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Modena omaggia Lodovico Castelvetro a 450 anni dalla morte

Modena ricorda Lodovico Castelvetro, intellettuale nato in città nel 1505 e morto a Chiavenna (oggi in provincia di Sondrio, ma allora parte del Cantone svizzero dei Grigioni), il 21 febbraio 1571. A 450 anni dalla morte, sabato 20 febbraio alle 11, nel lapidario Estense a piano terra di Palazzo dei Musei in largo Sant’Agostino, sarà deposta una cesta di fiori al monumento a lui dedicato.

Alla sobria cerimonia, nel rispetto delle misure anti Covid-19, prenderà parte l’assessore alla Cultura Andrea Bortolamasi insieme con Salvatore Puliatti per l’Accademia nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena, Angelo Spaggiari per la Deputazione di Storia Patria per le antiche provincie modenesi, e Giorgio Montecchi per il Comitato di Modena dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano.
Il Castelvetro, filologo e critico letterario considerato il massimo rappresentante dell’aristotelismo letterario cinquecentesco, al momento della morte era rientrato da poche settimane da Vienna, capitale dell’Impero, dove aveva dato alle stampe la “Poetica d’Aristotele vulgarizzata, et sposta per Lodovico Castelvetro”.
Da un decennio si muoveva fra Svizzera, Francia e Austria: da quando una sentenza dell’Inquisizione del 26 novembre 1560, l’aveva scomunicato dichiarandolo “eretico fuggitivo e impenitente”, costringendolo alla fuga da Modena e dall’Italia. Accusato per aver tradotto e diffuso opere di autori della Riforma luterana facendo conoscere in italiano la dottrina protestante, Lodovico Castelvetro, che sopravvisse alla stagione dei processi per eresia, è considerato sostenitore ante litteram dell’indipendenza dell’autorità civile da quella ecclesiastica in tempi in cui quel principio era lontano dall’essere condiviso.
Fu dopo le disposizioni sulla libertà di culto entrate in vigore con l’Unità d’Italia, che il Comune di Modena acquistò nel 1874 il monumento a Lodovico Castelvetro innalzato a Chiavenna nel giardino del palazzo in cui era deceduto. Il monumento, su proposta di Giuseppe Campori, presidente della Deputazione di Storia Patria, fu innalzato nel cortile del Palazzo dei Musei dove è tutt’ora.

















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