedere a diffondere la “verità con la V maiuscola”.

In effetti, bisogna riconoscere che certi personaggi hanno un solo modo per uscire bene da questa triste vicenda: non parlarne, fare finta di niente, sperare che ci si dimentichi. Perché, se se ne parla invece, bisogna dire che per anni gli esecutori materiali della strage alla stazione, camerati amici di gioventù, sono stati furbescamente dipinti come ingenui spontaneisti armati, laddove invece erano stati ben preparati e addestrati militarmente e sono state inequivocabilmente provate le loro coperture in seno ai Servizi Segreti.

Perché, se se ne parla, bisogna dire che sono incredibili i trattamenti di favore riservati agli stessi esecutori materiali dell’eccidio del 2 agosto che, pur essendo pluriergastolani mai pentiti, sono da anni in libertà, in barba al principio di certezza della pena sbandierato nelle campagne elettorali.

Sappiamo bene che gli amici degli stragisti non si collocano solo a destra, perché il partito dei nemici della verità è trasversale, così come era trasversale la famigerata loggia massonica P2.

È però un fatto che tutti gli stragisti italiani passarono dal Movimento Sociale Italiano, partito costituito nel 1946 da esponenti della REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA (allora in gran parte latitanti perché ricercati dalla nuova giustizia della Repubblica democratica), CHE FINO ALL’ULTIMO AVEVANO COMBATTUTO CON I TEDESCHI CONTRO I PARTIGIANI, PARTITO CHE SI COLLOCAVA APERTAMENTE CONTRO LA NASCENTE COSTITUZIONE NATA NEL 1947 ISPIRATA DALLA LOTTA DI LIBERAZIONE.

Elenco qui solo alcuni dei casi più gravi di uomini del MSI direttamente coinvolti o condannati per fatti eversivi e di strage:

Paolo Bellini ha affermato in aula a Bologna, senza mai essere smentito, che dal 1972 era “infiltrato in Avanguardia Nazionale per conto di Almirante”.

Insieme a lui le carte del processo hanno individuato Mario Tedeschi, senatore del MSI, come uno dei depistatori/mandanti dell’eccidio alla stazione.

Carlo Maria Maggi, esponente di Ordine Nuovo, rientrò nel 1969 nel MSI seguendo il suo capo Pino Rauti. Fu membro del Comitato centrale del partito e candidato al parlamento nelle elezioni del 1972. È stato condannato in via definitiva per la strage di Brescia del 28 maggio 1974.

Anche Paolo Signorelli seguì Rauti e tornò nel MSI nel Comitato Centrale. Vi rimase fino al 1976. È stato condannato per Associazione sovversiva e banda armata. Suo nipote, omonimo del nonno, è stato il capo ufficio-stampa del ministro Francesco Lollobrigida, incarico da cui si è dimesso dopo il caso delle telefonate con Fabrizio Piscitelli (ultras e narcotrafficante ucciso il 7 agosto 2019) insieme al quale si produceva in insulti antisemiti e in esaltazioni di Fioravanti e Ciavardini.

Carlo Cicuttini era il segretario della sezione del MSI di Manzano in Friuli al momento della partecipazione alla strage di Peteano che uccise tre carabinieri. Cicuttini li aveva attirati sul luogo dell’attentato con una telefonata alla locale caserma. Il MSI, lo mostrano le carte dell’inchiesta del giudice Casson, raccolse 32.000 dollari per farlo operare alle corde vocali nel timore che venisse identificato dalla voce registrata dai militari.

Dal MSI provenivano figure chiave della stagione eversiva come Stefano Delle Chiaie (fondatore di Avanguardia Nazionale), oppure come Franco Freda il riconosciuto capo del gruppo ordinovista veneto responsabile della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969.

Giuseppe Dimitri fu dirigente di Avanguardia Nazionale e Terza Posizione (TP). Responsabile di un deposito di armi a Roma condiviso con i NAR di Fioravanti e Mambro. Fu condannato per banda armata. Divenne, negli anni 2000, consulente del Ministro per l’agricoltura Gianni Alemanno.

E infine: cosa dire del fatto che nel gennaio 2007, l’allora senatore Ignazio La Russa (oggi presidente del Senato) presenziò ai funerali del terrorista Nico Azzi che il 7 aprile 1973 tentò una strage sul treno Torino-Roma e fornì le bombe a mano che cinque giorni dopo due missini usarono per uccidere il poliziotto Antonio Marino durante un corteo del MSI a Milano?

Sono queste le “radici che non gelano”. E con queste ci si deve fare i conti.

E allora la verità con la “V” maiuscola di cui parla il Ministro Lollobrigida sembra assomigliare a una mistificazione più che alla realtà, a una menzogna più che alla verità.

E alla Presidente del Consiglio, che ci ha accusato di volerla esporre a ritorsioni, nel ricordare il passato da cui proviene, come quello da cui provengono gli esecutori delle stragi, vogliamo dire che una cosa è il rispetto per le Istituzioni, un altra cosa è l’accettazione di riscritture interessate della storia, cosa che non siamo in alcun modo disposti a far passare. Perché, Presidente Meloni, condannare la strage di Bologna senza riconoscerne e condannarne la matrice fascista è come condannare il frutto di una pianta velenosa, continuando ad annaffiarne le radici.

In questi lunghi e faticosi anni, la nostra battaglia non è mai stata né  mai sarà una battaglia ideologica: quando più di 40 anni fa, noi parenti delle vittime e feriti della strage del 2 agosto ’80 ci siamo uniti in associazione, lo abbiamo fatto col puro intento di esercitare pienamente il nostro diritto di sapere come sono realmente andate le cose.

Dopo di noi, altri cittadini vittime di stragi e attentati precedenti hanno deciso di seguire il nostro esempio, costituendo altre associazioni per ottenere giustizia e verità e insieme a loro abbiamo potuto far sentire più forte la nostra voce in comuni battaglie di civiltà che avrebbero dovuto vedere in prima fila, sempre, le Istituzioni e i Governi.

Nel “PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA”, progetto golpista della famigerata loggia massonica P2 figurava “LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI”, preludio ad un controllo dell’esecutivo sulla magistratura; operazione che il Governo attuale vuole pervicacemente attuare spacciandola come riforma.

Da ultimo, esprimiamo grave preoccupazione per l’articolo 31 del DDL “Sicurezza”, che assegna ai Servizi di Sicurezza una sorta di “licenza di delinquere” piuttosto preoccupante, data la storia del nostro Paese. In Pratica con l’articolo 31 si stabilisce che d’ora in poi nessun uomo dei Servizi potrà essere inquisito per depistaggi, esecuzioni e incitamento alle stragi eccetera. Sembra un tributo pagato a coloro che avevano sì giurato fedeltà alla Costituzione, ma nei fatti ne hanno preso le distanze cercando di abbattere la democrazia.

E alle stesse associazioni di familiari, insieme a numerosi cittadini ed esponenti della società civile, abbiamo chiesto giustamente di non lasciarci soli e sono stati al nostro fianco anche qualche mese fa, quando abbiamo qui organizzato un presidio democratico, in risposta alla squallida sfilata di camicie nere organizzata da Casapound, definendola composta da Patrioti.

Quel presidio lo abbiamo organizzato dopo il periodo elettorale per non sovrapporci ulteriormente alla campagna elettorale per le regionali, perché la nostra è una battaglia di civiltà e di democrazia e non ha colore politico.

Una battaglia lunga e faticosa, spesso portata avanti nel silenzio quasi assoluto dei mass media che, per convenienza, censurano le ultime risultanze processuali sull’eccidio del 2 agosto 80, sperando nell’oblio e nell’ignoranza diffusa.

Lo scorso gennaio la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva Gilberto Cavallini quale esecutore della strage alla stazione.

Il primo luglio scorso la Corte di Cassazione ha condannato Paolo Bellini all’ergastolo in via definitiva, nell’ambito del processo mandanti per aver partecipato alla strage; Piergiorgio Segatel a 6 anni per depistaggio e Domenico Catracchia a 4 anni per false dichiarazioni ai giudici.

Un cerchio che si chiude e dopo 45 anni possiamo dire che conosciamo i retroscena della strage!!

In quella sentenza sono passate in giudicato altre vicende molto interessanti:

1 – La pista Palestinese è un palese depistaggio,

2 – È provato il collegamento organico dei Servizi Segreti italiani con i terroristi dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) e coi gruppi Avanguardia Nazionale, Terza Posizione e Ordine Nuovo, collegati ai primi.

3 – È provato che nel covo dei NAR di via Monte Asolone a Torino, tra svariati documenti trovati, tra cui tesserini dei carabinieri firmati dal comandante della legione di Brescia, il Colonnello Giuseppe Montanaro anche lui  iscritto alla famigerata loggia massonica  P2, c’erano gli spezzoni rimanenti delle targhe dell’auto usati dagli esecutori dell’omicidio del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella. Questi spezzoni ci consentono di mettere in stretto collegamento quell’omicidio con la formazione dei terroristi neofascisti, i NAR.

4 – I NAR non erano degli spontaneisti armati come voleva far credere l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ma erano persone ben addestrate militarmente.

5 – È provato che il Sisde, Servizio Segreto Civile, tramite il Prefetto Parisi concedeva in suoi appartamenti i covi delle Brigate Rosse e dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari).

6- Anche alcuni vertici dell’Arma dei Carabinieri conoscevano prima della strage ciò che sarebbe successo il 2 agosto.

Questo splendido risultato è merito anche del nostro collegio di difesa composto dagli avvocati Lisa Baravelli, Alessia Merluzzi, Alessandro Forti coordinati dall’avvocato Andrea Speranzoni che con grande dedizione e impegno hanno condotto in porto questa impresa processuale che possiamo definire storica.

I processi svolti e le relative sentenze, ci consentono oggi di leggere insieme, come diceva il giudice Mario Amato, questi fatti e capire le trame criminali che hanno attraversato il nostro Paese per sovvertire l’ordinamento democratico.

Questi documenti però sono di difficile accesso, comprese le sentenze che sono atti pubblici. Il Direttore della Direzione Generale Archivi, Antonio Tarasco, ha emanato una circolare che limita la consultabilità delle sentenze che, ripeto, sono atti pubblici.

Le resistenze alla verità non mutano quindi! Anzi, per evitare ulteriori passi avanti, aumentano.

Abbiamo nel frattempo dato vita ad un coordinamento tra le associazioni di vittime delle stragi storiche degli anni 70 -80 e quelle relative al periodo del 92- 93, perché vi sono molti punti di contatto tra vecchi elementi che hanno concorso ad eseguire le vecchie stragi e i Servizi Segreti.

Figure come quella di Paolo Bellini risultano coinvolte anche nelle stragi del ’92-93, svelando un filo nero che collega terroristi fascisti agli episodi più sanguinosi della storia del nostro Paese.

Su questi ricorrenti intrecci avrebbe dovuto indagare la Commissione Antimafia approfondendo la commistione criminale fra terrorismo nero, mafia e Servizi Segreti.

La Commissione Antimafia che invece sta limitando il proprio spettro di azione ad operazioni che riguardano Mafia e appalti. Questa impostazione porterà sicuramente ad un clamoroso nulla di fatto. E chi vuole la verità si vedrà sottratti altri 5 anni, tanti quanti una intera legislatura.

Da questo palco, confermo la mia contrarietà alla nomina a presidente della commissione Antimafia dell’On. Colosimo; ho già espresso questo mio giudizio nell’intervista pubblicata, all’indomani della nomina, sul giornale La Repubblica il 25 maggio 2023 “Colosimo? Tanto valeva Messina Denaro a capo della Commissione”. Ovviamente, il titolo non è stato scelto dal sottoscritto e l’On. Colosimo non è Matteo Messina Denaro né mi riferisco alla qualità della persona che nulla c’entra con Matteo Messina Denaro, ma alla scelta politica non condivisa, tenuto conto della FOTO CHE LA RITRAE CON IL TERRORISTA condannato quale esecutore della strage di Bologna LUIGI CIAVARDINI, DIFFUSA E DISCUSSA AMPIAMENTE SU GIORNALI E TELEVISIONI: ciò ci induce a ritenere quella nomina politicamente inopportuna al massimo livello.

Pochi mesi fa ci ha lasciati un grande amico: Gianni Flamini.

Lo vogliamo ricordare perché è stato un grande giornalista dallo spirito libero che ha approfondito come pochi altri le vicende eversive di mezzo secolo di storia non soltanto italiana.

Flamini è stato un ricercatore appassionato e instancabile. Più volte i risultati della sua straordinaria capacità di ricerca hanno offerto alla nostra Associazione un contributo fondamentale nella ricerca della verità e della giustizia.

Contro il diffondersi interessato di superficialità, omissioni, indifferenza e più o meno grossolane falsità, la nostra associazione ha sempre dato primaria importanza al rapporto con le scuole e le giovani generazioni. Quei giovani che quest’anno, nella ricorrenza del 9 maggio, Giorno della Memoria delle Vittime e delle stragi di tale matrice, sono stati gli unici a parlare di terrorismo nero e neofascismo in quell’aula della Camera dei Deputati che aveva blindato la cerimonia scegliendo come moderatore addirittura Bruno Vespa, giornalista che – ricordiamolo – all’indomani della strage di Piazza Fontana e dell’arresto dell’anarchico Pietro Valpreda, non esitò a definirlo acriticamente colpevole.

Pietro Valpreda era innocente e quella strage fu commessa dal gruppo di Ordine Nuovo veneto.

Non è una banalità: i giovani sono il futuro di tutti noi e per loro e con loro possiamo costruire una società in cui nessuno sia più costretto a subire quello che, noi e il Paese, abbiamo subito. A questi ragazzi che ci guardano con occhi intelligenti e curiosi, spieghiamo la nostra storia. Diciamo loro che la ricerca di giustizia e verità nei casi migliori è un risultato, ma soprattutto è un processo, è un percorso, come il nostro, lungo e pieno di ostacoli con grandi sacrifici anche familiari.

E a chi fra loro ci chiede come abbiamo fatto a rimanere saldi in tutti questi anni, rispondiamo che abbiamo fatto come gli alberi: abbiamo cambiato le foglie, ma conservato le nostre radici.

Il primo presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime è stato Torquato Secci: un grande uomo, che qui aveva perso suo figlio, è stato per noi come un padre.

Con lui abbiamo affrontato e superato tanti ostacoli, e molte delle vittorie ottenute dopo la sua scomparsa sono maturate grazie ai semi piantati con lui: gli accertamenti nelle aule giudiziarie, il reato di depistaggio, il coinvolgimento artistico con “Il Concorso internazionale di composizione “2 Agosto” che è uno dei maggiori concorsi di composizione d’Italia, nato nel 1994. Il prossimo anno, a parlare da questo palco sarà un nuovo presidente, eletto dall’assemblea odierna dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980, che nominerà Paolo Lambertini, attuale vicepresidente, carica che ricopre da nove anni, figlio di Mirella Fornasari, una dipendente della CIGAR, perita nella strage. Da parte mia continuerò il mio impegno e darò il mio contributo come presidente onorario dell’Associazione

Cambieranno le foglie, conserveremo le radici.

Cambieranno le persone rimarranno i nostri principi di giustizia e verità.

E come ogni albero robusto, avremo ancora bisogno di un terreno fertile e un sano nutrimento: il vostro sostegno e supporto, la vostra partecipazione che dà forza e significato alle nostre battaglie.

Mi piace passare il testimone con alcune parole di Aldo Moro:

Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi.”.
Il coraggio non ci è mai mancato e non ci mancherà.

La verità e la giustizia saranno sempre il nostro faro.

Dal profondo del cuore GRAZIE a tutti Voi”.

Il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, è intervenuto questa mattina in Piazza Medaglie d’Oro dopo il minuto di silenzio in memoria delle vittime della strage alla stazione del 2 agosto 1980.

Di seguito il discorso pronunciato:

Care cittadine e cari cittadini. 

Autorità civili e militari presenti, sindaci e sindache, amministratori e amministratrici venute e venuti da ogni parte d’Italia con i vostri gonfaloni e le vostre fasce tricolore. Staffette della memoria e rappresentanti delle associazioni, i rappresentanti delle scuole, grazie, grazie di essere qui con noi oggi da ogni parte d’Italia.

In apertura del mio discorso, vorrei ringraziare i protagonisti del lavoro giudiziario che ha portato alle ultime sentenze sulla strage: la Procura generale e i magistrati, gli avvocati di parte civile che ci hanno rappresentati e l’associazione dei familiari delle vittime.

Tra questi voglio ricordare in particolare Il Magistrato Mario Amato.

Stabilito alla Procura di Roma, fu l’unico allora a indagare sulla nuova forma che il neofascismo stragista stava assumendo dagli anni 1977 al 1980.

Mario Amato venne ucciso il 23 giugno 1980 dalla cellula operativa Nar, composta da Gilberto Cavallini, che colpì a morte il Magistrato dietro alla nuca e Luigi Ciavardini guidatore della moto, come concorrenti morali Francesca Mambro e Valerio Fioravanti.

La sentenza emessa dalla Corte di Assise di Bologna nei confronti di Paolo Bellini, riconosce, che “la vicenda dell’omicidio Amato va posta come fondamentale elemento di collegamento e spiegazione della strage”.

Il 30 luglio scorso, i figli Sergio e Cristina che sono qui con noi mi hanno scritto per chiedermi l’intitolazione al padre di una piazza o una via nella nostra città.

Voglio rispondere a loro da qui, da questo palco: per Bologna sarà un vero onore.

Abbiamo anche deciso su proposta dell’associazione dei familiari di dedicare a tutte le 85 vittime della strage una sentiero o una via all’interno dei nostri parchi cittadini, affinché nessuna di loro venga dimenticata.

Caro Paolo e cari familiari non sono mai stato così emozionato e commosso nello stare tra voi, come in questo 45esimo anniversario.

Dopo 45 anni di battaglie, abbiamo ottenuto oltre alla sentenza sui mandanti, due sentenze passate in giudicato. Ciò che è avvenuto tra il 2022 e il 2025, come hai detto tu Paolo, hanno chiuso il cerchio sulla strage per quanto compete i Tribunali della Repubblica italiana.

Nessuna indagine o processo sullo stragismo del dopoguerra era mai arrivato così in alto, fino ai mandanti e al quadro politico nazionale e internazionale che provocò la strage.

Non si può certo gioire per una sentenza relativa a una strage così efferata, ma caro Paolo, nel tuo ultimo corteo da Presidente dell’associazione familiari, concedimi di uscire dal protocollo per un momento: sei stato in un tutti questi anni un punto di riferimento e una quercia per tutti noi, permettimi un gesto che credo qui tutti in questa piazza vorrebbero fare: fatti abbracciare.

Permettimi anche di ribadire in questa sede che ci batteremo ad ogni livello affinché siano pienamente pubblicate le sentenze sulla strage così come prevede la legge italiana e come invece impedirebbero il decreto del Governo e le circolari dell’Archivio di Stato.

Tutti devono potervi accedere, alle sentenze. Il Governo non osi insabbiare questa verità!

Dopo la corte di cassazione, possiamo dire chi è stato e abbiamo le prove. Ci sono verità giudiziarie passate in giudicato. Questo è uno spartiacque per noi e lo è anche per questa storica manifestazione.

Ora come andare avanti?

Nello scrivere questo discorso mi sono posto questa domanda e camminando ho continuato a domandarmelo.

Il mio cammino mi ha portato in questi ultimi anni in Argentina e più precisamente a Buenos Aires.

Nel cuore della capitale, poco distante dalle stadio, che ospitò i mondiali del 1978, c’è una scuola. Più precisamente un’accademia militare: La Escuela de Mecánica de la Armada, conosciuta come ESMA. La scuola per la formazione degli ufficiali della Marina Argentina, diretta dal capo di stato maggiore Emilio Eduardo Massera componente della loggia Massonica P2.

La ESMA cominciò la sua attività di centro di detenzione e tortura il giorno stesso del colpo di Stato argentino, vale a dire il 24 marzo 1976.

Già in quell’occasione vennero imprigionate le prime persone politicamente scomode, sequestrate dalle forze armate.

Normali cittadini e perseguitati politici, per lo più giovanissimi, venivano presi e poi torturati. Scariche elettriche ad alto voltaggio, ustioni, pestaggi, appesi a testa in giù per un tempo indefinito, ma anche stupri e sparizione di bambini.

Secondo le stime ufficiali, passarono dalla Escuela circa 5mila persone e di queste solo 500 ne uscirono vive, alla fine del processo di Riorganizzazione Nazionale nel 1983.

Visitare l’ESMA è una delle esperienze più drammatiche che si possano fare. Le persone venivano imprigionate torturate e interrogate, poi condotte su un aereo e gettate nel mare lungo la costa che divide Argentina e Uruguay, fatte sparire affinchè nemmeno i loro corpi potessero raccontare. Sono i Desaparecidos.

Le testimonianze dei sopravvissuti ricordano vivamente il 1978, quando il generale Videla volle ospitare i mondiali di calcio per glorificare la dittatura e distrarre il paese.

I detenuti nella Escuela dalle loro finestre sentivano i boati della folla durante le partite. Perché la Escuela era tra le case, nella città, accanto alla vita normale di ogni giorno.

Ed è alla finale dei mondiali, in tribuna d’onore, seduto tra i generali come Videla e l’ammiraglio Massera, che appare Licio Gelli. Ospite fisso della dittatura argentina, che nel paese latinoamericano aveva forti legami.

Sarà proprio Gelli a scrivere una lettera di accorate congratulazioni a l’ammiraglio Massera all’indomani del golpe del 24 marzo ‘76, compiacendosi per la riuscita dei “piani prestabiliti”: “Ti manifesto la mia sincera allegria per come tutto si è sviluppato secondo i piani prestabiliti […]. Un governo forte e fermo sulle sue posizioni e nei suoi propositi può dare alla nazione cosa necessita per tornare rapidamente al livello dei Paesi più prestigiosi. Un governo che sappia soffocare l’insurrezione dei dilaganti movimenti di ispirazione marxista”.

I giudici italiani che hanno collocato la strage del 2 agosto 1980 all’interno della strategia della tensione sono stati chiari: Bologna fu scelta per il suo simbolismo antifascista e democratico.

Le sentenze ricostruiscono con fonti probatorie i legami tra la Loggia Massonica P2 di Licio Gelli, esponenti dei servizi segreti italiani, servizi americani, il terrorismo neofascista e la politica delle nostre istituzioni.

La Strage di Bologna fu a tutti gli effetti l’episodio più tragico di una lunga scia di sangue, una guerra sporca legata ad un strategia che più complessivamente mirava al contenimento dell’avanzata comunista in Italia, ma soprattutto al condizionamento della vita democratica del nostro paese tramite la violenza politica.

Un ricatto costante alle istituzioni e al popolo italiano.

Sin dagli anni ‘60, è noto ormai che organizzazioni di varia natura, con forti sostegni dell’intelligence italiana e americana, abbiano attuato operazioni di condizionamento della politica per mantenerla dentro la stretta osservanza atlantica.

Prima le stragi che hanno insanguinato l’Italia tra il 1969 e il 1974, interne a una pianificazione radicata ad altissimo livello. Poi gli anni del terrorismo, i legami e il coinvolgimento delle mafie ancora da chiarire.

Nomi che ritornano in diversi luoghi coinvolti da questa storia e trame che proseguiranno ben oltre la fine della Guerra Fredda fino agli anni ‘90. Lo si intuisce, ad esempio, seguendo in particolare i percorsi di alcune figure chiave come quella di Paolo Bellini.

Per fare piena luce su questa lunga scia di sangue, l’anno scorso è nato un coordinamento tra le associazioni dei familiari delle stragi della strategia della tensione e le stragi di mafia. Cittadini uniti dal comune intento di ottenere verità e giustizia per quanto è accaduto dagli anni ‘60 ad oggi nel nostro paese.

Piazza Fontana – Milano (12 dicembre 1969) una bomba esplode alla Banca Nazionale dell’Agricoltura causando 17 morti e 88 feriti.

Stazione di Gioia Tauro – Calabria (22 luglio 1970), un ordigno sul treno Freccia del Sud causa 6 morti e 66 feriti.

Strage di Peteano (31 maggio 1972): Attacco contro una pattuglia di carabinieri a Peteano, con 3 morti e 3 feriti, a opera di un gruppo neofascista.

Strage della Questura di Milano (17 maggio 1973): Esplosione di una bomba nella sala d’attesa della Questura, con 4 morti e 46 feriti.

Treno Italicus – San Benedetto Val di Sambro (4 agosto 1974), un ordigno nella carrozza del treno Roma–Monaco provoca 12 morti e 48 feriti.

Piazza della Loggia – Brescia (28 maggio 1974), una bomba durante una manifestazione antifascista causa 8 morti e 102 feriti.

9 maggio 1978, viene ritrovato il corpo senza vita del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, impegnato nel compromesso storico con il PCI di Enrico Berlinguer.

Omicidio di Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980), citato esplicitamente nelle motivazioni della sentenza Bellini passata in giudicato.

2 Agosto 1980 la strage alla Stazione di Bologna, 85 morti e 200 feriti.

Rapido 904 – San Benedetto Val di Sambro (23 dicembre 1984), un ordigno sul treno Napoli–Milano lascia a terra 16 morti e 267 feriti.

Strage di Capaci, 23 maggio 1992, muoiono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta.

Strage di via D’Amelio, 19 luglio 1992, Palermo, una bomba uccide il giudice Paolo Borsellino e 5 agenti di scorta.

Stragi mafiose del 1993, vari ordigni esplodono a Roma, Firenze, Milano, 10 morti, oltre 90 feriti.

Bombe e morti che hanno insanguinato il nostro paese e ne hanno cambiato per sempre la traiettoria.

E allora, ecco che cosa dobbiamo fare.

Quello che dobbiamo fare è continuare a camminare assieme e assieme continuare a domandare verità e giustizia.

Lo faremo per tutte queste stragi e lo faremo anche per la strage di Ustica, che ha visto pochi mesi fa la richiesta di archiviazione da parte della Procura di Roma, per l’impossibilità di identificare la nazionalità dei caccia in assetto da guerra che quella sera hanno abbattuto il DC9.

Lo faremo perché, se dopo 45 anni di depistaggi e tradimenti, siamo finalmente arrivati alle sentenze per la Strage di Bologna, per molte altre di queste stragi ancora mancano esecutori e mandanti, mentre continuano tutt’ora i tentativi di sviare le indagini e i processi.

E dunque, oggi, voglio annunciare anche una cosa importante.

Nei giorni scorsi ho incontrato il coordinamento nazionale delle associazioni di tutte le stragi, e riunite hanno accettato la nostra proposta di collocare la loro sede nella nostra città.

Lavoreremo assieme per sostenere la ricerca della verità finché giustizia non sarà fatta.

Lavoreremo assieme per promuovere la memoria di quanto è accaduto.

Lo faremo riunendo le città italiane e le città che nel mondo sono legate da esperienze simili seguendo il filo della memoria anche in Argentina, Cile, Grecia e altri paesi.

Ma soprattutto impediremo che quanto accaduto sia consegnato per sempre all’oblio.

Perché chi ha colpito e ferito a morte le nostre città, confida nel tempo.

Confida che di generazione in generazione i ricordi si facciano sempre più labili, che la nostra forza si vada indebolendo con la scomparsa dei protagonisti e dei testimoni.

E allora noi, insieme, daremo vita a qualcosa di più grande, daremo vita a una cosa che nessuno possa cancellare e che per i prossimi decenni possa parlare alle generazioni future.

Insieme, daremo vita a un grande Parco della Memoria Democratica accanto alla Stazione 2 agosto 1980, un parco verde come la speranza e rosso come la memoria. Un parco realizzato e pensato insieme a tutte le associazioni delle vittime del nostro paese, perché sarà dedicato alla storia dell’Italia.

Come Comune abbiamo recentemente acquisito lo scalo ferroviario esattamente alle nostre spalle, di 11 ettari, e abbiamo il compito di rigenerarlo entro il 2027 con finanziamenti europei.

Desigilleremo l’80% di questi 11 ettari, oggi composti da ferro e cemento, per realizzare un parco accessibile e costellato da installazioni e opere d’arte dedicate alla memoria democratica del nostro paese.

All’interno troveranno spazio varie infrastrutture culturali e un polo della Memoria che conterrà archivi, luoghi performativi e di studio, nel campo della memoria democratica italiana.

Da ogni parte vogliamo che le scuole e i cittadini, studiosi e ricercatori, chiunque lo voglia, possa venire a visitarlo.

Un luogo della memoria nel cuore dell’Italia messo a servizio della rinascita morale e civile del nostro Paese.

Anche per questo è qui oggi tra noi la Ministra alla cultura della città di Buenos Aires.

Nel 1998, infatti, la Città Autonoma di Buenos Aires ha dato il via a un’esperienza di partecipazione senza precedenti insieme alle organizzazioni per i diritti umani, per realizzare un memoriale dedicato alle vittime del terrorismo di Stato, distribuito su una superficie di 14 ettari. 

Un parco che accoglie un centro di documentazione e 18 sculture, disseminate su un’ampia collina verde che degrada dolcemente verso il mare. Quel mare dove, tra la fine degli anni ‘70 e ‘80 sono stati gettati i corpi della migliore gioventù argentina. 

Sono rimaste le madri di plaza de Mayo a ricordarli, purtroppo sempre meno a causa dell’età. 

Questa primavera ho incontrato a Bologna la nipote di una di loro, Claudia Poblete.

Claudia ha scoperto solo pochi anni fa di essere stata cresciuta da genitori che non erano i suoi. La madre e il padre, infatti, erano stati imprigionati e uccisi all’ESMA, lei invece consegnata alle cure di una coppia vicina alla dittatura. 

Le storie delle vittime si intrecciano indissolubilmente, così come le storie dei loro carnefici. 

Loro, i carnefici, vogliono rubare l’identità alle vittime, privarle dei loro affetti più cari. 

Così come gli stragisti hanno tolto la vita a centinaia di persone nel nostro paese strappandole ai loro. 

I carnefici volevano rubare ai nostri paesi un futuro libero e democratico. 

Ma oggi noi sappiamo e camminiamo insieme. 

Noi che non lasceremo più questa piazza e questa città, per sempre segnate e disegnate per essere un pilastro della coscienza civile italiana ed europea. 

E allora sì, continueremo a camminare. 

Cammineremo per chi non può più farlo. 

Cammineremo per chi ha perso tutto. 

Cammineremo finché ogni verità sarà detta, ogni giustizia compiuta, ogni nome ricordato. 

Perché il tempo non ci vincerà. 

Non vincerà chi ha scelto la violenza. 

Non vincerà chi ha provato a rubarci il futuro. 

Noi siamo qui. 

Ci saremo anche domani. 

E ci saremo ogni anno, finché ci sarà anche solo una persona a voler portare avanti questo testimone. 

Ci vediamo il prossimo 2 agosto. 

In tanti. Ancora di più. 

Perché la memoria è un dovere. E la giustizia è una promessa“.

“Questa nostra terra, Bologna, l’Emilia-Romagna, come poche altre è stata vittima del terrorismo politico. Abbiamo pagato prezzi altissimi al terrorismo di ogni matrice politica. Perché tanto odio? Perché questa terra nelle sue diversità, nella sua capacità di avere opinioni e idee diverse, è una terra che ama la libertà, ha valori forti, sa stare insieme. E lo ribadiamo ancora oggi, chi vuole fare politica con la violenza qui, non può che essere un nemico di questa terra”.

Così il presidente della Regione Emilia-Romagna, Michele de Pascale, a margine della commemorazione, questa mattina a Palazzo d’Accursio della strage alla stazione di Bologna, che il 2 agosto 1980 provocò 85 vittime e oltre duecento feriti. Alla cerimonia erano presenti anche gli assessori regionali Gessica Allegni, Giovanni Paglia, Irene Priolo, Elena Mazzoni, e il presidente dell’Assemblea legislativa Maurizio Fabbri.

“La strage di Bologna- ha sottolineato de Pascale in un passaggio del suo intervento- è uno di quei casi in cui le storie personali, individuali, incontrano la Storia. La riconoscenza che abbiamo e che portiamo all’Associazione delle vittime e dei familiari è anche quella di tenere vive queste storie. Stiamo passando dalla generazione dei padri, dei fratelli, delle sorelle dei sopravvissuti alle generazioni dei figli, dei nipoti, di chi deve continuare a coltivare la memoria e la memoria si coltiva con le storie e con le emozioni”.

“Tante storie, tante vite- prosegue il presidente- che a un certo punto hanno drammaticamente incontrato la Storia, quella collettiva. E la Storia ci dice che finalmente è diventata sentenza che dopo la Liberazione, dopo la democrazia, la libertà una parte rilevante dello Stato non si rassegnava e pensava che attraverso la violenza, il terrorismo, la morte e le bombe si potesse portare indietro le lancette della Storia, si potesse combattere la libertà e la democrazia con il sangue di vittime innocenti. Questo è quello che è passato dalle strade di Bologna con la violenza neofascista ed è quello che ha attraversato con dolore anche le istituzioni”.

“I mandanti, gli esecutori, i depistatori non avevano però considerato com’è fatta questa terra, questa città. Nessuno di coloro che ha partecipato a quella strage poteva immaginare che oggi a distanza di così tanti anni noi si fosse tutti qui, uniti, con la verità in mano. Nessuno di loro lo poteva immaginare, nessuno di loro poteva immaginare la forza che hanno dimostrato i familiari delle vittime. Una forza che è merito vostro e che racconta tanto della nostra terra, del suo orgoglio, del suo amore per la verità e la libertà. E’ una forza che ha incontrato lungo la strada giudici e magistrati che hanno portato alla luce la verità e che oggi continua a portare qui tantissime persone, che abbiano una fascia, una divisa, che siano semplici cittadine e cittadini, da tutta Italia, a dire che questa è stata una battaglia di libertà”.

“La Regione Emilia-Romagna sarà sempre al fianco dell’Associazione dei familiari delle vittime – aggiunge l’assessora Allegni-, sarà sempre al fianco di tutti coloro che chiedono giustizia e verità per le tante e troppe stragi del nostro Paese che ancora quella verità non l’hanno vista riconosciuta. Faremo in modo che le sentenze sulla strage del 2 agosto vengano rese pubbliche, non vengano sporcate, negate, da chi ancora quella verità non la vuole riconoscere. Attraverso la nostra legge sulla Memoria del Novecento porteremo avanti iniziative e progetti per favorire il ricordo di ciò che è stato, perché la democrazia e una società più giusta come quella che vogliamo realizzare non potranno che fondarsi su una profonda conoscenza della storia della nostra Regione e del nostro Paese. Bologna e l’Emilia-Romagna non dimenticano e non dimenticheranno mai”.

Per tenere viva la memoria del 2 agosto, a 45 anni dalla tragedia, la Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con la Fondazione Lucio Dalla e insieme all’Associazione dei familiari delle vittime, sceglie di ricordare l’anniversario con una reinterpretazione del brano, ambientata proprio nella Sala d’aspetto della Stazione centrale. La cover è realizzata dalla cantautrice e musicista, e allieva di Dalla, Roberta Giallo, accompagnata alla chitarra da Agostino Raimo. Il video clip è disponibile da oggi sul potale della Regione, i social e su Lepida TV.

















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