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Droga e prostituzione: gli esiti dell’operazione “Fossalta”

Nell’ambito di una faida nella comunità albanese soggiornante nel territorio di Modena , come noto all’alba della mattinata di oggi, 4 giugno 2019, la Squadra Mobile di Modena e quella di Reggio Emilia hanno eseguito ordinanze di misure cautelari emesse dal GIP del Tribunale di Modena, Dott.ssa Pirillo, nei confronti di dodici cittadini di nazionalità albanese ritenuti responsabili, a vario titolo, di una serie di reati che vanno dal tentato omicidio, al favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, alla cessione di sostanze stupefacenti, in particolare nella zona est di Modena.

L’indagine ha avuto origine dalla sparatoria avvenuta in via Emilia Est, località Fossalta, il 5 aprile 2018. L’episodio era stato immediatamente inquadrato dagli inquirenti come legato a verosimili contrasti nella gestione del territorio da parte di cittadini albanesi, dediti allo sfruttamento della prostituzione.
A seguito di una complessa attività d’indagine, si è compreso che vi era stata un’importante scissione all’interno del gruppo e che questa aveva comportato una lotta tra la vecchia e la nuova fazione per la spartizione del territorio. Si è peraltro accertato che la lotta tra bande è poi terminata grazie all’intermediazione di un singolo sfruttatore albanese, anche lui finito oggi in carcere per il medesimo reato.

Le persone gravate dalle misure, fino a ieri gestivano l’attività di sfruttamento della prostituzione in via Emilia Est, dall’altezza della tangenziale sino alle porte di Castelfranco Emilia. Nel corso dell’attività sono state identificate circa 20 donne sfruttate dagli arrestati odierni, molte delle quali assoggettate con l’uso di metodi violenti e costrette a lavorare su strada o a casa dalle 20 di sera sino alle prime luci dell’alba.

Il controllo dell’attività di meretricio era costante da parte degli sfruttatori: durante tutta la sera lavorativa le giovani, albanesi e ucraine, reclutate direttamente nelle loro nazioni di origine, venivano visionate costantemente in lontananza e dovevano avvisare i loro “protettori” di ogni spostamento anche tramite messaggi criptati (poi decriptati dagli investigatori).

Nessuno degli sfruttatori né delle sfruttate era in possesso di permesso di soggiorno. Gli uni e gli altri utilizzavano i 90 giorni loro garantiti dal visto turistico, per poi rientrare nel paese d’origine alla scadenza del periodo e ritornare in Italia dopo soli 3/4 giorni.

 

 

















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