Chi volesse avere un’idea di come sarà, dopo i lavori di restauro attualmente in corso, il Duomo di San Giorgio non ha altro da fare che ‘affacciarsi’ sul sagrato che da’ su piazza Martiri Partigiani. Sul telone, al riparo del quale lavorando le squadre che stanno provvedendo al restyling della facciata, è stata infatti issata un’immagine, a grandezza naturale, della facciata post-restauro. E l’effetto scenico è notevole.
Brevi cenni storici per capire il problema della facciata
Elevata nel 1629 a Collegiata, la chiesa di San Giorgio Martire, già disposta liturgicamente in mezzo ad un borgo poi in parte demolito, risale in realtà al XIV° secolo, ma modificata ed ampliata nella seconda metà del ’500. Parti di questo edificio sono state individuate nel corso delle recenti indagini.
L’assetto oggi visibile è frutto, invece, dell’ampia ristrutturazione promossa a metà del sec. XVIII dal duca Francesco III d’Este e dalla Comunità di Sassuolo elevata in quegli anni a Nobilterra (1753).
Fu così che nel 1754 del progetto per l’ampliamento della chiesa venne incaricato l’architetto/scenografo ducale Pietro Bezzi, già impegnato nel Palazzo ducale e nel grande parco, ma anche nella riconfigurazione dell’attuale Piazza Garibaldi. L’affidamento e soprattutto i primi progetti suscitarono fin dall’inizio proteste per i costi preventivati e per le trasformazioni pensate. Infatti in un primo momento gli obiettivi dell’intervento erano più simili ad un ammodernamento dello spazio interno che ad un esteso rifacimento sia dell’intero corpo di facciata sia degli interni. Poi le richieste aumentarono tanto da determinare varianti su varianti. Così dopo tentennamenti e modifiche, il cantiere prende finalmente avvio, il 26 maggio 1755 cioè un anno dopo la chiusura della vecchia chiesa. Cioè 266 anni fa!
Ma a cantiere aperto e a demolizioni in corso vennero richieste altre importanti modifiche affidate però agli architetti civili Domenico Lucenti e Giovanni Battista Massari impegnati negli stessi anni nell’ampia opera di riforma edilizia ed urbana di Modena Capitale. L’opera così viene alla fine a contraddistinguersi per la nuova facciata ma soprattutto per la monumentale decorazione plastica interna affidata tra il 1759 e il 1761 al bolognese Antonio Schiassi con l’aiuto di Giuseppe Casalgrandi.
Ma i costi dei lavori sforano ogni più rosea previsione e suscitano ulteriori, accesissime, polemiche.
Nel 1762, dopo cioè ben sette anni, la chiesa viene finalmente aperta e solennemente officiata con musiche, cori ed una foltissima partecipazione di religiosi e di fedeli.
Ma la nuova facciata non è terminata come previsto dal progetto. Il denaro era finito!
Questa, eseguita in laterizio utilizzando anche pezzi speciali realizzati sulla base del progetto del Bezzi, si presentava incompleta nelle finiture e in numerose parti specie laddove era previsto l’inserimento di cornici e rilievi in pietra. L’opera di completamento fu eseguita solamente più tardi, negli anni ’80, cioè dopo 18 anni, ad opera del pittore/scenografo di corte Lodovico Bosellini e della sua equipe che stava contemporaneamente lavorando alla decorazione del Casino del Belvedere di San Michele.
Per contenerne i costi l’ornamentazione della facciata, che in origine prevista in parte in pietra lavorata a rilievo e in parte in intonaco tinteggiato a diversi colori, viene ridotta a decorazione unicamente pittorica che l’assenza di manutenzione hanno di fatto quasi scomparire tale da dare l’errata impressione, all’osservatore di oggi, che la facciata fosse fin dall’origine tutta in laterizio a vista.
Oggi di quell’assetto multicolore rimane qualche lacerto fra le paraste, il portale e le finestre laterali.