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9° rapporto dell’Osservatorio del lavoro e dell’economia in Emilia-Romagna a cura dell’Ires CGIL Emilia-Romagna

Una  regione per molti aspetti “forte” come l’Emilia-Romagna, vive oggi una fase di drammatica incertezza. Alla transizione tecnologica e a quella ecologica, agli interrogativi che pone l’evoluzione demografica e l’invecchiamento della popolazione, si sono aggiunti la crisi generata dalla pandemia, quella energetica e infine lo scoppio di una guerra nel cuore dell’Europa. È il quadro che emerge dalla lettura del 9° rapporto dell’Osservatorio del lavoro e dell’economia in Emilia-Romagna a cura dell’Ires regionale presentato questa mattina dal segretario generale della CGIL Emilia-Romagna Massimo Bussandri e dal presidente di Ires Emilia-Romagna Giuliano Guietti, in un dibattito che ha coinvolto anche l’assessore regionale al Bilancio Paolo Calvano, il capo di Gabinetto della Città metropolitana di Bologna Sergio Lo Giudice e la docente universitaria, nonché membro del comitato scientifico di Legambiente Emilia-Romagna, Alessandra Bonoli.

Dopo la grave caduta del 2020, la crescita nel 2021 è stata significativa (+7,3%), trainata dall’eccezionale ripresa dell’export, che ha segnato l’incremento più alto degli ultimi vent’anni (+16,9%), e dal buon andamento di alcuni settori chiave dell’industria manifatturiera regionale. Contributi decisivi sono giunti anche dal settore delle costruzioni e dal turismo, in netta risaluta dopo i contraccolpi del 2020. Grazie alla spinta delle risorse messe a disposizione da Next Generation UE, anche gli investimenti registrano un aumento sconosciuto da tempo (+19,8%).

Meno importante è stata la crescita degli occupati, che ha scalfito in minima parte la riduzione di quasi 60 mila unità registrata nel 2020 e il corrispondente aumento degli inattivi (+64 mila). La risalita delle unità lavorative equivalenti (+7,7%), che pur si è registrata nel 2021, è l’effetto soprattutto di un minor ricorso alla cassa integrazione. Così come il calo dei disoccupati rispetto al 2020 (-19,7%), non può essere considerato un segnale del tutto positivo, in quanto accompagnato da una crescita senza precedenti degli inattivi e concentrato sulla componente maschile, la stessa che risulta più marcatamente interessata dalla ripresa occupazionale (+0,9% a fronte del +0,2% di quella femminile). In regione il 75% delle posizioni di lavoro dipendente in più create nel 2021 sono a tempo determinato.  C’è poi il caso delle dimissioni volontarie, diminuite nel 2020 (-2,6%) e poi esplose nel 2021 (+39,7%) soprattutto tra gli uomini (29 mila su 48 mila totali). Considerando solo le dimissioni a tempo indeterminato, è l’amministrazione pubblica (sanità, istruzione e assistenza sociale) a segnare l’aumento più alto negli anni della pandemia (+79%). “È evidente come le dinamiche sin qui descritte abbiano già avuto effetti negativi sul reddito, sul potere d’acquisto e sulla spesa per consumo delle famiglie, soprattutto negli strati di popolazione che erano già a rischio: le fasce più giovani della forza lavoro, i lavoratori a termine, i cittadini stranieri e mediamente più le donne degli uomini”, sottolinea Guietti.

All’incertezza di questa fase storica è connesso anche l’andamento demografico regionale, che registra nell’ultimo biennio un calo della popolazione. Frutto di un aumento dei decessi a causa della pandemia, ma anche del proseguimento del calo delle nascite e della insufficienza ormai del saldo migratorio a bilanciare questi andamenti. Dal punto di vista dell’inquinamento ambientale il 2021 in Emilia-Romagna è stato un po’ meno critico rispetto all’anno precedente, che aveva risentito non tanto maggiori emissioni locali di sostanze inquinanti ma degli effetti di fenomeni atmosferici conseguenti alla ormai strutturale alterazione del clima a livello mondiale. Questo conferma che non si può più affrontare il tema dell’emissione di sostanze direttamente inquinanti separatamente da quello della messa in atto di azioni climalteranti (non solo emissioni ma anche il crescente consumo di suolo o l’ancora troppo elevata produzione di rifiuti urbani).

“È chiaro che una lunga fase storica si sta chiudendo, molto meno chiaro è il futuro che ci attende. A livello nazionale le vertenze principali sono tre: la questione salariale, la lotta alla precarietà e la difesa del sistema sanitario pubblico. Quest’ultimo punto è comune alle priorità che invece stiamo affrontando in Emilia-Romagna, coerenti tra l’altro con quelle previste nel Patto per il lavoro e il clima, che include anche la transizione energetica, la mobilità sostenibile, il welfare, la formazione e il lavoro di qualità, l’integrazione della popolazione migrante, gli investimenti in ricerca e sviluppo”, sottolinea Bussandri. “Serve quindi ridare un nuovo slancio al Patto, che non va cambiato di una virgola, per renderlo maggiormente operativo nella quotidianità, così da evitare che gli eventi internazionali e nazionali non mettano troppo sotto stress quanto abbiamo abbiamo scritto e condiviso nel dicembre del 2020”, conclude il segretario generale della CGIL Emilia-Romagna.

 

 

















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