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Ferie 2020, indagine CNA: per la metà delle imprese diminuiranno. Per quasi il 94% sarà un autunno preoccupante

Bisognerà attendere il post ferie per conoscere quanto sarà pesante la crisi economica determinata dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria. Quella che si sta profilando, infatti, è un’onda lunga di cui ancora non si è in grado di valutare la portata. Che di certo non sarà positiva, come certificano i dati di un’indagine di CNA che ha coinvolto oltre 200 imprese concentrate (per il 70%) nella fascia 1-15 addetti. Un questionario iniziato con una veloce occhiata al pregresso vale a dire ai mesi scorsi, durante il quale il 51% delle imprese ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali.

LE FERIE. Per il 50% delle imprese lo stop forzato ha comunque determinato un accumulo di ordini che sarà smaltito riducendo il periodo di ferie rispetto all’anno scorso. Per il 39,7% le ferie rimarranno uguali al 2019, mentre per il 10,3% le ferie addirittura aumenteranno, per compensare una domanda evidentemente ancora inferiore alle attese.

Il 60% delle imprese, in ogni caso, osserverà la tradizionale chiusura agostana: una settimana per il 20%, due settimane per il 19% e tre settimane per il 13%.

Peraltro, la correlazione export-riduzione delle ferie è meno forte ci ciò che si sarebbe potuto pensare: Solo un’azienda su tre di quelle che hanno dichiarato di esportare (il 12,8% del totale), farà meno ferie del 2019.

Tutto questo ha un forte impatto sulla disoccupazione: una sola imprese tra quelle che hanno risposto al questionario ha dichiarato che effettuerà assunzioni a tempo determinato per affrontare il periodo estivo.

 

LE COMMESSE POST VACANZE. Un’incertezza alimentata dal pessimismo è, invece, quella che ritroviamo nelle previsioni per l’autunno. Sono appena l’1,5% le imprese che prevedono di avere ordinativi in crescita, il 19,6% quelle che pensano ad una certa stabilità delle commesse, il 13,2% quelle che non sono in grado di fare previsioni. Il pessimismo è rappresentato da quel 65,7% che parlano di un autunno in calo, in forte calo per il un’azienda su tre (per il 5,9% con una riduzione di oltre il 50% degli ordini, 27,9% con un rosso del 25%).

LE CONSEGUENZE SUL LAVORO. Anche in questo caso le conseguenze sull’occupazione saranno concrete: l’11,8% degli intervistati dà per certo un ricorso alla Cassa Integrazione da settembre in poi, il 13,8% lo ritiene probabile, il 24,4% non azzarda previsioni mentre il 50% non ricorrerà agli ammortizzatori.

STOP AD INVESTIMENTI ED ASSUNZIONI. Di certo c’è che, in conseguenza della crisi, il 55,9% delle aziende ha dichiarato di aver accantonato i progetti di investimento o di nuove assunzioni, anche se nelle ultime settimane Finimpresa, società del credito di CNA, rileva un aumento delle richieste legate alla “nuova Sabatini”, incentivo finalizzato a sostenere proprio gli investimenti.

IL “SENTIMENT”.  I numeri visti sin qui anticipano l’elevato numero di risposte negative alla domanda finale dell’indagine: il grado di preoccupazione per le conseguenze di questa crisi. Ancora il 55,9% si dice molto preoccupato, il 37,7% abbastanza, mentre solo il 3,5% di dice ottimista e appena il 2,9% non esprime un giudizio. Come a dire che l’unica cosa certa è un clima poco incoraggiante.

COSA FARE.  Prevedere le dinamiche dei prossimi mesi, di fronte a tante, troppe incognite è davvero difficile – commenta Alberto Papotti, segretario Provinciale di CNA – l’impressione è che molte imprese siano alla finestra in attesa degli eventi. E se questi fossero negativi, molte aziende, quelle finanziariamente più deboli o che hanno problemi di passaggi generazionali – potrebbero chiudere definitivamente. Per questo sono necessarie azioni che contribuiscano ad alimentare la liquidità delle imprese, a cominciare dalla Cassa Integrazione, che va alimentata migliorandone anche l’efficienza: è inaccettabile che a metà luglio in molti casi non siano ancora state erogate le provvidenze di marzo”.

Secondo CNA sono inoltre indispensabili azioni in grado di alimentare la spesa per i consumi (ad esempio, incentivi per la rottamazione di automobili ed elettrodomestici a bassa efficienza energetica) e, soprattutto, gli investimenti. L’Italia è uno dei Paesi a maggior tasso di risparmio, per questo gli incentivi ad interventi di ristrutturazione come il superbonus vanno nella giusta direzione. Siamo, però, ancora in attesa dei decreti attuativi e la crisi non aspetta. Allo stesso modo, servono anche investimenti pubblici, compresi quelli di piccolo cabotaggio, da mettere in pratica coinvolgendo le imprese locali.

“Queste azioni – conclude Papotti – possono innescare un volano importante, sul mercato interno. In attesa di quegli interventi strutturali – la riforma del fisco e la sburocratizzazione – i cui ritardi hanno amplificato le conseguenze dell’emergenza sanitaria”.

 

 

















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