La categoria dei pubblici esercizi – bar, ristoranti, locali pubblici, ecc. – è disperata e senza più ossigeno. La nascita anche di nuove forme di aggregazione, a volte un po’ posticce, che hanno incrociato la disperazione di tanti è un fenomeno che mette in evidenza questo fortissimo disagio.
Confcommercio e la sua federazione dei pubblici esercizi, FIPE, sono impegnati fin dall’inizio di questo tragico momento storico nel confronto continuo, serrato, duro e determinato con tutti i livelli di governo, ma sempre nel rispetto delle normative. I risultati, seppure sicuramente insufficienti rispetto agli enormi bisogni di tanti imprenditori e lavoratori, sono concreti ed ogni imprenditore dà il proprio giudizio rapportato alle sensibilità, alle aspettative e soprattutto ai bisogni e ai danni lamentati e subiti. Giudizio che va rispettato, anche nella diffusa e comprensibile insoddisfazione che FIPE ha raccolto tra i propri Associati.
Desidero dare anche un po’ di luce, vale a dire di certezza e di prospettiva, ai nostri colleghi, facendo un succinto riepilogo della situazione dal generale, l’Europa, al particolare, il nostro territorio comunale e provinciale.
Bar e ristoranti sono chiusi in tutta Europa: le norme sono ovunque più o meno le stesse che da noi. Anche il valore dei supporti economici garantiti in Italia alle singole imprese è analogo a quello dei nostri partner europei e la puntualità nell’erogazione, tolta la Germania col 75% del fatturato arrivato subito, registra in media che il 35% dei pubblici esercizi non ha ricevuto quanto atteso.
A livello di Governo italiano cosa abbiamo ottenuto. Le cose più importanti sono i contributi a fondo perduto o ristori (anche dalla Regione Emilia Romagna), i crediti d’imposta per i canoni di locazione (e altre spese come sanificazione e dispositivi di protezione, ecc.), la sospensione degli sfratti, il prolungamento degli strumenti di protezione sociale (estensione cassa integrazione e altre misure di integrazione salariale; estensione delle misure alle microimpresse, ecc.), le moratorie fiscali, contributive e creditizie (sospensione mutui; esenzioni e sospensioni tributi e contributi IVA, IMU, IRAP, INPS, tassa di occupazione del suolo pubblico; ecc.), garanzia dello Stato e abbattimento tassi di interesse sui prestiti. C’è molto altro ancora ma è inutile dilungarsi.
Molto ancora occorre fare e il sistema FIPE-Confcommercio ci sta lavorando con grande energia. Nel 2020 sui ristori è stata messa una cifra di 2 miliardi 490 milioni di euro per 300 mila imprese: bisogna per lo meno raddoppiare questa cifra. Sugli affitti occorre prorogare il credito d’imposta e realizzare un’operazione a costo zero con incentivi fiscali ai proprietari delle mura che accettano di ridurre gli affitti almeno del 30%. Serve prolungare la cassa integrazione in tempi certi e non in maniera casuale. I ristori devono essere calcolati sul differenziale di fatturato anno 2019-2020, le procedure per accedervi devono essere snelle e i tempi di erogazione devono essere rapidi. Infine ma fondamentale: tutte le politiche di contenimento devono essere definite con sufficiente programmazione.
Non dimentichiamo anche l’impegno della Federazione in ambiti diversi come l’attivazione di un servizio di supporto psicologico per i titolari di pubblici esercizi in difficoltà o le iniziative nazionali e locali per incentivare i consumi presso le attività del territorio.
Il dialogo con l’Amministrazione locale, dobbiamo dirlo, è molto complesso. L’aumento delle distese è avvenuto solo in modo parziale con una bassa percentuale sul totale delle attività: questo ha generato gravi scompensi tra chi poteva usufruire di una piazza davanti e chi doveva accontentarsi di non potere aumentare la propria distesa. Sulle distese occorre ricominciare subito a ragionare ed evitare gli errori della scorsa stagione (ad esempio occorre chiudere alcune strade, almeno nel weekend, per agevolare lo spazio; incentivare la realizzazione di distese; ecc.). Il bando street tutor (i controllori pagati dai singoli esercizi con la promessa di un bando per risarcire) non è mai stato fatto. La tassa rifiuti, data l’inattività dei pubblici esercizi, dovrebbe essere sospesa o ridotta ma, al momento, abbiamo ottenuto solo un rimpallo di responsabilità tra Amministrazione Comunale e Iren: si trovino, si parlino e prendano una decisione.
In conclusione, siamo di fronte a una pandemia tragica e i pubblici esercizi stanno svolgendo un lavoro di grande responsabilità. Guardiamo all’evoluzione del vaccino e della cura come unica vera soluzione per tornare alla normalità. Non possiamo però aprire e chiudere a piacimento: servono maggiore programmazione e coinvolgimento da parte del Governo, della Regione e delle Amministrazioni locali. Non è questo il modo di gestire l’informazione nè le modalità di organizzazione del lavoro. E’ del tutto evidente che non sono i pubblici esercizi i luoghi del contagio ma vengono visti come uno strumento per spegnere le città e diminuire i movimenti. Non possono essere però solo la ristorazione e l’intrattenimento a pagare il costo economico di questo disastro pandemico.
Prendiamo invece in modo chiaro le distanze da qualsiasi manifestazione che va contro la legge (ad esempio da chi incita ad aprire comunque i locali) e dalle promesse di dare assistenza legale gratuita in caso di sanzioni: queste manifestazioni lasciano il tempo che trovano e, in più, vanno contro normative a cui nessun legale può opporsi.
Infine un elemento che tanti forse sottovalutano: avere informazioni e assistenza adeguate per gestire l’attività, decidere come comportarsi, accedere alle misure di sostegno ecc. è molto complicato per un’impresa. Le imprese associate a Confcommercio, o alle altre organizzazioni di rappresentanza, hanno potuto essere supportate in questo senso. Le altre purtroppo hanno certamente incontrato difficoltà ancora più grandi; forse anche insormontabili.