giovedì, 12 Dicembre 2024
16.1 C
Comune di Sassuolo
HomeBologna2 Agosto, la commemorazione a 44 anni dall'attentato alla Stazione di Bologna





2 Agosto, la commemorazione a 44 anni dall’attentato alla Stazione di Bologna

2 agosto 1980: alle 10.25 una bomba esplode nella sala d’aspetto di seconda classe della Stazione di Bologna: provoca 85 morti e 200 feriti. Stamane migliaia di persone sono arrivate in piazza Medaglie d’oro per commemorare i 44 anni dall’attentato. Applausi hanno scandito il corteo durante il percorso.

L’intervento del sindaco di Bologna Matteo Lepore

“Caro Paolo, cari familiari delle vittime. Care cittadine e cari cittadini.
Autorità civili e militari presenti, sindaci e sindache, amministratori e amministratrici venute e venuti da ogni parte d’Italia con i vostri gonfaloni e le vostre fasce tricolore. Staffette della memoria e rappresentanti delle associazioni, rappresentanti delle scuole.

A tutti voi mi rivolgo da questo palco, 44 anni dopo la più efferata strage di civili perpetrata dal terrorismo fascista e dalla strategia della tensione su suolo italiano e 50 anni dopo la strage dell’Italicus, due ferite enormi per la nostra città che causarono 85 e 12 morti.

Per prima cosa voglio esprimere la mia piena solidarietà a Paolo Bolognesi e agli altri familiari delle vittime, recentemente raggiunti dalle parole minacciose del terrorista e stragista Bellini.

Caro Paolo, sappi che ci troverai sempre al tuo fianco, al fianco di chi in questi lunghi lunghissimi anni si è battuto per la verità e la giustizia.

Voi che avete scelto la strada dei tribunali del popolo italiano per dimostrare la fondatezza delle vostre ragioni e avete contribuito a scrivere una delle pagine più importanti della nostra democrazia repubblicana.
Voi, i familiari delle vittime, per anni abbandonati dallo Stato, boicottati e depistati da certa politica.
Vi hanno provato più volte ad emarginare e delegittimare, ma avete strenuamente e coraggiosamente resistito.
A voi va il nostro incondizionato e doveroso grazie.

Anche per questo motivo, chiedo al Governo di impegnarsi al più presto in merito alla legge sui risarcimenti per le vittime del terrorismo.
Da anni, infatti, assistiamo a balletti e giustificazioni in merito. Da ultimo il dibattito in parlamento sulle giuste terminologie e le coperture finanziarie.
Il risultato è che dopo 44 anni, le vittime ancora non sanno se saranno risarcite, mentre gli autori materiali della strage hanno scontato solo pochi mesi di carcere. Nulla o quasi i mandanti e i depistatori.

Il 2 agosto 1996, Paolo Bolognesi leggeva da questo palco il suo primo discorso in qualità di presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime del 2 agosto 1980.
Prendeva allora il testimone del primo presidente dell’Associazione, il compianto Torquato Secci.
Caro Paolo, nonostante la tua ritrosia, sappi che sei una figura di riferimento per tutti noi e per me in primo luogo, lo dico qui con affetto. Al tuo fianco.

E voglio cogliere l’occasione per ringraziare pubblicamente di fronte a tutte e tutti altre due donne straordinarie, che sono presenti qui oggi in Piazza: Rosanna Zecchi, già presidente dei familiari delle vittime della Uno Bianca e Daria Bonfietti, attuale presidente dell’Associazione dei familiari di Ustica.

Cara Rosanna, cara Daria e caro Paolo, voi siete, lo sappiamo, il volto di una parte importante di Bologna.
Avete rappresentato centinaia di famiglie che hanno subito torti inimmaginabili e per tutta la vostra vita avete dedicato le vostre giornate e le vostre notti, sacrificato i vostri affetti e le vostre energie affinché la verità venisse a galla.
Il vostro è stato un cammino coraggioso e instancabile, carico di dolore vero, ma indissolubilmente pieno di amore e di generosità.

Ecco perché come Sindaco di Bologna, a nome della città medaglia d’oro per la Resistenza e il valor civile, ho deciso di conferire a ciascuno di voi la Turrita d’argento, come riconoscimento e ringraziamento da parte nostra per tutto quello che avete fatto per noi e per le future generazioni.

In questi primi due anni e mezzo di mandato, ho voluto incontrare i bambini e i ragazzi delle nostre scuole accompagnati dai loro insegnanti, tanti sono qui in piazza e li voglio ringraziare.
Ogni volta che accade, tocco con mano lo straordinario lavoro fatto per il passaggio della memoria di generazione in generazione.

Nell’antica cultura giapponese esiste una pratica chiamata del Kintsugi, letteralmente riparare con l’oro.
È un’antica tecnica di restauro dei ceramisti per riparare le tazze della cerimonia del tè. Le linee di rottura sono lasciate visibili, evidenziate con la polvere d’oro. Ecco che gli oggetti così riparati diventano vere e proprie opere d’arte. È la concezione che dall’imperfezione o da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di bellezza estetica o interiore.

Ho sentito descrivere per la prima volta questa tecnica da alcune insegnanti impegnate a raccontare la storia del 2 agosto ai bambini delle elementari.
Ho visto i testimoni mostrare le ferite fisiche ed emotive, condividerle con i ragazzi adolescenti nel corso dei laboratori per la memoria. Un incredibile momento di crescita e di consapevolezza individuale e collettivo.

Per questo Bologna è speciale, per quella polvere d’oro stesa su di noi durante i racconti delle scuole, le scuole che portano i nomi delle vittime delle stragi.
Come la scuola primaria intitolata a Eckhardt e Kay Mäder, i due fratelli tedeschi uccisi dallo scoppio della bomba alla stazione il 2 agosto 1980 quando avevano ancora 14 e otto anni, insieme alla loro madre Margret.

Per questo, noi la generazione dei nati dopo lo scoppio della bomba sentiamo sulla nostra pelle il brivido del ricordo. 
Per questo, i nostri cuori porteranno per sempre quella cicatrice incisa e custodita gelosamente nel petto.

Ed è proprio in uno dei quei momenti che ho fatto una promessa da onorare. La promessa di ricordare da questo palco un testimone. Una figura chiave della nostra storia.

“La vita mi ha concesso di restare vivo, il mio destino è stato diverso da quello degli altri. Potrei essere là, a Sperticano, sepolto con la mia famiglia, e invece sono ancora qua, a raccontare. Sono diventato un sopravvissuto, senza premeditarlo, senza volerlo, quasi. E se la vita mi ha concesso questo, il mio compito è raccontare la mia storia, che è la storia di tutti quelli che quel giorno erano insieme a me e che poi non ci sono stati più”.

Sono le parole dell’ultimo dei testimoni diretti di una enorme strage, che tra Marzabotto e Monte Sole provocò almeno 770 vittime, di cui 217 bambini, 392 donne e 132 anziani tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944.

Ci ha lasciato a 96 anni compiuti, il 10 gennaio 2024 e il suo nome era Ferruccio Laffi. Quest’anno ricorre l’80esimo anniversario di quell’eccidio. Il male assoluto. Il luogo dove tutto è iniziato.

Monte Sole avveniva tre anni prima della strage di Portella della Ginestra, nella Piana degli Albanesi in Sicilia, quando il 1º maggio 1947 ci fu la prima strage dell’Italia repubblicana, con l’eccidio di contadini e delle loro famiglie, che in quel luogo si erano raccolti per festeggiare la ricorrenza della Festa dei lavoratori.

La strage di Monte Sole avvenne nel 1944 e purtroppo come molte altre stragi italiane per mano nazifascista fu oggetto di occultamento e depistaggi per lungo tempo. Un metodo rodato, come si ebbe a scoprire nei processi e dalle carte del cosiddetto Armadio della Vergogna.

L’11 Ottobre 1944, a pochi giorni dall’eccidio, il Resto del Carlino scriveva: “Le solite voci incontrollate, prodotto tipico di galoppanti fantasie in tempo di guerra, assicuravano fino a ieri che nel corso di una operazione di polizia contro una banda di fuorilegge, ben centocinquanta fra donne, vecchi e bambini erano stati fucilati da truppe germaniche di rastrellamento nel comune di Marzabotto… Siamo dunque di fronte a una nuova manovra dei soliti incoscienti destinata a cadere nel ridicolo perché chiunque avesse voluto interpellare un qualsiasi onesto abitante di Marzabotto o, quanto meno, qualche persona reduce da quei luoghi, avrebbe appreso l’autentica versione dei fatti”.

Come sappiamo, la terribile verità sarebbe venuta a galla grazie alle testimonianze dei pochi testimoni sopravvissuti come Ferruccio, il quale a soli 16 anni dovette assistere allo sterminio di tutta la sua famiglia. Lo strazio di essere sopravvissuto portò Ferruccio ai limiti della pazzia e proprio la scelta di diventare testimone gli offrì il senso più profondo della vita che gli rimase da vivere. Nei suoi sogni, per anni è tornato l’incubo di quel giorno. L’ultimo pranzo intorno al tavolo, la corsa nel bosco, le fiamme che mandano in rovina il casolare, il cortile con i corpi senza vita dei suoi cari.

Ferruccio lo abbiamo ricordato pochi mesi fa in una giornata di grande commozione, riuniti attorno all’altare della sua chiesa di Marzabotto, accompagnandolo al cimitero con i canti dei partigiani, le note di Bella ciao e la musica dei compagni e delle compagne. Lo abbiamo salutato con gli occhi gonfi di lacrime, restituendo a Ferruccio quelle stesse lacrime che lui stesso ci aveva donato per tutta la sua vita.

Occhi i suoi, che avevano visto cose che non si riuscivano a raccontare con le parole. “Non è per nulla facile prendere tua madre e metterla dentro una buca” diceva. Ma la sua memoria si è tramutata in un gesto continuo d’amore. Il suo messaggio ai giovani era chiaro: basta intolleranza! basta guerre!

“La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga” così recita la lapide del cimitero di Casaglia.

Quante volte abbiamo incontrato Ferruccio nel corteo del 2 agosto? Sempre accanto ai familiari delle vittime. Ferruccio quando lo incontravi doveva solo guardarti negli occhi per condividere la consapevolezza della barbarie e spronarti a scegliere il contrario.

Cari e care bolognesi, voi sapete benissimo di cosa sto parlando.

Perché se siete qui a migliaia, oggi, nel caldo torrido d’agosto è perché avete incontrato nella vostra vita persone come Ferruccio, come Paolo, come Rosanna e come Daria. Avete ammirato le loro ferite dorate e siete rimasti colpiti dalle loro lacrime, dai loro occhi, dai loro racconti, dalle loro ali.

“Io so i nomi”, scriveva Pierpaolo Pasolini il 14 novembre 1974 sulle pagine del Corriere della Sera. “Io so i nomi del ‘vertice’ che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di ‘golpe’, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli ‘ignoti’ autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi, ma non ho le prove, nemmeno gli indizi”.

Cinquant’anni dopo non solo abbiamo le prove, ma pure le sentenze.

Colpire Bologna voleva dire colpire la possibilità che l’Italia determinasse democraticamente il proprio futuro, la possibilità dei cittadini di scegliere liberamente chi potesse e dovesse governarli.

Gli attentati, non solo quello della Stazione di Bologna – ma soprattutto quello – dovevano generare terrore, oltre all’orrore. La paura di essere colpiti in qualunque luogo, in qualunque momento. Doveva convincere i cittadini a cedere porzioni di libertà in cambio di una maggiore sicurezza.

In questa chiave va anche letta la Strage, il tentativo attraverso la violenza di allontanarci dalla piena democrazia, pregiudicando il funzionamento delle istituzioni repubblicane nate dalle ceneri del fascismo.

La sentenza sui mandanti della Strage del 2 agosto indica con forza questa verità.

“La strage di Bologna ha avuto dei `mandanti´ tra i soggetti indicati nel capo d’imputazione, non una generica indicazione concettuale, ma nomi e cognomi nei confronti dei quali il quadro indiziario è talmente corposo da giustificare l’assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica internazionale da quelle figure, quale contesto operativo della strage di Bologna”.

“Anche coloro che si resero verosimilmente mandanti e/o finanziatori della strage, pur senza appartenere in modo diretto a gruppi neofascisti – continua la Corte-, condividevano i predetti obiettivi antidemocratici di fondo ed ambivano all’instaurazione di uno Stato autoritario, nell’ambito del quale fosse sostanzialmente impedito l’accesso alla politica delle masse”.

La conferma in appello della sentenza Mandanti non solo ci avvicina al riconoscimento definitivo delle responsabilità di Paolo Bellini, ma cristallizza e conferma un quadro probatorio solido, costruito con un lavoro minuzioso della Procura e degli avvocati di parte civile, e dell’associazione dei familiari delle vittime – che ancora una volta voglio tutti pubblicamente ringraziare da questo palco, per il loro coraggio, per la loro forte dedizione. Magistrati, avvocati, forze dell’ordine e familiari delle vittime.

Un lavoro straordinario, che li ha visti attraverso gli anni lavorare attivamente per ricostruire responsabilità e verità. Una ricostruzione complessa perché arriva al riconoscimento giudiziario a 44 anni dalla Strage.

Ora, però, tocca al paese. Ora tocca all’Italia, questa straordinaria e bellissima nazione che grazie al riscatto della lotta di liberazione possiamo chiamare dignitosamente patria e Repubblica Democratica.

Tocca all’Italia riconoscere quanto è successo alla Stazione di Bologna. È arrivato il momento di fare i conti con la storia recente del nostro paese. Scrivere della bomba e delle sentenze dei Tribunali nei libri di testo e nei manuali di storia. È arrivato il momento, come è arrivato per il Cile, per l’Argentina, per la Spagna e per la Grecia.

È arrivato il momento di riconoscere l’antifascismo come ragione comune e fondativa del nostro patrimonio di valori, respingendo senza mezzi termini il tentativo ormai palese ad ogni livello istituzionale di superarne la funzione storica, politica e giuridica.

L’Italia è e deve rimanere antifascista, indipendente, unita e indivisibile, un paese europeo e mediterraneo, un paese accogliente e antirazzista, fondato su principi di non violenza e di pace, di libertà e di democrazia.

Cari e care bolognesi, non ci sono battaglie per la giustizia e per la verità che non possono essere vinte.

Ora spetta a noi, spetta a noi: le italiane e gli italiani. Rimettiamoci in cammino. Ricordiamocelo chiaramente quando torneremo a casa tra poco, NOI abbiamo visto gli occhi che hanno visto. Siamo NOI ora i testimoni. Spetta a noi”.

 

Quello del presidente dell’Associazione tra i famigliari delle vittime, Paolo Bolognesi

“‘Occorre un’esplosione da cui non escano che fantasmi’.
Il 2 agosto 1980, alle ore 10.25 un ordigno ad alto potenziale esplose nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna.
Lo scoppio fu violentissimo.
Il bilancio finale di questa strage, la più efferata compiuta nell’Italia repubblicana, fu di 85 morti e oltre 200 feriti.
Il 2 agosto 1980 era il primo sabato d’agosto, un giorno spensierato per milioni di Italiani che si apprestavano a partire per le vacanze; erano appena state depositate le motivazioni del rinvio a giudizio di Mario Tuti e di altri neofascisti per la strage del treno Italicus, di appena 6 anni prima, sempre compiuta nel primo fine settimana di agosto, sempre diretta contro la nostra città.
Nel documento ‘Linea politica’ sequestrato il 2 agosto 1980 a Carlo Battaglia referente di Paolo Signorelli a Latina, si leggeva:
‘Bisogna arrivare al punto che i treni e le strade siano insicuri, bisogna ripristinare il terrore e la paralisi.
È necessario provocare la disintegrazione del sistema. Occorre un’esplosione da cui non escano che fantasmi’.
Questo volevano i fascisti. E non solo i fascisti.

I risultati del processo d’appello a Gilberto Cavallini, accusato di essere il quarto esecutore materiale del massacro del 2 agosto, confermano l’esistenza di una fitta rete di collusioni tra estrema destra, loggia massonica P2 e Servizi Segreti, con coperture ad altissimi livelli, che hanno fatto sì che attendessimo oltre 40 anni per processare i mandanti della strage del 2 agosto e non solo.

Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto:
SAPPIAMO LA VERITÀ
E ABBIAMO LE PROVE

È bene chiarire una volta per tutte che la strage è stata ideata e finanziata dai vertici della loggia massonica P2. La sua esecuzione è stata agevolata e coperta dai vertici dei Servizi Segreti italiani ed è stata eseguita da terroristi fascisti.
La sentenza d’Appello del processo ai mandanti, che vede come imputato principale Paolo Bellini appartenente ad Avanguardia Nazionale ha certificato questa impostazione: sono emerse le prove dei rapporti tra Servizi Segreti e NAR, in particolare Cavallini e Fioravanti, e mettono in luce come sia i Servizi Segreti sia il capo della loggia massonica P2 Licio Gelli sapevano quanto stava per accadere ed erano coinvolti direttamente nella pianificazione della strage. È provato poi che i neofascisti dei NAR non erano un gruppo di romantici e sprovveduti spontaneisti, come ebbe a sostenere il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ma una formazione terroristica militarmente preparata e interna alla strategia stragista.

Eppure, resta spesso il silenzio. Sappiamo la verità e abbiamo le prove, è stato confermato nei processi e nelle sentenze, ma, ad ogni ricorrenza, puntuali, arrivano polemiche pretestuose volte a condizionare la verità, gli stessi processi e l’opinione pubblica.
Il 5 agosto 2023 Marcello De Angelis, portavoce del Presidente della Regione Lazio, ha pubblicato una dichiarazione in cui si diceva certo dell’innocenza di Mambro, Fioravanti e Cavallini per la strage di Bologna aggiungendo che magistrati e istituzioni lo sanno e mentono sapendo di mentire.
De Angelis ha presto ritrattato parlando di semplici dubbi, ma la sua dichiarazione ignobile e falsa, è comunque arrivata come messaggio forte e chiaro alle orecchie di chi, camerata di ieri, oggi siede su poltrone importanti.
De Angelis infatti, oltre che pregiudicato per banda armata, già in passato aveva preso le difese dei fascisti imputati per la strage di piazza della Loggia.
È anche cognato di Luigi Ciavardini, fratello di sua moglie, la quale aveva messo in piedi un business milionario attraverso una serie di cooperative a cui veniva affidato il reinserimento dei detenuti privilegiando ex eversori fascisti tra cui figurava anche Gilberto Cavallini; per quest’ultimo fu fondata una sede ad hoc in quel di Terni permettendogli così di lavorare all’esterno del carcere.
La scoperta di una sorta di operazione di soccorso dell’eversione fascista ha portato alla chiusura per decreto di alcune di queste cooperative, perché operavano contro la legge, ma si può stare certi che i vecchi sodali dei neofascisti non abbandoneranno gli esecutori materiali della strage di Bologna e continueranno a premiarli e a coprirli per il loro silenzio su chi armò le loro mani.
Quest’anno Ciavardini è stato ulteriormente condannato a 3 anni e 4 mesi per falsa testimonianza aggravata perché commessa nell’ambito delle indagini sulla strage di Bologna: a 44 anni di distanza, continua a rifiutarsi di rivelare chi lo aiutò durante la latitanza e in particolare chi lo ospitò a Treviso e chi lo curò dopo l’attentato in cui fu ucciso l’agente Evangelista.

Proprio nel momento in cui la commissione antimafia deve far luce su presenze inquietanti di personaggi coinvolti a vario titolo con l’eversione fascista e nelle stragi del ’92 – ’93, il Governo nomina presidente della commissione stessa l’Onorevole Chiara Colosimo. La foto che la ritrae in posa non proprio istituzionale con il terrorista stragista Ciavardini, diffusa e discussa ampiamente su giornali e televisioni, ci induce a ritenere quella nomina politicamente inopportuna al massimo livello; ma, per questi manovali del terrore, gli anni comminati dalle Corti di giustizia non sono un problema: basti pensare ai nove e otto ergastoli meritati da Mambro e Fioravanti, che nella pratica si sono trasformati in due mesi scontati per ogni morte causata.
E questo senza pentirsi, senza dissociarsi, senza mai minimamente collaborare con la giustizia. È bastato non parlare. Evidentemente, il loro silenzio vale oro, ancora oggi.

In questo contesto non può inoltre passare sotto silenzio il recente attacco alla Magistratura italiana attraverso un rinnovato progetto che fu della loggia massonica P2 di separazione delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti.
Una magistratura autonoma e indipendente secondo l’attuale quadro costituzionale è invece una garanzia per tutti i cittadini e riteniamo dia forza anche alla ricerca della verità. Respingiamo dunque i progetti di normalizzazione che nascondono sotto la parola ‘riforma’ una pericolosa aspirazione politica di burocratizzazione della giustizia e di controllo dell’esercizio dell’azione penale da parte del Potere esecutivo. L’equilibrio fra i poteri dello Stato è garanzia in primo luogo per i cittadini e da questo luogo noi vigileremo sempre sul rispetto dei valori democratici e antifascisti.

La strage di Bologna è stata la ferita più profonda per numero di morti e per ferocia della storia italiana. Nessun Paese in Europa ha visto una strage provocata dal terrorismo interno di questa portata.
Le radici di quell’attentato, come stanno confermando anche le ultime due sentenze d’appello nei processi verso Gilberto Cavallini e Paolo Bellini, affondano nella storia del postfascismo italiano, in quelle organizzazioni nate dal Movimento Sociale Italiano negli anni Cinquanta: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di Governo.
Per questa parte politica, lo stragismo e in particolare la strage di Bologna, rappresentano una macchia da togliere a tutti i costi dalla loro storia, da negare oltre ogni evidenza.
Lo sapeva bene Stefano Delle Chiaie, che per questo aveva ideato e perseguito il progetto “Centro neutro”: una vera e propria strategia di guerra psicologica, con l’obiettivo di creare un fronte parlamentare di opinione pubblica (attraverso i media) e giudiziario (attraverso alcuni avvocati) per cancellare la colpa della Destra nelle stragi. La strategia della tensione, dalla strage di Piazza Fontana a quella della stazione di Bologna, doveva essere attribuita esclusivamente ad apparati dello Stato più o meno deviati e doveva apparire in realtà come un complotto ordito contro la destra neofascista.
Il Centro Neutro doveva convincere politici, giornalisti e formatori di opinione non legati alla destra, sull’innocenza del neofascismo eversivo rispetto alle stragi.
Non stupisce, quindi, che ciclicamente vengano somministrate all’opinione pubblica le più strampalate panzane: dopo la pista teutonica, quella internazionale, quella libica e quella palestinese – ormai riscontrate come palesemente insostenibili – è stata la volta, nel novembre scorso, della proposizione di una estemporanea pista israeliana, in una sorta di grottesca ‘par condicio’ magari per approfittare opportunisticamente dei drammatici conflitti in corso a livello internazionale.
Falliti miseramente i depistaggi processuali, i trabocchetti procedurali, insistono con i depistaggi mediatici, ma risulta sempre più chiara a tutti che i negazionisti della matrice fascista della strage di Bologna si distinguono in due sole categorie: i prezzolati cialtroni e coloro che sono completamente, colpevolmente ignoranti. Sono ormai quindici le sentenze passate in giudicato e le ulteriori risultanze processuali vanno tutte nella medesima direzione: la responsabilità dei Servizi Segreti, della Loggia Massonica P2, dei terroristi fascisti per il massacro del 2 agosto 1980.
Questa verità fa ancora paura ai nostri attuali governanti, e allora si mette in campo la strategia più disperata, ma anche la più subdola e viscida: quella del silenzio. L’attuale presidente del consiglio, Onorevole Giorgia Meloni, in occasione del 43°anniversario parlò di terrorismo, di vigliaccheria e di ferocia, ma si guardò bene dal nominare la matrice fascista. Sui processi ancora in corso per la strage di Bologna si tace: stampa e mass media sono silenti o trattano sbrigativamente la questione come un fatto locale. Così come nel nostro Paese non si deve parlare della Resistenza, dell’antifascismo, dello stragismo fascista, di quello che è accaduto in questa piazza, in questa stazione, in questa città, 44 anni fa. Questa si chiama censura.

E allora qui, oggi, contro la strategia della censura vogliamo leggere un breve estratto dal monologo che lo scrittore Antonio Scurati avrebbe dovuto pronunciare alla Rai in occasione del 25 Aprile scorso, ma gli è stato impedito: ‘il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neofascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via’.
E noi vogliamo dire una cosa forte e chiara: il tentativo di riscrivere la storia repubblicana cancellando le responsabilità del mondo neofascista nello stragismo non passerà, troverà la nostra ferma opposizione.
Milan Kundera ha scritto: ‘la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio’.
Eppure sembra quasi un disturbo, un’anomalia che le vittime e i loro familiari si organizzino e ricerchino la verità con i mezzi a loro disposizione!
Occorrerebbe spiegare alle cittadine e ai cittadini e ai familiari delle vittime, perché nell’ambito del cosiddetto giusto processo, art. 111 della Costituzione, vengono, giustamente, tutelati i diritti del presunto innocente e non vengono trattati i diritti delle vittime.
Sappiano gli indifferenti o i neo garantisti cui piace ignorare la tutela delle vittime che noi saremo sempre qui a difendere le ragioni di chi ha subito gli effetti di reati di enorme gravità.

Quarantatré anni fa noi parenti delle vittime del 2 agosto ’80 ci siamo costituiti in associazione per ottenere giustizia e verità. Il nostro cammino continua e la nostra battaglia è ancora in corso, ma tutto questo non avrebbe senso se non avesse uno sguardo orientato verso il futuro, verso le giovani generazioni a cui trasmettere la conoscenza e la memoria sui fatti della nostra storia, della storia del nostro Paese. Per questo proseguono le attività con le scuole, con il coordinamento prezioso della storica Cinzia Venturoli. Come spieghiamo sempre ai ragazzi, ribadire le responsabilità penali, civili e morali di chi attuò e volle la strage del 2 agosto ’80 non equivale a evocare intenti persecutori o ingiustificabili quanto inutili volontà di vendetta, bensì significa restituire una dignità autentica a tutti; ai morti, in primo luogo, ma anche agli stessi autori di quelle azioni, che solo nella verità potrebbero davvero ”liberarsi” e, non da ultimo, all’intera popolazione italiana che di quegli atti violenti è stata comunque, a sua volta, vittima indiretta e che ancora, in parte, ne paga lo scotto.
A quella grande parte di popolazione che ogni anno si ritrova al nostro fianco, in carne e ossa o con il cuore, che da 44 anni non ci fa sentire soli, ci sostiene, e non ha mai permesso che il dolore fosse più forte della gratitudine, vogliamo dire ancora una volta: Grazie!”

 

La dichiarazione del Presidente Mattarella 

“I morti, le immagini della Stazione di Bologna devastata, l’attacco feroce alla convivenza degli italiani, hanno impresso un segno indelebile, il 2 agosto 1980, nella identità della Repubblica e nella coscienza del popolo italiano.

La memoria non è soltanto un dovere ma è l’espressione consapevole di quella cittadinanza espressa nei valori costituzionali che la violenza terroristica voleva colpire e abbattere.

Con profondi sentimenti di solidarietà, quarantaquattro anni dopo l’attentato, ci uniamo ai familiari delle vittime e alla Città di Bologna, teatro di una spietata strategia eversiva neofascista nutrita di complicità annidate in consorterie sovversive che hanno tentato di aggredire la libertà conquistata dagli italiani.

A Bologna si consumò uno degli eventi più tragici della nostra storia repubblicana.

Una ferita insanabile, monito permanente da consegnare alle giovani generazioni unitamente ai valori della risposta democratica della nostra Patria, che hanno consentito il riscatto e, nell’unità della nostra comunità, la salvaguardia del bene comune”.

 

















Ultime notizie